Pink is the new Black: ‘Barbie’ è nei cinema e nel primo weekend il film di Greta Gerwig ha segnato una serie di record al botteghino: ha incassato a livello mondiale 337 milioni di dollari, di cui 155 in USA, miglior debutto in Nord America per un film diretto da una donna. Miglior film di debutto per il 2023 anche in Italia (quasi 8 milioni) bazzecole però rispetto ai quasi 30 milioni in Gran Bretagna, ai 22 milioni del Messico, al Brasile con 16 milioni… anche in Cina ha incassato oltre 8 milioni di dollari.
Qualche spettatore maschio di accompagnamento, tante donne di ogni età: le bambole della Mattel sono in giro dal marzo 1959, quando l’invenzione di Ruth Handler (a cui il film dedica un affettuoso omaggio) apparve alla New York Toy Fair. Questo significa che dalla coda delle Boomer alle bimbe di oggi, tutte abbiamo posseduto (o desiderato…) una o dieci o più Barbie, cucito vestiti per loro, immaginato storie che le vedevano protagoniste, perché erano antropomorfe e soprattutto adulte, pronte a incarnare desideri (e magari abbiamo tagliato loro capelli e mutilato arti, come alla Weird Barbie del film. Io avevo una Barbie Stereotype, una Barbie nera, una Skipper e un Ken oltre a qualche imitazione di bassa lega). Sarà per questo che, negli Stati Uniti ma anche in Italia e altrove, le donne in segno d’amore vanno a vedere il film di Gerwig dotate di abbondanti accessori rosa?
No, non solo. Da molti mesi c’è una campagna di marketing impostata sul rosa (le prime immagini di Margot Robbie e Ryan Gosling, protagonisti del film, sui roller blade sono del giugno 2022). La rivista Variety ha scritto di una “pink publicity machine” che ha coinvolto oltre 100 marche. Il rosa impera sul set del film, e non un rosa qualunque, è la sfumatura più accesa e sfacciata ed esuberante (numero 219 del campionario Pantone, leggo). La Dream House di Barbie è rosa, rosa la sua automobile, buona parte dei vestiti suoi e di tutte le altre Barbie del set, rosa anche molti degli accessori dei Ken a segnalare che Barbieland è il paese dove le donne imperano.

Nota a margine: il rosa non è sempre stato il colore delle femmine. I bambini vestivano in bianco, più pratico, fino a fine Ottocento; all’inizio del secolo XX è entrato in uso abbigliarli di colori pastello, e negli anni Venti il rosa era ancora la tinta dei maschi. Nel 1918, scrive l’Enciclopedia Britannica, “la rivista commerciale Earnshaw’s Infants’ Department affermava che ‘il rosa, essendo un colore più deciso e più forte, è più adatto a un maschietto, mentre l’azzurro più delicato e aggraziato è più carino per le bambine”. Vedete come cambia il costume; solo negli anni Quaranta il trend si invertì.
Oggi, comunque, rosa è donna (e per questo, nel film e forse nella mente nelle spettatrici, è il nuovo nero; non snellisce, ma Earnshaw’s Infants’ Department non aveva torto, il rosa è un grido, un’affermazione di potere). La grande intuizione di Gerwig è appunto che Barbie è protagonista nel suo mondo, e negli occhi di chi ci gioca. Ken è solo un accessorio; cosa succede se i ruoli si invertono? La trama è tutta qui.
E però succede questo: che al successo di Barbie, il film, nelle sale si oppone un’ondata di critiche sui quotidiani e sui social. Sono critiche che seguono grossomodo due filoni (l’uno non esclude l’altro):
- Questo film è ridicolo, sconclusionato, troppo lungo, pretende di farci inghiottire delle formule femministe stereotipate ammassate a caso, Gerwig ha fatto di meglio, alla fine si esce senza aver capito niente, e oltretutto non difende nemmeno il femminismo inclusivo perché alla fine le donne non vogliono condividere il potere.
- Questo film pretende di difendere la causa femminista ma lo fa (orrore) con i soldi della Mattel che lo produce anche, e si trasforma quindi in un gigantesco spottone; forse Gerwig si è fatta sfruttare senza capirlo o forse è entrata in un gioco più grande di lei.

Vorrei aggiungere che è significativo come in Italia – e non solo – a storcere il naso siano in larghissima maggioranza uomini cinquantenni o più, spesso con reputazione di sinistra. Contro ogni mio profondo desiderio inclusivo, mi verrebbe da dire “affidiamo le recensioni su Barbie solo alle donne, per favore”.
Per quanto mi riguarda: il film, lo avevo già scritto, non è perfetto; tuttavia a distanza di una settimana dalla prima visione, ho voglia di tornare al cinema per cogliere tutti i dettagli che mi sono sicuramente persa e di cui adesso sono avida, dettagli di un mondo che mi appartiene.
E per le accuse di marketing: posto che si fa cinema anche per profitto, ma davvero si può parlare al cinema di femminismo solo se puro, cioè senza budget? La saga di Indiana Jones (per non parlare di Guerre Stellari) mira a esaltare un eroe (maschio) buono, contro degli eroi (maschi) cattivi, e infatti sono film adorati anche da Sheldon, Leonard, Howard e Raj, i nerd della serie Big Bang Theory, per dire. È roba loro. Non ho visto critici accanirsi sul successo commerciale delle franchise relative.
Ecco, Barbie è roba nostra, cioè è un mondo che ha al centro le donne, una storia che ruota attorno al giocattolo delle femmine per eccellenza. Come dice la scrittrice ed attivista Giulia Blasi, “Barbie è uno di quei rari film in cui le donne sono davvero al centro della storia, e non nel modo solito, da sconfitte dalla vita o modelli pedagogici, rappresentazioni del dolore del mondo o eroine, romantiche e non. Le donne al centro di questa storia non sono le donne sullo schermo: siamo noi”. Coi nostri sogni infantili, aggiungerei. Sorge il sospetto, maligno, che sia proprio questo a infastidire i critici maschi.
Tutto questo è molto chiaro al cast del film. In una delle millemila interviste (rigorosamente in rosa) che ha rilasciato alla stampa prima dello sciopero degli attori, Margot Robbie (sempre con Ryan Gosling come spalla) spiega perché ha subito pensato che il collega sarebbe stato perfetto per il film. “Anni fa girava un video su Internet in cui Ryan interveniva per impedire una zuffa fra due persone, come un eroe, ma umile. Allora pensai, ‘deve essere una gran brava persona’, e di questo avevamo bisogno per fare Ken, perché c’è una regista donna e non tutti gli attori lo avrebbero accettato, e perché il suo nome non è nel titolo; devi essere molto sicuro della tua mascolinità per salire sul treno Barbie come ha fatto”. Gosling reagisce sorridendo, infilandosi un paio di occhiali da sole. Rosa.