Una lunga passeggiata lungo le rampe circolari del Guggenheim Museum per capire e apprezzare una delle storie personali e artistiche più significative del ventesimo secolo. Questa è l’esperienza che il museo newyorkese offrirà fino al 10 settembre ai suoi visitatori che già dal giorno dell’apertura, il 31 marzo, hanno cominciato a fare una lunga fila all’ingresso per non perderla.
La retrospettiva “Gego, measuring the infinity”, curata da Pablo Leon de la Barra, uno dei curatori del Solomon.R. Guggenheim Museum di New York e da Geaninne Gutierrez-Guimaraes, curatrice del Guggenheim Museum di Bilbao racconta, per la prima volta negli Stati Uniti e con l’aiuto di quasi duecento opere, la vita e la carriera artistica di Gertrud Goldschmidt , conosciuta come Gego. E spiega come l’esperienza di due mondi profondamente diversi l’abbia portata a esplorare, in un modo nuovo e rivoluzionario, la relazione tra le linee, lo spazio e il volume.

Sesta dei sette figli di Eduard e Elizabeth Goldschmidt, Gertrud era nata a Amburgo nel 1912 e sembrava destinata a una vita serena in una famiglia conosciuta e benestante. Dopo aver studiato architettura e ingegneria all’Universita’ di Stoccarda sotto la guida del ben noto architetto Paul Bonatz, era pronta a utilizzare la sua laurea in Germania. L’avvento di Hitler e l’inizio della persecuzione degli ebrei, pero’, l’avevano convinta nel 1939 a lasciare il paese, ad accettare un modesto lavoro da architetta in Venezuela e a separarsi dai genitori e dai fratelli che avevano trovato rifugio in Inghilterra e in California.
Per la giovane artista, influenzata dalla cultura e dall’arte europea, in particolare dalla Bauhaus, il primo impatto era stato brutale. Con pochi soldi, senza conoscere la lingua, si era adattata a fatica al suo nuovo mondo sconosciuto. Si era sposata e e aveva avuto due figli.
Solo all’inizio degli anni ’50, dopo aver divorziato dal marito e essersi unita al grafico di origine lituana Gert Leufert,che rimarrà il suo compagno per tutta la vita, Gede sarà in grado di iniziare la sua carriera artistica e soprattutto di apprezzare quel mondo ribollente di creatività in cui era arrivata come una profuga stranita e che, proprio in quegli anni, stava vivendo un autentico boom economico e culturale.
In una Caracas arricchita dai proventi del petrolio e controllata da una dittatura che vuole promuovere la sua immagine all’estero, Gego non perde tempo ad assorbire le esperienze dell’arte cinetica e dell’espressionismo astratto che Alejandro Otero e Jesus Rafael Soto, appena tornati da Parigi, cercano di promuovere. I suoi primi dipinti e disegni, esposti giusto all’inizio della retrospettiva del Guggenheim Museum, mostrano chiaramente tutte queste influenze , insieme a quelle portate dall’ormai lontana Germania.
Per un’artista inquieta e instancabile, però, il percorso creativo è appena cominciato e porterà molto lontano. E a dimostrarlo bastano le sculture impalpabili che il museo ha esposto proprio all’ingresso, nella rotonda, e che immediatamente portano il visitatore in un mondo fatto di fili metallici sottili, in cui le linee, lo spazio e il movimento si compongono e mutano in continuazione.
Per arrivare a questi capolavori, dimostrano le varie sezioni della retrospettiva, l’artista ha fatto un lavoro incessante, che l’ha portata a esplorare negli anni ’70 e negli anni ’80 tutte le sfuggenti relazioni tra la luce, le linee e gli effetti ottici, utilizzando i materiali più diversi, dai sottili fili d’acciaio all’alluminio. Nel corso degli anni, le sue ”linee parallele” diventano i più complessi ”reticulareas”, alle sculture eteree si affiancano le litografie e i “Dibujos sin papel”, i disegni senza carta. A poco a poco, l’architetta mancata e’ diventata un’artista riconosciuta a livello internazionale come una delle artiste piu’ significative dell’America Latina, spesso invitata a esporre le sue opere negli Stati Uniti come in Europa.

Perfino quando, alla fine degli anni ’80 e fino alla sua morte nel 1994, le forze cominciano ad abbandonarla, una creatività inquieta continua a sostenerla. Le sue ultime opere mostrate al museo sono più piccole, sculture minuscole in metallo, oggetti colorati realizzati con i materiali più vari, e continuano a proporre un mondo nuovo, in cui le forme e le emozioni si uniscono e si confondono.
”Non so da dove viene il risultato del mio lavoro, non so che cosa inizia con le mie mani, i miei occhi, le mie emozioni. Quello che mi interessa e’ la trasparenza del volume, in modo tale che una forma possa essere apprezzata da tutti gli angoli di osservazione”, aveva raccontato Gego prima di morire.
Adesso, la retrospettiva newyorkese racconta anche molto di più.
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