Si apre martedì, 8 settembre, a Roma la mostra di Banksy, “Bansky. A visual protest”, lo street artist di Bristol conosciuto in tutto il mondo per la sua capacità di trattare – con stile ironico e poetico allo stesso tempo – temi scottanti e di interesse internazionale, legati alla contestazione sociale e all’etica. Ultima sua opera murale quella realizzata in occasione della 58.Biennale di Venezia, ritraente un naufrago bambino – con un giubbotto di salvataggio e un razzo segnaletico acceso (l’unico dettaglio di colore nell’opera) – appositamente collocato su un muro di un palazzo circondato dall’acqua del Canale (2019).
L’artista, attivo dagli anni ‘90, oramai personaggio di stampo mondiale, ha lasciato la sua firma in tutto il mondo. In Italia un’altra sua opera si trova a Napoli, precisamente in piazza Gerolomini, in pieno centro storico, a due passi da via Duomo: la Madonna con la Pistola – in cui l’arma fa da aureola sul capo di Maria. L’opera è ritratta accanto ad un’altra Vergine (quest’ultima con bambino).
Ed è Banksy colui che nell’ormai lontano settembre 2006, inizia a eseguire i suoi lavori (in tutto nove) sul muro eretto nel 2002 tra Israele e la Cisgiordania (in Palestina): stencil dalle immagini provocatorie e di protesta o piene di speranza. Ma anche evocative, come l’immagine della ragazzina che perquisisce un soldato israeliano con le braccia in alto e il fucile posato a terra, al suo fianco.
Sempre Banksy è lo stesso che nel 2020, tramite un meccanismo inserito nella cornice, permette l’autodistruzione dell’opera appena battuta all’asta per 1 milione di sterline, Girl with a Balloon.
Sempre lui, realizza una Donna in Lutto sulla porta dell’uscita di sicurezza del Bataclan a Parigi: poi rubata nel gennaio 2019. Infine, anche a New York firma diverse opere, tra le quali una grande installazione che raffigura l’artista curda Zehra Dogan, imprigionata in Turchia (2018) e ormai rimossa.
Da oggi dunque, il chiostro cinquecentesco del Bramante ospiterà l’immagine di molte sue opere o, meglio, ciò che resta delle sue opere, visto che un lavoro di Street Art andrebbe osservato nel luogo in cui l’artista ha scelto, illegalmente (la Street Art nasce illegale e Bansky è uno dei pochi che conserva questa caratteristica), di lasciare il suo segno e la sua idea. Pertanto, eccetto che per i quadri realizzati e in esposizione, la mostra riguarderà le serigrafie dei suoi stencil – oltre 100 – provenienti tutti da collezionisti privati. A differenza dei quadri, dunque, reputo un po’ riduttivo – esattamente come accade per le litografie – riportare in serie l’immagine delle opere realizzate sui muri. Credo che in questo modo si snaturi l’essenza stessa della Street Art, libera, illegale e soprattutto, site specific e, in un certo qual senso, imprescindibile dal contesto e dal muro stesso sul quale è stata realizzata.
Ho deciso, quindi, di non andare a vedere questa mostra. Piuttosto mi sono ripromessa di recarmi in qualche luogo in cui l’artista ha lasciato la sua firma, respirando l’aria del luogo in cui l’opera si trova – la stessa che ha respirato l’autore -; osservando gli edifici che caratterizzano il contesto; l’ambiente che l’artista ha scelto per lasciare il suo segno, il muro che, come accennavo pocanzi è parte integrante delle sue opere, oltreché tutto il resto che noterò nei dintorni, non solo “cornice”, ma ragione di essere della stessa opera.
Bansky. A visual protest, in mostra a Roma – Chiostro del Bramante – fino all’11 aprile 2021.