Accadde novant’anni fa. Era il 10 agosto 1933, ore 11.30 del mattino: il comandante Francesco Tarabotto annusava il vento sul ponte del piroscafo ancorato in porto. Aveva 56 anni e si sentiva il padrone del vapore, malgrado il carattere schivo gli imponesse la riservatezza come marchio di fabbrica. Ligure, erede di una famiglia di navigatori, dopo aver servito la Regia Marina nella prima guerra mondiale aveva fatto carriera a bordo del Duilio e dell’Augustus, due tra le celebri navi civili dell’epoca. Ma stavolta il compito era particolarmente delicato: una sfida al resto del mondo con il transatlantico più imponente, lussuoso, tecnologicamente avanzato del ventesimo secolo.
Il Rex, costruito nei cantieri Ansaldo di Sestri Ponente, aveva compiuto undici mesi prima – con Tarabotto al timone – il viaggio inaugurale da Genova a New York. Non senza contrattempi: la centrale elettrica difettosa costrinse la nave a una sosta di due giorni a Gibilterra, per attendere parti di ricambio che non furono usate. I generatori d’emergenza avevano risolto il problema senza aiuti esterni.
Adesso però il comandante tentava un’impresa mai riuscita – né prima né dopo di lui – a una unità tricolore: battere il record di velocità per fregiarsi del prestigioso Nastro Azzurro. Proprietà della compagnia Italia Flotte Riunite, costituita dalla fusione di Navigazione generale italiana, Lloyd Sabaudo e Cosulich, la nave veniva a ragione considerata un prodigio della meccanica unita all’eleganza. Aveva coinvolto nella costruzione migliaia di uomini, la regina Elena era stata la sua madrina e incarnava il vanto di tutta l’industria nazionale. Non era solo una bandiera da sventolare per Mussolini e la propaganda fascista: il colosso galleggiante aveva rivoluzionato il viaggio per mare, spianando la strada al nuovo concetto di crociera.
Capace di 2.022 posti passeggeri, era stato pensato per permettere ai fortunati 378 in prima classe di fare sport, godere relax e vita mondana a bordo piscina, ballare nel salone delle feste allietati dall’orchestra e chiacchierare nei bar spaziosi o nelle sale fumatori. Divi del cinema, ricchi imprenditori, gran signori e dame eleganti: i personaggi del bel mondo si sentivano a casa negli ambienti curati dall’architetto Enrico Monti, che si era affidato per gli arredi a firme come Galileo Chini, Mario Sironi, Adolfo Coppedè.
Gli interni erano un trionfo di mogano, broccati, velluti, onice e marmi, arazzi, perfino un tappeto persiano di 170 metri quadrati. Poi, certo, c’erano anche quelli della terza classe: gli invisibili. Gli emigranti relegati nei ponti più bassi, che dovevano passare la visita medica e sottoporsi a disinfestazione prima dell’imbarco. Del resto il Rex era la compiuta metafora della divisione per censo, specchio di quella contraddittoria società.
Riscatto e orgoglio degli umili oppure ostentazione del benessere di pochi, al re dei mari mancava un fiore all’occhiello: il titolo di campione di velocità nella traversata atlantica da est a ovest. Il comandante Tarabotto e il suo equipaggio saldarono il conto con la storia. Salpando da Genova alla volta di New York, la nave delle meraviglie accese le dodici caldaie, azionò i quattro gruppi di turbine che muovevano le quattro eliche, sciolse i 136mila cavalli di potenza e coprì le 3.181 miglia che separano Gibilterra dal faro di Ambrose in 4 giorni, 13 ore e 58 minuti a una velocità media di 28,92 nodi, strappando il primato al tedesco Bremen. Record battuto due anni dopo dal francese Normandie, ma nell’albo d’oro il nome Rex resterà per sempre.
Tarabotto fu coperto di onori e nel 1937 andò in pensione per limiti di età: sarebbe morto a 93 anni. Lo stesso accadde al Rex, ma per altre ragioni. Nel maggio 1940, con l’entrata in guerra dell’Italia all’orizzonte, fece il suo ultimo viaggio da e per New York. Poi il triste finale di partita: l’ormeggio nel porto di Genova, quindi l’approdo in disarmo a Trieste.
Il peggio doveva ancora arrivare. A seguito dell’armistizio del 1943, il transatlantico fu requisito dai tedeschi che l’utilizzarono come caserma, depredato delle bellezze e dei macchinari smontabili. Finché fu spostato nella baia di Capodistria per metterlo in sicurezza: era il 5 settembre del ’44.
Fu lì che tre giorni dopo il simbolo della modernità e della potenza marinara italiana fu bombardato dagli aerei inglesi della Raf. Attenzione, però: il Rex colò a picco quando ormai era fuori dai giochi, immagine di un tempo arrivato alla fermata senza ritorno. Il gigante aveva viaggiato per appena otto anni tra Europa e America. Una breve vita felice sufficiente però a far vivere in eterno il suo mito, inaffondabile nella memoria popolare: è stato la realizzazione di un sogno, tra realtà e immaginazione. L’amarcord di Fellini e un po’ di tutti noi.