Di Antonio Mancini ( 1852 – 1930 ) uno dei maggiori artisti italiani a cavallo tra Otto e Novecento, è stato scritto tutto e il contrario di tutto.
Le ristrettezze economiche con le quali ha dovuto fare i conti per buona parte della sua vita, il carattere timidissimo, la ben nota follia e, d’altro canto, il suo modo nuovo e davvero straordinario di dipingere, lo hanno sottoposto a severe critiche ma anche, e soprattutto, ad appassionati apprezzamenti. Tra i suoi più ferventi ammiratori troviamo uno dei pittori americani più importanti di tutti i tempi: John Singer Sargent (1856 – 1925), che di lui ebbe a dire: “ I have met in Italy the gratest living painter ”.
Sembra che i due si fossero conosciuti a Napoli alla fine degli anni Settanta dell’Ottocento.
Il pittore italiano già conosceva Sargent per la fama internazionale che lo aveva accompagnato sin dagli esordi. Dopo una prima fase da paesaggista quest’ultimo si dedicò fino alla morte al ritratto, attività peraltro allora molto ben remunerata. Quando decise di trasferirsi a Londra nel 1886, divenne il pittore ufficiale della borghesia angloamericana ivi residente, richiestissimo, soprattutto dalle gentildonne della Londra bene. Anche Mancini, da sempre, aveva preferito la figura, ma le sue precarie condizioni economiche lo avevano a lungo condizionato. Avrebbe da sempre voluto dipingere, come faceva Sargent, figure a grandezza naturale o come lui amava definirle “grandi al vero”, e non doversi arrangiare con piccole telette, o addirittura materiali di recupero come pezzi di mobili, coperchi di scatole di sigari, cercando di fare, peraltro, un uso parsimonioso di colori.

I due si rividero più volte in Italia, in particolare a Venezia dove furono ospitati dal comune amico e parente di Sargent, Ralph Wormeley Curtis (1854-1922), anche lui pittore statunitense che, trasferitosi nella città lagunare, aveva acquistato il palazzo Barbaro facendone la sua residenza ed un vivace luogo d’incontro per artisti e intellettuali dell’epoca. L’ammirazione reciproca cresceva e Sargent, sempre più, si rendeva conto della genialità di Mancini e delle difficoltà che limitavano il suo genio. Tra il 1901 e il 1902 e, nuovamente, tra il 1907 e il 1908, il pittore italiano soggiornò due volte a Londra. Nel corso del primo soggiorno Sargent realizzò dell’amico il ritratto oggi alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna sotto il quale lo stesso Mancini annotò: “ Mancini ringrazia devotamente Mr. Sargent / che è così buono / con il pittore cattivo Manciney …” .
Senza temere concorrenza, senza remore per l’atteggiamento dimesso e poco consono all’ambiente, ma credendo fermamente nel valore del grande artista italiano, Sargent non si fece scrupolo di introdurlo nell’ambiente culturale di cui faceva parte, al punto tale che Mancini si ritrovò a dipingere personaggi già da lui ritratti in un confronto amichevole e senza alcuna competizione. Dopo Sargent anche Mancini fece il ritratto a Flora Wertheimer, moglie del gallerista e mercante d’arte Asher Wertheimer e a Mary Hunter, appassionata cultrice d’arte e personaggio di spicco del mondo culturale di allora. Quest’ultima, a sua volta amica di Sargent, procurò molti lavori all’artista italiano.

Nel 1902 ambedue i pittori si misurarono con il Ritratto di Mathilde Hirsch nata Seligmann, moglie del banchiere e collezionista londinese Leopold Hirsch. Due capolavori assoluti, con la figura in piedi in Sargent, semisdraiata in Mancini.
Il pittore italiano ottenne così molti incarichi. Il suo giro di amicizie locali si allargò, le commissioni aumentarono e, di conseguenza le sue finanze subirono un netto miglioramento. Potè finalmente dipingere, quasi sempre, figure a grandezza naturale senza doversi limitare nelle spese dei materiali.
Sargent consigliava le opere di Mancini quasi più che le sue. Caldeggiò i suoi lavori presso le più importanti esposizioni britanniche e divenne addirittura un suo collezionista. Almeno sette i dipinti di Mancini documentati come passati nella collezione del pittore statunitense. Tra questi “The maker of Figures” che lo stesso Sargent presentò all’Esposizione italiana a Londra nel 1904, donandolo poi, nello stesso anno, alla nascente Galleria Municipale di Dublino fondata da Hugh Lane, e “A man with frizzy hair” ora al Fogg Art Museum dell’Università di Harvard a Cambridge, in Massachusetts. Quest’ultima opera, insieme con altre tre di Mancini, figurava ancora in collezione Sargent nel 1925, anno della morte di quest’ultimo, quando il contenuto del suo studio fu messo all’asta da Christie, Manson & Wood a Londra, segno che un discreto numero di opere del pittore aveva voluto tenerle per sé.

Nel 1929 cosciente di essere ormai vicino alla morte, Mancini realizza un’opera di assoluta originalità, il cosiddetto “Autoritratto – biografia” in cui si ritrae vecchio, in un angolo della tela. A sinistra, in un ampio spazio, scrive in maniera telegrafica, i nomi e le occasioni più importanti della sua vita in un ordine grossomodo cronologico. A metà dell’iscrizione campeggia: “Londra Sargent”, a riprova che anche per lui l’incontro con l’artista americano e l’aiuto che questo gli ha offerto abbiano avuto un ruolo fondamentale nella sua vita.