
“Ogni cosa trasmette bellezza, ma non tutti la notano” così diceva Andy Wahrol.
L’artista del terzo millennio è diventato testimone della sua epoca con le sue curiosità, incertezze e speranze proprie del nostro tempo.

Questo è ciò che fa Flavio Bragaloni, nato a Marino in Provincia di Roma, iscritto all’APIA (albo pittori italiani) e che vive a New York (Astoria) da 15 anni. Dopo aver a lungo viaggiato, ha deciso di fermarsi qui, a New York, a interpretare i sentimenti sociali e culturali contemporanei di una città. Realizza dipinti di grosso impatto sociale, contro le guerre, le discriminazioni, la violenza e l’emarginazione.
Lo scenario che ci propone nelle sue opere spazia dalle rappresentazioni di New York con spazi urbani apocalittici,(la statua della libertà ripiegata su se stessa, simbolo di un’America succube dalla pandemia), a spiagge affollate di gente felice che nuota, corre, gioca e si incontra nuovamente quasi a voler esorcizzare la paura per un futuro sempre più incerto, ai temi religiosi con meravigliose icone di denuncia alla politica scorretta alle conquiste sociali delle minoranze. A volte spuntano anche bellissime rappresentazioni di colore e speranza che Flavio regala allo spettatore convinto di infondere coraggio mediante la bellezza.

La storia di Flavio e del suo amore per New York inizia nel 2005, gli abbiamo chiesto di raccontarci la sua avventura e di come il mondo dell’arte abbia reagito durante in covid-19 e gli episodi di intolleranza razziale.
Raccontaci brevemente la tua storia d’amore con l’arte e dove ti ha portato ora.
“Da piccolo mi piaceva disegnare. Ricordo quando mio padre mi aiutava lui dipingeva per hobby e mi trasmise la passione per l’arte. Ho frequentato l’istituto d’arte a Pomezia, le mie materie preferite erano disegno geometrico, scultura, fotografia e biologia. Ma già da piccolo dipingevo su tela. Mi sono iscritto a un corso di decorazione pittorica per 2 anni a Roma, la mia professoressa Paola Dondoni (che stimo molto) mi ha insegnato alcune tecniche pittoriche che mi hanno aperto una nuova visione nel dipingere e mi hanno dato l’opportunità di viaggiare decorando bellissime residenze, collaborando con lo studio di architettura con sede a Roma, Design 2000 international SPA. Mentre ero in Russia, nel 2005, mi hanno offerto di venire a decorare un appartamento lussuoso all’ottantesimo piano della Trump Word Tower qui a New York. Decoravo gli ambienti con oro in foglia, affreschi, venetian plaster. Ho conosciuto alcuni architetti, che mi hanno affidato nuovi incarichi. Nel frattempo continuavo a dipingere a olio, ispirandomi ai temi sociali che quel mondo mi suggeriva”.

Che prospettive si sono aperte in una città come New York? Come ha reagito il pubblico ai tuoi lavori?
“Vivere qui ha cambiato la mia vita, questa città ha trasformato il mio modo di essere e il mio modo di dipingere, ma dal primo giorno mi sono subito sentito a casa. Il mio lavoro di decoratore è stato sempre apprezzato da tutti i miei clienti , amo il mio lavoro e cerco di dare sempre il meglio. Ci sono stati dei momenti difficili a causa del mio visto e molte volte arrivavo con pochissimi soldi a fine mese, ma le tele e i colori per dipingere le ho sempre comprate, erano loro il mio primo pensiero. Ho partecipato a mostre con altri artisti ed è stato fantastico vedere la mia opera esposta: i mie dipinti sono rappresentativamente forti , d’impatto e non sono facili da vendere per i soggetti che rappresento. Accetto con positività le critiche perché contribuiscono all’evoluzione dell’artista”.

I temi che hai toccato con i tuoi dipinti sono di grande importanza sociale: il potere del denaro, l’inquinamento, la violenza sulle donne, i diritti dei gay. Pensi che in Italia avresti avuto un appeal differente?

“Sulla tela racconto storie di vita di tutti i giorni parallelamente a ciò che accade intorno a noi. Ad esempio, ho realizzato un quadro(“The war”), ispirato all’episodio del 2009 nella base militare di Fort Hood, in Texas, dove morirono 13 militari e altri 30 sono rimasti feriti a seguito di una sparatoria per mano del maggiore Nidal Malik Hasan. La mia firma l’ho poi messa su una targhetta (quelle piastrine con catenelle che usano i militari). In un’altra opera, “Chicago violenta”, ho rappresentato la delinquenza e il crimine che dettano legge nelle periferie delle metropoli.
Nell’estate del 2010 ha dipinto “Gay Marriage” che allora rappresentava un desiderio per molti e che, a distanza di un anno, è diventato legge dello Stato di New York. Ho molto miei amici in Italia che apprezzano il mio stile , ma qualche galleria a rifiutato di esporre delle mie opere perché troppo “impegnate socialmente”, ponendo limiti alla mia espressione. Sono sicuro che in Italia se non si possiedono raccomandazioni non sia possibile emergere”.

Nel periodo di lockdown come ha reagito la tua creatività? Cosa hai prodotto?
“Ho avuto la possibilità di raccogliermi con le mie idee chiudermi nello studio 5/6 ore al giorno e creare. In questi 2 mesi e mezzo ho realizzato 24 dipinti molti finiti in un giorno. Il primo dipinto è Italian Ballad 2020, che raffigura i colori della bandiera italiana e una bocca aperta che grida, canta: rappresenta un’Italia che ha paura ma vuole reagire, ho pianto mentre lo realizzavo perché pensavo alla mia famiglia gli amici e alla mia splendida Terra. Se anche i politici riuscissero a vederla così sarebbe fantastico!

Gli altri parlano di New York , l’applauso dai balconi alle 7pm ogni giorno dedicato ai medici e le persone in prima linea. Ho rappresentato la statua della Libertà chiusa in casa con il volto disperato, triste, stanco e con la sua corona poggiata su di un tavolo. In questi giorni, invece ho partecipato alle proteste anti razzismo realizzando un’opera ispirata al tragico episodio di Minneapolis, in onore di George Floyd“.

Che messaggio hai voluto trasmettere?
“La cosa che mi ha ispirato maggiormente è la forza della gente, le loro emozioni, la paura nei loro sguardi. Io ho solo trasmesso dipingendo quello che stava accadendo una cronaca diciamo dipinta su tela, cercando di inviare un messaggio di speranza”.

Come pensi che le persone usciranno da questo travagliato periodo di disordini, tra Covid e proteste razziali? L’arte come reagirà?

“Ci vuole tanta positività lasciare da parte i pensieri negativi. Per molto questo periodo a dato la possibilità di riflettere sul futuro , molti hanno cambiato il lavoro e molti lo hanno perso. La storia del razzismo è una piaga di questo Paese e appoggio tutte la manifestazioni di protesta di questo periodo e mi deludono gli atti vandalici , ma anche su questo bisognerebbe indagare sul la gente abbia reagito così. Spero che la morte di George Floyd sia l’ultimo gesto di razzismo, che le persone vogliano veramente cambiare il modo di pensare perché nessuno è padrone della vita altrui. Non so come l’arte reagisca, siamo in un periodo di confusone e siamo bombardati di stimoli…Io continuo per la mia strada ascoltando il mio cuore e la mia anima… La mia corrente artistica è questa!”