Sembra un paese idillico, Bellafonte sul Fiume, già a cominciare dal nome stesso che lascia presagire chissà quali piacevoli e rilassanti atmosfere, ma invece si rivela subito interessante” per le sue stranezze e per i suoi misteri. Innanzitutto, il rapporto fra follia e sanità mentale, qui, non si sa davvero dove stia di casa, con i cosiddetti malati di mente sempre più in aumento e sempre più "pericolosi". Ne succedono davvero di tutti i colori, e «Il battello smarrito» di Giampaolo Rugarli (Marsilio), diventa ben presto il paradigma della stessa esistenza degli uomini, un andare senza senso, quotidiano e costante, in balìa di non si sa che, tra timori, paure e terrori che ti fanno dubitare di tutto e di tutti in ogni momento.
Non sai mai, infatti, se quelli che ti stanno dinanzi, – siano essi magistrati, religiosi, governanti, semplici pazzi o semplici normali -, stiano o meno per farti del male (compreso il toglierti, quando meno te lo aspetti, la stessa vita).
Tra calamità naturali o causate dagli abitanti stessi del paese (e del mondo), si sviluppa una sorta di apocalittico correre fuori di sé, un fuggire senza senso, irrazionale a dir poco oltre che illogico, verso non si sa dove, alla ricerca apparentemente impossibile di una qualche certezza, di un qualche punto dove ancorare con sicurezza questo "battello" che è poi soltanto la vita. L’ordine e il disordine sociale si mescolano fino a confondersi, bene e male perdono ogni confine e le stesse persone si amano si odiano e si uccidono spesso senza davvero un perché. Quando poi la terra intorno davvero brucia (guerra, difficoltà d’ambientarsi, impossibilità di stabilire una benché minima comunicazione con coloro che ci vivono intorno, etc. etc.), allora non resta che rifugiarsi su questa forma d’arca biblica, su questo "battello" insomma, dove invece degli animali compagni di Noè abbiamo la nostra bella società di matti e di disadattati. Amori, orge, soprusi, violenze inenarrabili diventano così pane quotidiano d’un navigare con nemici e tra elementi naturali avversi, col carburante e col cibo sempre più in diminuzione, e con la voglia… matta (e forse è questa la cosa più logica da farsi) di far soltanto baldoria e ubriacarsi per non pensarci più. Il tutto, poi, si colora di giallo perché arrivano un po’ a tutti delle lettere anonime ricattanti e minacciose e con richieste di ricatto, e ad esse si susseguono delitti orrendi e inesplicabili che gettano smarrimento e terrore un po’ dovunque e in chiunque. Di chi e di che fidarsi allora? Chi o che seguire? E dov’è, in fondo, quella giustizia sociale e quella sana normalità che in apparenza tutti predicano e/o sembrano professare? Davvero non hai niente verso cui dirigerti e nessuno con cui confidarti e sentirti solidale. Tutti ti sono nemici, tutti ti sono pericolosi, tutti sembra vogliano solo approfittarsi di te, con i normali che sembrano pazzi e i pazzi che a tratti sembrano più normali dei normali. Una gran bella parabola ricca di confusione di ruoli e d’emozioni che somiglia assai da vicino (o ne è invece proprio il ritratto?) al paese in cui viviamo. Potrebbe essere l’Italia (com’è assai probabile nelle intenzioni di Rugarli), l’Europa o il mondo intero non ha importanza; tutti possono infatti trovare in queste pagine, fra umorismi ed ironie che ne lasciano digerire sorridendo il peso enorme, le cose e le persone che gli vivono intorno. Curiosa e coinvolgente costruzione letteraria questa, ma fino a un certo punto. Chi può negare infatti che dietro il riso o il sorriso beffardo non si nasconda invece, nuda e cruda, quella che pretendiamo chiamare realta’? Non è forse questo misero "battello" senza direzione – da dove i matti (o i saggi?) si buttano annegandosi nel fiume – una fotografia della cronaca che ogni giorno conosciamo attraverso i giornali? Attentati, guerre, calamità naturali, tradimenti, passioni inenarrabili, romanticherie, sacrifici, dedizioni, incomprensioni e derisioni (per nominarne solo alcuni) non son forse parte del nostro essere "normale"? Turbe psicologiche a parte, quindi, siam tutti coinvolti in questo viaggio senza meta prefissata o conosciuta, lasciati all’oscuro da tutto e da tutti, e incapaci o impossibilitati a stabilire un benché minimo rapporto duraturo e sincero con gli altri. Creare poi una struttura sociale entro cui ritrovarsi in armonia e tranquillità è pura utopia. Non resterebbe che fuggire, quindi, costi quel che costi, da questa follia dilagante alla ricerca di un porto ove fermarsi e vivere un po’ in pace, vero? Tutto facile se si sapesse donde si viene e perché e dove si stia andando. O no? Davvero, roba da… matti.