Una via del commercio più che un muro difensivo: è la nuova ipotesi sulle fortificazioni romane fra Siria e Iraq. Gli archeologi del prestigioso Dartmouth College nel New Hampshire, negli Stati Uniti, hanno studiato le immagini satellitari sul confine fra Siria e Iraq scattate fra gli anni Sessanta e Settanta, al culmine della Guerra Fredda: si tratta di immagini declassificate dei programmi dei satelliti spia CORONA e HEXAGON.
Gli archeologi hanno individuato 396 siti mai scoperti prima, risalenti all’Impero Romano e probabilmente usati come luoghi di scambio e commercio, non come fortificazioni. Questa ipotesi contraddice uno studio pionieristico condotto nel 1934 da Antoine Poidebard, gesuita ed esploratore francese. Poidebard volò su questa regione del Medio Oriente a bordo del suo biplano e individuò 116 ‘fortini’ (ora ne sono rimasti solo 38 perché il resto è andato distrutto); avanzò l’ipotesi che fossero delle prigioni, o che formassero una cinta muraria per proteggere l’Impero dalle invasioni dall’est (persiane e poi arabe). Sulla teoria di Poidebard si sono fondate tutte le riflessioni dell’ultimo secolo.
Nell’articolo pubblicato su Antiquity, rivista accademica internazionale che si occupa di archeologia, il professor Jesse Cassa, principale autore dello studio, scrive: “Fin dagli anni Trenta, storici e archeologi hanno parlato dello scopo strategico o politico di questo sistema di fortificazioni. Ma pochi hanno messo in discussione l’osservazione di base di Poidebard”.
Ma dalle nuove immagini analizzate, dove emergono molti più siti archeologici, è possibile dedurre che i fortini fossero invece dei punti di passaggio, dove le carovane che viaggiavano tra le province orientali si fermavano per commerciare. Le presunte fortificazioni infatti sono distribuite indistintamente fra est e ovest. Se ne deduce che il confine dell’Impero Romano non fosse così rigido e conflittuale come si riteneva.