"Lasci stare mia figlia", ruggisce il capo mafia. Il capitano dei carabinieri che gli sta di fronte, ed è venuto ad arrestarlo, gli chiede conto delle ingenti somme di denaro depositate in tre diverse banche, il suo apparente non far nulla, l'irrisoria denuncia dei redditi, nonostante il reddito reale sia elevato, e -appunto – la figlia, sul cui nome risultano altri cospicui depositi, e studia in un costoso collegio svizzero…Poi, dopo lo scatto di nervi: "Mia figlia è come me", ma più a rassicurarsi, che a smentire il capitano; e col tarlo, indubbio, il sospetto che avesse ragione quando, poco prima gli aveva detto: "Immagino lei se la ritroverà davanti molto cambiate: ingentilita, pietosa verso tutto ciò che lei disprezza, rispettosa verso tutto ciò che lei non rispetta…".
E' un brano de "Il giorno della civetta" di Leonardo Sciascia, romanzo – è bene ricordarlo- scritto più di cinquant'anni fa. Il capitano Bellodi e don Mariano Arena sono di fronte uno a l'altro, il mafioso poi descriverà quelle che a suo giudizio le cinque categorie in cui si divide l'umanità; Bellodi individua nella legge, nel rispetto del diritto, le "armi" per sconfiggere ala mafia. Ed è un brano che autorizza una speranza: che attraverso lo studio, la cultura, i figli e i nipoti di mafiosi riescano a levarsi di dosso la mafiosità dai loro padri e zii e nonni vissuti come "naturale", una pelle; e diventino appunto pietosi, rispettosi.
Quasi naturalmente questo brano mi si è associato in mente, nell'apprendere che la figlia diciassettenne del boss latitante Matteo Messina Denaro avrebbe convinto la madre a lasciare la casa dove le due donne hanno sempre vissuto, e andare altrove.
Un po' frettolosamente si e' scritto che la ragazza – e con lei la madre – si sono "ribellate": "la ragazza – si legge in un'anticipazione diffusa dal settimanale l'Espresso, ''vuole vivere lontano dai familiari del papà. Una scelta rivoluzionaria perché suona come sfida ai codici di Cosa nostra''.
Ribellione è una forzatura. La ragazza, che ha un suo profilo su facebook, il giorno del compleanno del padre, gli fa gli auguri, sotto forma di un cuoricino rosso, e scrive frasi di delicata malinconia: "Quanto vorrei l'affetto di una persona e, purtroppo, questa persona non è presente al mio fianco e non sarà mai presente per colpa del destino…". Già perchè la ragazza, a differenza di altri figli di boss (quelli di Totò Riina, o di Bernardo Provenzano, o Nitto Santapaola, per esempio) non avrebbe mai visto il padre in vita sua. Sa chi è, quello che ha fatto e fa, ma non lo ha mai visto.
La ragazza e la madre hanno vissuto per quasi vent'anni nella casa della madre di Messina Denaro, e con le sorelle di lui. Ma ora la ragazza, aspira a vivere una vita normale di una normale diciassettenne. Ha un fidanzatino, vorrebbe fare quelle cose che fanno tutte le sue coetanee, fuori dalla "gabbia" della mafiosità della famiglia del padre. La sua non è una ribellione, ma la richiesta di una liberazione. E qualcosa deve aver toccato il cuore spietato del boss, o "semplicemente" ha fatto i suoi conti, e si è reso conto he era meglio allentare di qualche anello la catena. Perchè di una cosa non dubitano gli investigatori più avveduti e capaci di decodificare i codici mafiosi: le due donne potranno andare a vivere altrove solo perche' il boss si è convinto che si può fare. E' da augurarsi che la ragazza se già non lo è, staccandosi da quell'ambiente, e vivendo normalmente la sua giovinezza, diventi, come la figlia di don Mariano Arena, pietosa e rispettosa.
Quella pietà e quel rispetto che sembra non abbia un'altra figlia di boss, Lucia Riina, che in un'intervista alla televisione svizzera, si è detta sì addolorata per le vittime di mafia, ma orgogliosa di chiamarsi Riina.
Nè la figlia di Riina, nè quella di Messina Denaro si ribellano, rinnegano il padre. La figlia di Riina fa capire che è disposta, al pari del fratello, della madre, ad accettare e condividere le "logiche" mafiose. La figlia di Messina Denaro vuole vivere al di fuori delle logiche mafiose: diciamo che non è "pentita". L'altra da questo spirito si dissocia. Se dicessi che Sciascia aveva capito tutto, lui per primo inarcherebbe il sopracciglio, con ungesti di muto rimprovero. Tutto no, ma tanto, e l'essenziale, questo sì.