Una umanità distrutta, disgregata, squagliata. Un sole che non illumina, ma scioglie, afoso, impietoso, apocalittico. In mostra alla rassegna Open Roads, cominciata al Lincoln Center a New York, il secondo film di Ginevra Elkann, la regista di casa Agnelli, racconta un mondo altoborghese dove gli unici esseri umani che si salvano sono un immigrato che porta il cibo a casa e un bambino che rivuole il suo cane vecchio, malato e paralitico che era stato portato a morire in un ospizio per animali. Si intitola Te l’avevo detto (I Told You So), ed è accompagnato dai più bei nomi del cinema italiano di oggi, da Valeria Bruni Tedeschi a Riccardo Scamarcio, Valeria Golino, Alba Rohrwacher, e poi Greta Scacchi e Danny Huston. Anche papà Elkann compare sfocato sullo sfondo seduto su un autobus stavolta, non in una carrozza di treno di prima classe. Eppure tanto talento non riesce a ricomporre questa visione frammentata da un montaggio incessante e una umanità senza speranza. Il caldo sulla città eterna, il film è ambientato a Roma, in un Natale in cui la temperatura è arrivata a 30 gradi e il meteo viene ascoltato incessantemente, era stato già il tema di Siccità di Virzì, ma se lì erano gli scarafaggi a scorrazzare liberi, qui è l’alcool, la droga, il cibo, il sesso a significare lo smarrimento di esseri umani alla deriva nel caldo della fine del mondo. I riferimenti biblici sono d’altronde espliciti nel dialogo finale fra due dei protagonisti, Pupa e Gianna: mancano solo le locuste dicono e chi sa che nel giallo finale dopo i titoli di coda non arrivino.
“L’idea del film nasce dall’ansia – ha spiegato Ginevra Elkann – In una estate di tantissimo caldo in cui mi è venuta tanta ansia mi sono chiesta: cosa succederebbe se il mondo diventasse così giallo da toglierti tutta la forza di agire? Ne ho parlato con le sceneggiatrici e lo abbiamo scritto durante la pandemia abbiamo costruito questi personaggi che come noi hanno queste ansie e questi desideri di placarle finché non arriva l’ansia più grande di tutte rappresentata da questo grande caldo.” “Abbiamo scritto come in una lunga sessione psicoanalitica – aggiungono le sceneggiatrici Chiara Barzini e Ilaria Bernardini – abbiamo ricordato le nostre madri sorelle e portato alla luce il centro di questo dolore che questi personaggi avevano anestetizzato fino a quel momento con l’alcool il cibo e altro ma in questa giornata di caldo torrido si trovano a dover confrontare.”

Veniamo alla trama: Gianna (Valeria Bruni Tedeschi) è una donna corrosa dalla gelosia e dall’invidia per Pupa (Valeria Golino con labbra tumefatte per il film e una parrucca che la fa sembrare Cicciolina) sua ex amica, porno star che le ha rubato il marito. Gianna si rifugia nella religione, ma è una religione da invasata che le dice quello che lei vuole sentire. Anche Bill (Danny Huston) si è rifugiato nella religione, è diventato un sacerdote, dopo aver trovato conforto nella droga ad una infanzia con una madre che lo abusava. La madre è morta e le ceneri le ha portate la sorella (Greta Scacchi) dall’America, ma i due dopo aver girato i cimiteri di Roma capiscono che la cosa migliore da fare è buttarle nel cesso e ritrovare l’alleanza fra fratelli. Una mamma disgraziata è anche Gianna tanto è vero che la figlia Mila (Sofia Panizzi) colma con la bulimia la mancanza di affetto. Non meno storta è Caterina, la madre interpretata da Alba Rohrwacher che trova nell’alcool la soluzione al suo vuoto interiore e cerca aiuto in Bill, che aiuto non lo sa dare neppure a sé stesso. Neppure Riccardo Scamarcio riesce ad aiutare nessuno, né la moglie Caterina, né il figlio né tantomeno il cane che molla all’ospizio quando sta male.
Insomma le madri ne escono malissimo, ma il resto del genere umano non fa una fine molto migliore. con la religione vista nei suoi dietro le quinte meno eclatanti. “Sono cresciuta in una casa frequentata da molti preti, uno di loro era molto spirituale ma io notavo che beveva e mangiava tantissimo, c’era una discrepanza fra la sua persona e i suo credo che ho voluto evocare nel personaggio di Bill.”
Te l’avevo detto è una commedia nera, anzi molto gialla, grazie alla fotografia di Vladan Radovic, con sprazzi di umorismo triste e momenti di assoluta verità come quando Pupa e Gianna si confrontano alla fine del film e Pupa dice: “tu hai amato Salvatore, io ho amato tutti e guardaci: siamo sole tutte e due”. Momenti, in un’ora e mezza di film.