A sinistra una immagine della conferenza presso la Casa Italiana Zerilli Marimò
Gli italiani a New York fanno mestieri molto diversi e anche le loro origini e le modalità del loro arrivo sono differenti. Così mercoledì scorso, per l’attesa presentazione alla Casa Italiana Zerillli Marimò della NYU del libro di Maurizio Molinari “Gli italiani di New York” (Laterza 2011), non era facile mettere su un panel di protagonisti che potesse al meglio rappresentare anche gli altri caratteri narrati nel volume. Nella Casa della cultura italiana a New York diretta da Stefano Albertini, questo compito è stato eseguito con abilità e saggezza.
Come moderatore-presentatore è stato chiamato Massimo Gaggi, giornalista inviato del Corriere della Sera, che ha cercato di far parlare subito i protagonisti del libro presenti su che cosa consisterebbe la loro “diversità” nel melting pot newyorkese e come le loro origini italiane avessero influito nel loro successo. A parlarne per prima è toccato a Matilda Raffa Cuomo, moglie di Mario e quindi già First Lady dell’Empire State, filantropa e sostenitrice, insieme alla figlia Margareth, della promozione della lingua italiana in America, e ora soprattutto madre orgogliosissima del neo governatore Andrew Cuomo. “So che potrei ora sembrare una persona con dei forti pregiudizi, ma bisogna ammetterlo, noi italiani di New York siamo seplicemente the best”, ha subito candidamente esordito Matilda, che ha poi ricordato i sacrifici che i suoi genitori dovettero all’inizio affrontare nella loro avventura per dare un futuro migliore ai figli. Nonostante le ristrettezze economiche degli inizi, non venne a mancare mai la solidità della famiglia e per Matilda Cuomo questo distingue gli italiani di New York da tutti gli altri, la forza dei legami familiari. Matilda, ricordando i tempi dell’infanzia a Brooklyn, ha parlato di come nelle famiglie italiane si mangiasse meglio, usando ingredenti genuini, “anche una semplice pasta e lenticchie non aveva rivali. Insomma noi italiani conosciamo meglio i vegetali e la loro freschezza e come far crescere sani i figli”. L’amore incondizionato con cui far crescere la propria famiglie, per Matilda è questo il segreto della forza degli italiani di New York. “C’è qualcosa di speciale nell’anima degli italiani che sono arrivati qui, che poi è il segreto del successo dei loro figli e nipoti. Spero che un giorno qualcuno racconti in un libro le varie storie di quei genitori italiani che hanno contribuito così tanto al successo dei loro figli in America”.
Il segreto del successo del figlio Andrew, oltre alla famiglia? “Sicuramente l’aver avuto, all’inizio della sua carriera politica, quando aiutava le campagne elettorali del padre Mario, l’esperienza di lavorare accanto agli italoamericani, anche nell’Upper State. Li ha conosciuti bene e questa esperienza gli è servita anche dopo. Non è facile riuscire in politica, per far bene si deve volere la missione di aiutare gli altri. Mario quando diventò governatore non voleva prendere neanche i soldi dello stipendio di governatore, invece Pataki…. Ora Andrew è l’uomo giusto al momento giusto, sono molto contenta che sia mio figlio il governatore e spero che vogliate pregare tutti per lui” ha detto Matilda, mamma orgogliosissima.
La parola è quindi passata ad un secondo personaggio protagonista del libro di Molinari, l’architetto e designer Gaetano Pesce. La forza degli italiani? “L’autenticità!” Per il famoso architetto gli italiani restano, creativamente parlando, i migliori in assoluto, “nessuno riesce a starci dietro”, ha detto scatenando l’applauso del pubblico. Poi però Pesce ha notato come in Italia si stia perdendo la valorizzazione del maggior punto di forza degli italiani. “Tristissimo constatare che il progetto del nuovo ponte di Messina non era altro che una copia solo più lunga del Golden Gate Bridge di San Francisco. Noi italiani siamo stati sempre innovativi, sono gli altri che copiano noi e non viceversa, che tristezza. Allora ho buttato giù un progetto ma non lo accetteranno mai… Ho fatto un ponte a forma di S, in onore della Sicilia, ma anche per far qualcosa di diverso, un ponte ‘abitato’ nella tradizione del Ponte Vecchio a Firenze e Rialto a Venezia, con venti piloni e in ognuno di questi viene rappresentata una regione italiana, così invece di attraversarlo in fretta, in quel ponte si ci passa con calma, per visitare ristoranti e musei, negozi di ogni regione… Un’idea originale in perfetto stile italiano”. Puntare quindi tutto sulla creatività, ha ripetuto Pesce, dove gli italiani restano imbattibili: “È la nostra risorsa naturale”.
Gaggi ha quindi dato la parola a Al Barozzi, “prete di frontiera” arrivato a New York nel 1967, che come ha detto con le sue parole, “tra il rispetto delle regole della Chiesa e il benessere della gente, io scelgo sempre la gente”. Barozzi, sacerdote missionario a Brooklyn, ha detto che “Molinari col suo libro dimostra di essere non solo un giornalista ma anche uno scrittore, che non teme la solitudine…” “Io sono un prete, cioè colui che serve la gente, come un giornalista che dovrebbe servire i suoi lettori e non i suoi padroni. Lottiamo per il bene, l’integrità e l’onestà”. E poi Barozzi ha anche parlato del suo rapporto con la mafia, come quando una volta costrinse dei mafiosi nel campo delle costruzioni a dare il giusto compenso a dei lavoratori ispanici che si erano rivolti a lui per riuscire a farsi pagare dai loro datori di lavoro che li sfruttavano. La macchia nera degli italiani, per Don Barozzi, resta lo stato italiano, che non fa nulla per la sua gente e meno che mai per gli italiani all’estero: “Il pesce puzza dalla testa”.
Poi è stata volta dello Chef toscano Cesare Casella, della prelibata “Salumeria Rosi” dell’Upper West Side. Casella ha raccontato la sua piuttosto recente venuta a New York e si è soffermato sulla forza della cucina italiana che sta nella genuità dei suoi prodotti. “Molti ristoratori americani e pure francesi usano meglio di altri i prodotti genuini italiani, e quindi hanno successo meglio di altri ristoratori italiani che invece non lo fanno” ha detto Casella. Lo chef lucchese ha anche cercato di cambiare il tono rispetto alle condizione di vita in Italia degli italiani, dipingendo un quadro più sereno e ottimista rispetto ad altri interventi.
Antonio Monda, docente di cinema alla NYU, ha fatto prima i complimenti a Molinari per un libro che “è un atto di intelligenza, l’autore sa leggere bene dentro la gente di cui si occupa”. Monda ha parlato della decadenza del cinema italiano rispetto ai fasti del passato. ‘Ormai l’industria cinematografica italiana sta morendo uccisa dalla produzione per la tv, si producono soltanto 60 film l’anno, a me viene difficile riuscire a trovare i 12 titoli necessari per la rassegna Open Roads al Lincoln Center. Grande eccezione è Paolo Sorrentino, regista che infatti adesso fa film in America”.
Infine, tra i protagonisti del libro di Molinari nel panel della NYU, ecco la parola passare a Federico Mennella, managing Director di Lincoln International. Mennella, arrivato giovanissimo con studi a Yale e poi Harvard, ha sempre lavorato per aziende americane e tedesche, diventando un top manager finanziario specializzato nella fusione e acquisizione di grandi aziende. Mennella ha parlato della scomparsa delle grandi aziende italiane da New York: “Venti anni fa qui le industrie e banche italiane erano sullo stesso livello di quelle francesi e tedesche. Ora sono diminuite di numero e importanza. Prima c’era l’Olivetti, Ferruzzi, Pirelli… ora sono rimaste solo la moda, c’è Luxottica ed è tornata la Fiat, ma tante e soprattutto le banche si sono ridimensionate”. I motivi? “Siamo stati tattici e non strategici, mettendo a segno singole operazioni di piccolo cabotaggio e non di ampio raggio… Poi le aziende in paesi come la Francia all’estero vengono apoggiate dal governo… e poi perdiamo capitale umano, i migliori vanno a lavorare all’estero per gli altri”.
Alla fine la parola all’autore del libro, il Corrispondente de “La Stampa” Maurizio Molinari, che ha salutato il “miracolo” di interventi che in meno di un’ora avevano messo tanto in mostra della grandiosità degli “italiani di New York”, e che come ha detto Lady Cuomo, “we Italians do it at the best”. Molinari ha ringraziato anche coloro, seduti tra il pubblico, che lo hanno aiutato nelle ricerche per il libro, come Vincenzo Pascale, Rita Bonura, Antonio Barbera.
Infine, abbiamo chiesto al collega Maurizio come è stato accolto il suo libro in Italia. “Purtroppo la reazione è stata fredda. Discutere l’identità degli italiani all’estero con un pubblico di italiani in Italia non è facile. Perché non è facile parlare di ciò che altri italiani sono riusciti a raggiungere all’estero mentre altri non hanno potuto in Italia. Il vero problema è che c’è ancora molta ignoranza in Italia sugli italiani in America. Il grande fenomeno dell’immigrazione italiana non è stato mai discusso in Italia come meritava. La società italiana non si è mai chiesta perché tutti quegli italiani decisero di lasciare il proprio paese. E quindi c’è questa ferita profonda, che è sempre lì presente e ogni tanto riappare. Una ragione importante nel fare questo libro era proprio questa, se ami il tuo paese come lo amo io, se ami la tua gente come la amo io, allora devi anche spingerla ad affrontare questioni difficili. E la conoscenza di questa grande identità e storia italiana fuori dall’Italia è una grande sfida per gli italiani in Italia. E io spero che questo libro possa dare un suo contributo a questa conversazione tra gli italiani di entrambe le parti dell’oceano”.