Negli ultimi giorni prima dell’isolamento totale decretato dal Governo ho fatto in tempo a visitare la mostra Time Machine. Vedere e Sperimentare il Tempo. Allestita nel Palazzo del Governatore a Parma, la mostra, è uno degli eventi centrali organizzati per Parma Capitale Italiana della Cultura 2020. In questo momento non si sa se la mostra potrà riaprire. Rimane anche incerto se la richiesta giusta e ragionevole di estendere a tutto il 2021 lo status di Parma verrà accolta dal Ministro dei Beni Culturali, Franceschini. Io credo che il lavoro straordinario della squadra capitanata da Michele Guerra per il Comune di Parma e dal mantovano Ezio Zani, direttore del Comitato, meriti di poter essere esibito e goduto da tutti, una volta che l’incubo Coronavirus sarà finito.

Time Machine è una mostra della quale è quasi impossibile scrivere perché è composta da immagini in movimento, ma è catturata sulle pagine di un ricco catalogo (Skira) con importanti saggi del team curatoriale (Antonio Somaini, Éline Grignard e Marie Rebecchi) e di altri studiosi e un impressionante apparato fotografico. Time Machine è una mostra sul cinema dalle sue origini, come esperimento tecnico-scientifico che dava movimento alla fotografia, fino alla video art contemporanea, ma è anche una riflessione sul tempo e la nostra percezione di esso. In questi giorni che, per tanti di noi sono di forzato isolamento e di rottura della routine quotidiana che normalmente scandisce le nostre vite, credo abbiamo pensato tutti a come ci sembrano lunghe le giornate, a come ritmarle, a come accorciarle con attività e modalità di relazione diverse da quelle a cui siamo abituati.

Le due ore passate nella mostra sono state un viaggio fantastico, anche se il tempo ideale per godersela appieno sarebbe di almeno quattro. L’esperienza per me è stata resa ancora più intensa dall’avere come guida d’eccezione proprio l’ideatore della mostra, Michele Guerra, che oltre ad essere assessore alla Cultura è anche ordinario di storia del cinema all’università di Parma. A Michele ho anche estorto qualche breve video che trovate all’interno di questo articolo. La qualità delle mie riprese è decisamente sub-amatoriale, ma le spiegazioni dell’assessore/professore sono sintetiche e illuminanti. Non avrei osato pubblicare questi video se le circostanze non fossero queste. Per il momento sembra che questo mio tentativo di guidarvi in una sorta di giro virtuale della mostra sarà l’unico modo per esplorarla.
Dopo una seire di apparecchi d’epoca che documentano le origini della settima arte, si entra in una serie di sale scure illuminate dalle immagini proiettate. Fin dalle origini il cinema ha cercato non solo di riprodurre la realtà, ma anche di manipolarla; tecniche come il rallentatore, il passo uno, il time-lapse, il ciclo continuo, lo split screen sono nate, infatti, insieme al cinema. I primi time-lapse di fiori che sbocciano e di cristalli che cambiano struttura sono di una bellezza struggente e sfuggente visto che l’illusione dell’accelerazione ci fa godere l’intero processo della fioritura in pochi secondi. L’esposizione multipla di persone su uno sfondo fisso crea esseri eterei, quasi come fantasmi; mentre le riprese a passo uno in una Praga deserta con una o due persone per strada che sembrano pattinare o volare rasoterra è allo stesso tempo evocativo delle strade deserte delle nostre città in questi giorni e magico.
Tutte queste tecniche e molte altre, sono state migliorate nei decenni ed applicate, non più come esperimenti tecnico-ottici ma come effetti speciali usati normalmente nella normale produzione cinematografica contemporanea. La diffusione degli smartphone, poi, ci ha messo in tasca la possibilità di giocare con tutti questi effetti con disinvoltura anche solo per stupire e divertire i nostri amici.
Due opere, in particolare hanno continuato a riverberare nella mia mente in queste interminabili giornate di tempo allungato. 24 Hours Psycho (1993) di Douglas Gordon è un’installazione video che estende la durata del thriller di Alfred Hitchcock da 109 minuti a 24 ore. L’esasperante lentezza della proiezione ha un effetto straniante e, allo stesso tempo ci permette di godere ogni dettaglio di ogni inquadratura, ma perdendo, ovviamente, il filo della storia.
Nel video di David Clarebout, The Algier’s Section of a Happy Moment (2006) scorrono 600 fotografie in bianco e nero scattate praticamente all’unisono su un campetto di calcio improvvisato sul tetto di una casa della casbah che si affaccia sul mare. È un momento felice che si dilata con ragazzi che saltano, voli di gabbiani, un cielo punteggiato solo di qualche nube.

Quando l’incubo che stiamo vivendo finirà e se il Comune di Parma riuscirà ad ottenere un prolungamento a tutto il 2021 del suo status di Capitale Italiana della Cultura, tornerò a vedere Time Machine. Credo che me la godrò ancora di più perché, come tutti voi avremo sviluppato una nuova consapevolezza del potere del cinema di allungare, accorciare e manipolare il tempo. Le lunghe giornate in casa in cui i film in tv sono la nostra principale fonte di intrattenimento ed evasione avranno avuto almeno questo merito.
Graphic designer and multimedia consultant: Francesco Maria Mussini