Non sono molti i libri italiani che riescono a sbarcare da questa parte dell'Oceano. Ce l'ha fatta Tiziana Lo Porto, autrice di Superzelda, La vita disegnata di Zelda Fitzgerald, fortunato fumetto dedicato alla moglie e musa del grande Scott. Il libro, appena tradotto e distribuito sul mercato statunitense sta avendo un buon successo di pubblico e di critica, sulla scia, anche se involontaria, del film Il Grande Gatsby di Baz Luhrmann.
La VOCE di New York ha incontraro l'autrice in occasione di un festival anni ‘20 a Governor Island. Tra balli jazz, cappelli e lustrini d’altri tempi, ci ha raccontato come è nato e si è alimentato il suo amore per Zelda.
Tiziana, come e perchè ti sei interessata a Zelda?
A Zelda ero interessata da sempre senza saperlo. Ho iniziato a leggere Fitzgerald a vent’anni, con Tenera è la notte. È uno di quegli scrittori per cui si catena il grande amore, ma di Zelda non sapevo nulla. Nel corso degli anni l’ho rincontrata nei modi più disparati, in Manhattan e Midnight in Paris di Woody Allen, c’è una canzone dei Pet Shop Boys che si chiama Being Boring, tutta presa da frasi di Zelda e dalla sua filosofia: mi rifiuto di annoiarmi perché non sono noiosa. Poi insieme a Daniele Marotta che ha illustrato la graphic novel – facevamo per D La Repubblica delle Donne tavole disegnate di recensioni di libri – abbiamo recensito un romanzo che parlava di Scott e Zelda, Gilles Leroy, Alabama Song, e subito abbiamo deciso di fare una biografia su Zelda; non esistevano biografie a fumetti su di lei e quelle esistenti sono di parte, le prime memorie su di lei sono quelle di A Moveable Feast di Hemingway, che tra l’altro la detestava. Ci sono molte biografie con un punto di vista femminista che io non condivido, che la dipingono come vittima di Scott, una grande scrittrice mancata perché plagiata da lui, cosa assolutamente non vera. In tutta l’opera di Fitzgerald, da Daisy de Il grande Gatsby a Nicole di Tenera è la notte, c’è un personaggio femminile di spalla, e non sarebbero state così se non ci fosse stata Zelda. Basta leggere le lettere, i diari e si capisce che quelle nei romanzi sono frasi di Zelda, lei lo sapeva e ne era felice. È assente nell’ultimo libro, The last Tycoon, perchè era già in clinica psichiatrica, ma c’è un uomo che vive nel ricordo di una donna morta, che è Zelda. Nel libro c’è un altro personaggio ispirato all’ultima compagna, quando Zelda lo legge lo trova bellissimo, ha da ridire solo sul personaggio femminile…
Come ti sei documentata per le ricerche?
Ho iniziato a leggere talmente tante cose che dovevo per forza incasellare le informazioni. Ho letto tante biografie, ma quella che mi aiutato di più è sicuramente quella di Nancy Milford, Zelda: a Biography, uscita in Italia anni fa e fuori catalogo, mentre qui è best seller e abbastanza famosa. Ho tirato giù un po’ di date e mi sono fatta una scaletta relativa ai vari eventi della vita di Zelda, poi ho avuto un'illuminazione: dal momento che Zelda è in tutti i romanzi di Fitzgerald, e dal momento che lui faceva auto fiction, perché non raccontare Zelda anche dal punto di vista di Scott? Per questo il fumetto era il punto di vista perfetto. La cosa magnifica e irriproducibile di Fitzgerald poi sono i dialoghi, ho estrapolato le frasi di Zelda che mi piacevano e le ho inserite cronologicamente nei periodi nei quali immaginavo quei dialoghi potessero essere accaduti realmente. Da lì è venuto tutto il resto.
Qual è la tua opera preferita di Scott Fitzgerald?
Belli e dannati, che racconta i primi anni del matrimonio. Tra i racconti mi piace moltissimo La crociera del rottame vagante, il reportage che lui scrisse per un giornale, sempre sui primissimi mesi del matrimonio. Erano andati a vivere in Connecticut e lei una mattina dice a Scott di essere triste perché la gente lì faceva una colazione triste, e non mangiava le pesche che mangiava lei in Alabama. Lui la portò in Alabama a mangiare le pesche, partendo con una Renault sgangherata che non sarebbe mai arrivata a destinazione, e ne succedono di tutti i colori. È interessante perché dà uno spaccato dell’America di quegli anni, salta fuori quella meravigliosa capacità di Scott di trasformare la vita in storia la capacità di Zelda di vivere la vita senza pensarci, come fosse un romanzo.
Come sta andando il libro? In Italia è uscito l’anno scorso… (il libro è uscito per Minimum Fax, ndr)
È uscito a fine 2011 in Italia, l’anno scorso è uscito in Spagna e in Sud America, e sta andando benissimo. In Italia, per essere un fumetto, è un caso letterario, sicuramente ci ha aiutato l’ondata di ritorno degli anni ’20, della quale noi non avevamo idea. Il libro è uscito in concomitanza con Midnight in Paris, poi è uscito Il Grande Gatsby, e nemmeno di quello avevamo idea. La prossima uscita certa è in Francia la prossima primavera, poi ce ne saranno sicuramente delle altre. Adesso che è tradotto in inglese, sicuramente sarà più facile pubblicarlo e distribuirlo nei paesi di lingua anglofona. Non è stato facile pubblicare il libro qui perché siamo italiani, capisco la diffidenza degli americani e la preoccupazione che non fosse ben documentato, ma poi abbiamo trovato l’editore, e il resto è andato da sé perché il libro è bello. Ho partecipato alla traduzione, quando l’ho riletto tutto di fila in inglese ho pensato che fosse bellissimo, come se fosse l’opera di un altro. Ero contenta di aver riportato Zelda a New York. La presentazione più grossa è stata da Strand Book Store, ero con Rick Moody, uno scrittore che amo, in una conversazione a due. Saremmo andati avanti per ore, lui ha letto il libro e l’ha amato. C’era molta gente, è stato bello, tra l’altro quella libreria è stata il primo posto dove ho comprato libri in inglese su Zelda. L’emozione di vedere la vetrina di Strand piena dei libri di Superzelda è stata grande. Ho fatto anche un paio di reading, il Superzelda Broken English Reading, mentre io leggevo brani del fumetto, un amico musicista suonava. Li abbiamo fatti in posti veramente off, in una libreria dell’usato a Mercer Street e in un bar di Alphabet City, e credo che li rifaremo in Italia. Il prossimo appuntamento è il 24 luglio, compleanno di Zelda. La Casa Museo Fitzgerald in Alabama, casa d’infanzia di Zelda, mi ha invitato per un Super Zelda Party. Finalmente anch’io andrò in Alabama a mangiare le pesche a colazione!
So che stai scrivendo un fumetto su Truman Capote. Raccontaci di che si tratta.
Sì, intanto ne ho scritto un altro che si chiama Colla, che Daniele sta disegnando, ambientato nell’84 a Palermo, è una storia semiautobiografica di due ragazzini che crescono insieme giocando a basket, una storia sulle amicizie, sulle dipendenze. Quello su Truman Capote, per il quale sto facendo delle ricerche qui a New York, è la storia del ballo in bianco e nero che lui organizzò nel 1966 al Plaza per una sua amica Catherine Graham, la direttrice del Washington Post. Guardando le foto del ballo, per il modo in cui Daniele disegna, mi sono detta subito che avrebbe illustrato benissimo questo fumetto. Tutti i costumi, poi, sono bozzetti originali disegnati dalla compagna di Daniele, che è una costumista. Anche lì, come con Zelda, ci sono più livelli, all’inizio trovi testimonianze che dicono che fu il più gran ballo del secolo. Andando a fondo, ho scoperto che era un ballo di una noia mortale. La genialità di Capote sta nello studiare la lista di questi 540 invitati, organizzarla in modo tale che ci fosse non solo la gente che contava, ma anche nel creare una sorta di tableau vivant, uno spaccato della società americana di quell’anno. Voleva mettere a nudo la società americana, far sì che si parlassero un po’ tra loro. Fu una provocazione totale. È una storia piena di microstorie, penso di strutturarla come tanti piccoli film muti in bianco e nero, e raccontarla senza una voce narrante, ma come una storia corale che racconta l’America di quegli anni.
Hai visto Il Grande Gatsby di Baz Luhrmann? Ti è piaciuto?
L’ho odiato e non me l’aspettavo, ci sono rimasta male. È strano, perché riponevo una grande fiducia in lui, Romeo + Juliet mi era piaciuto molto. Aveva tutti i mezzi per fare un gran film, invece ha preso Il grande Gatsby e ha levato il desiderio amoroso, impossibile e disperato, che è il nocciolo di tutta la storia. Poi ha eliminato tutta la bellezza degli anni ‘20, creando un carrozzone e trasformandolo in Ibiza. Per me ha poco senso, secondo me ha attualizzato le cose sbagliate. Si è portato dietro una campagna promozionale esagerata, l’unica cosa bellissima è che adesso Il Grande Gatsby lo leggono tutti. Midnight in Paris invece l’ho amato, Allen ha raccontato molto bene quella storia, e in più ha smitizzato Hemingway, Fitzgerald e i grandi artisti, facendoli diventare dei ragazzini, molto più umani, totalmente punk, perché erano inconsapevoli nella loro irriverenza. In più, con la scena della festa nel Museo di Storia Naturale, ha dimostrato di aver capito tutto, loro facevano cose che nessuno aveva mai fatto, e che probabilmente nessuno di noi farà.