Hanno chiuso i battenti da qualche giorno le mostre su Giulio Romano che hanno attirato a Mantova decine di migliaia di visitatori. I numeri ufficiali sono lusinghieri, al di là delle polemiche leghiste di questi giorni, e vanno nella direzione giusta di una rivalutazione della vocazione turistico e culturale della città e fanno ben sperare per un futuro in cui un turismo più stanziale permetterà ai visitatori di godere appieno delle bellezze di Mantova e alla città di crescere anche economicamente. Voi però mi perdonerete se mi lascio prendere dalla deformazione professionale e, a fine trimestre, mi sento di dare i voti.
A Giulio, fuoriclasse assoluto anche se ancora non abbastanza studiato e celebrato, confermerei il massimo dei voti e l’imperitura gloria nella trinità artistica mantovana con Leon Battista Alberti e Andrea Mantegna. Giulio è, forse, il più mantovano dei tre per l’impronta che ci ha lasciato in tutti i campi in cui è stato attivo. La mostra appena conclusa ha avuto l’innegabile merito di dar conto della sua poliedricità spaziando dal suo talento di disegnatore, pittore, architetto, designer (per usare un termine contemporaneo) che si muoveva con eleganza e nonchalance tra il pornografico e il devozionale, sempre mettendoci quel nonsoché di suo che connota, più e meglio di una firma, la sua produzione artistica.
Prevengo le vostre perplessità e riconosco che non dovevo arrivare io da New York per dare 10 e lode a Giulio Pippi detto il Romano, ma mi sembrava giusto rendergli omaggio prima di entrare nel merito delle mostre che gli sono state dedicate lo scorso anno a Mantova. Fin dalla prima riga di questo articolo sono stato in dubbio se usare il singolare o il plurale. Le mostre erano una o due? E questa mi sembra la questione fondamentale per valutarne il valore e l’impatto. La mia risposta è che le mostre erano innegabilmente due, ma sarebbe stato meglio fosse stata una sola. Che erano due è ovvio: due titoli diversi “Arte e desiderio” a Palazzo Te e “Con nuova e stravagante maniera” a Palazzo Ducale, due ottimi team curatoriali, due bei cataloghi, due siti web collegati, seppur malvolentieri, tra di loro , due spazi distinti e due enti promotori.
Della mostra a Palazzo Te, lo storico dell’arte Lorenzo Bonoldi, guida turistica prediletta dai più raffinati visitatori anglofoni, mi ha detto che per lui “è stato bello poter accompagnare i suoi clienti alla scoperta di un periodo storico nel quale la libertà dei costumi era simile, se non forse maggiore, a quella di cui godiamo oggi. Un periodo nel quale era possibile essere, allo stesso tempo, ‘naughty AND nice’ ”. La chef Giovanna Colombo è stata un po’ delusa dal numero relativamente basso di opere in mostra, mentre le insegnanti Bianca Fercodini e Barbara Poltronieri hanno sottolineato che sono stati soprattutto i luoghi espositivi a dare senso e dignità alle mostre.
Ho visitato le mostre un paio di settimane fa con un gruppo di amici e colleghi di diversa provenienza. Tutti hanno ceduto ancora una volta all’irresistibile fascino di Mantova, dei tortelli di zucca, della nebbia che smussa angoli e attutisce rumori, e hanno apprezzato l’accoglienza turistica e l’impeccabile servizio di navetta gratuita che collega le due sedi delle mostre. Ma tutti abbiamo avuto la stessa impressione: di trovarci in visita a due separati in casa. Non stiamo parlando della bilocazione; la mostra poteva essere anche ulteriormente decentrata su più sedi, ma sarebbe stato infinitamente meglio se fosse stata una mostra sola con un forte concetto unificante, un solo team curatoriale, un solo titolo e un solo catalogo. La comunicazione sarebbe stata più facile ed efficace e la fruizione più piacevole ed educativa per i visitatori.
Una visitatrice di 9 anni, Giulia, ha riassunto bene questa esigenza quando ha chiesto alla mamma di scattare una fotografia di uno dei disegni preparatori per la sala dei Giganti di Palazzo Te che erano in mostra al Ducale “per confrontarli da vicino”. In effetti, i magnifici disegni prestati dal Louvre, come hanno percorso 1.027 km per arrivare da Parigi al Ducale, potevano percorrerne un altro paio per arrivare a Palazzo Te sotto gli affreschi stessi.
Alla prossima occasione, che spero non mancherà presto, sono sicuro che Mantova ascolterà la saggezza di Giulia e farà un piccolo sforzo per presentarsi al mondo meno frammentata e più consapevolmente unita nella sua bellezza.