Quand’è l’ultima volta che siete entrati in un museo e vi siete commossi fino alle lacrime? A me è capitato la settimana scorsa a Firenze e mi era successo solo un’altra volta in precedenza: al museo dell’emigrazione di Ellis Island, porto di approdo negli Stati Uniti di centinaia di migliaia di persone provenienti dalle parti più povere dell’Europa (Italia compresa) fra fine ‘800 e inizi del ‘900.
A Firenze si sa, i musei sono dozzine e di tutti i tipi con una delle più alte concentrazioni al mondo di capolavori di tutte le arti visive: dai celeberrimi Uffizi e Pitti a quelli più piccoli e meno famosi che sono comunque scrigni di tesori ineguagliabili. E l’intera città è un museo a cielo aperto e vivo, riconosciuto dall’UNESCO come patrimonio dell’umanità nell’interezza del suo centro storico.
Nessuno meglio di Giorgio La Pira, il Sindaco santo, anima della rinascita culturale e spirituale della capitale toscana dalle macerie del secondo conflitto mondiale, ha colto la missione unica della sua città adottiva: «Firenze ha una propria universale missione nel sistema della civiltà umana e cristiana: essa inserisce, infatti, nel dinamismo così attivo del mondo moderno un elemento equilibratore di riposo, di bellezza, di contemplazione, di pace: essa costituisce per gli uomini di tutti i continenti come una riserva pura, un’oasi delicata, che ha per tutti un dono di elevazione, di proporzione, di misura. Ecco perché Firenze appartiene, in certo modo, a tutti i popoli e a tutte le genti».
Una delle più recenti addizioni alla già sterminata offerta artistica e culturale della città è il Museo degli Innocenti. Inaugurato nel 2016, racconta la storia di un’istituzione che da sei secoli si occupa della protezione dell’infanzia e della tutela dei minori. Quando il mercante pratese Francesco Datini morì nel 1419, lasciò la sua fortuna per la costruzione di un ospitale per infanti abbandonati e ne affidò costruzione e gestione all’arte della Seta, una delle prospere e potenti corporazioni che costituivano la spina dorsale politica ed economica di Firenze tra Medio Evo e Rinascimento.

Le prime straordinarie e commoventi mosse dei mercanti fiorentini sono la scelta di porre il brefotrofio cittadino sotto la protezione dei santi Martiri Innocenti (i bambini sterminati per ordine di Erode dopo la nascita di Gesù) e di affidare il progetto dell’intera e mastodontica struttura a Filippo Brunelleschi, con Leon Battista Alberti l’archistar del momento. Evidentemente questi setaioli erano uomini d’affari scaltri e navigati, ma erano anche coscienti delle responsabilità che la loro ricchezza comportava nei confronti della comunità cittadina e credevano che i poveri, in questo caso i bimbi abbandonati, avessero diritto alla bellezza quanto loro. Sarebbe come se oggi la Confindustria o la Connfcommercio affidassero la progettazione di un centro di accoglienza per migranti a Renzo Piano o a Santiago Calatrava.
Ma torniamo al Museo degli Innocenti: al piano terreno il vostro cuore si spezzerà nel leggere le storie di alcuni delle migliaia di infanti passati per queste mura, storie raccontante da cartigli, frammenti di documenti, medagliette devozionali spezzate, qualche brandello di tessuto che le madri mettevano tra le fasce dei loro bambini prima di affidarli alla ruota e alle cure dell’Istituto. Molte di loro speravano che queste ‘reliquie’ meticolosamente inventariate nei registri e conservate nell’archivio, avrebbero permesso in tempi migliori di riunirsi ai loro figli.
Mentre state ancora riflettendo su queste storie, salirete le scale e vi troverete immersi nella galleria d’arte dell’Ospedale. Qui troverete tante ‘grandi firme’, Dai Della Robbia a Botticelli, dal Ghirlandaio a Piero di Cosimo: pale d’altare, quadri, statue, terracotte invetriate che ornavano le cappelle riservate ai diversi gruppi di ospiti: dalle bambine ai bambini, dalle suore alle balie.

Tra le tante immagini meravigliose, io ne porto idealmente una con me, impressa nella mia memoria: La Madonna che protegge gli Innocenti di Jacopino del Conte. I sei bimbi che stanno sotto il suo manto sono paffuti e in ottima salute. Alcuni sembrano giocare e scherzare. Uno sgranocchia un tozzo di pane, ma nessuno sorride. Le cure amorevoli e la straordinaria bellezza che li circondavano non erano sufficienti a dar loro la felicità di una carezza e la gioia di un bacio. E a questo punto, prima di rituffarvi nel sole abbagliante della piazza dell’Annunziata, piangete un po’ anche voi, vi farà sentire un po’ più umani e comunque con la mascherina non lo noterà nessuno.