“È difficile tenere desta l’attenzione del mondo per più di un quarto d’ora. Io ci sono riuscito per vent’anni!”. E ha avuto ragione Salvador Dalì, artista eclettico e originale, che della sua arte né ha fatto un brand, oggi in mostra a Napoli a Palazzo Fondi fino al 2 febbraio. “Branding Dalì, la costruzione di un mito” curata da Alice Devecchi, dalla collezione di Mix’s Art, presenta 150 opere inedite allestite da ART.URO in collaborazione con-fine edizione e Me-diterranea Art.
Ma come è riuscito Salvador Dali’ a costruire il suo “brand”? Una vera e propria sfida?
“La sfida di Dalì – ha detto alla Voce di NY la curatrice della mostra, Alice Devecchi – è stata quella di far parlare di sé. Credo che sia stata consapevolmente perseguita questa ripetizione continua del suo brand che si è costruito con una serie di collaborazioni e operazioni con industrie e imprenditori di mondi diversi. La sfida è stata quella di riuscire ad attrarre l’attenzione su di se ed è andata oltre i vent’anni da lui pronosticati visto che stiamo qui a parlare ancora di lui. E’ riuscito a sfruttare i mezzi di comunicazione a proprio vantaggio, oggi avrebbe sicuramente utilizzato i social per costruire la sua immagine. Un vero precursore dei nostri tempi”.
Una chicca della mostra è la Divina Commedia.
“C’è l’opportunità di vedere l’intera Divina Commedia in 100 xilografie divise nelle tre Cantiche. Il senso di esporle all’interno di una mostra del genere, è quello di dare la misura di come Dalì si sia a un certo punto, mentre illustrava la Divina Commedia, identificato con Dante stesso ma più che con il poeta come colui che ha avuto la possibilità di sondare i misteri dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso, in una sorta di delirio di onnipotenza, vestendo i panni di Dante come poi veste, in un’altra delle opere che sono qui esposte, i panni di Dio”.
In mostra alcune piastrelle che l’artista catalano realizzò per un Ministro di Francisco Franco. Il padre del surrealismo che aderì ben presto al movimento surrealista lo fece con un atteggiamento molto diverso dai suoi colleghi che appoggiavano la rivoluzione comunista. Decise di vivere in Spagna sotto la dittatura franchista e in alcune opere evidenziò elementi legati al filo nazismo, frutto di visioni oniriche secondo il pittore ma decisamente di “adesione al nazi-fascismo” secondo Breton. Un artista fuori dalle regole, senza dubbio, arrogante, narcisista, affascinante e imprenditore di se stesso che è riuscito a trasformare la sua immagine in opera d’arte. “Avenida Dollars”, anagramma coniato per Dalì da a Breton, nella mostra a Napoli, racconta quel suo modo di fare “soldi” producendo opere, oggetti, manifesti, utilizzando le tecniche artistiche più disparate.
Palazzo Fondi, che ospita la mostra, rappresenta un vero e proprio brand, un contenitore multiculturale, recuperato da Urban Value attraverso la rigenerazione urbana, con l’Agenzia del Demanio, il Comune di Napoli e la Soprintendenza: in soli 19 mesi è diventato un polo culturale di prestigio con un indotto economico reale di 4.471.000 euro. L’amministratore delegato di Urban Value, Simone Mazzarelli, ha infatti dichiarato alla Voce di New York “che si possano tracciare nuovi destini di luoghi fatiscenti e come possano essere restituiti alla collettività valorizzando quei beni pubblici abbandonati”.
La mostra mette in luce l’operazione di branding di se stesso, un brand che realizza grazie anche a sua moglie Gala, musa ispiratrice di tante opere, che lo aiuta nel corso della sua vita. La mostra presenta opere che vanno dagli anni ’50 agli anni ’80: serie grafiche, manifesti, libri, porcellane, terracotte, libri. L’artista ci porta nel suo mondo dei sogni, nella sua percezione onirica e nella psiche umana.
L’icona coi baffi all’insù è talmente attuale che, il protagonista de La Casa de Papel, serie di successo di Netflix, si chiama “Salvador” e le maschere dei rapinatori da lui capeggiati, mostrano il volto di Dalì, un volto eroico per una nuova Resistenza. Questo a sottolineare come il brand plasmato su se stesso abbia davvero superato la prova del tempo e sia ancora un marchio vincente. Del resto, se ne parliamo ancora, Salvador Dalì ha confermato quel che diceva delle sue opere: “Sono io la mia vera opera d’arte”.