A quasi trent’anni dal debutto, torna in scena anche in Italia (dopo Londra e Broadway), Angels in America di Tony Kushner, ormai un classico moderno del teatro americano, che da subito, negli anni novanta, ha fatto epoca, raccogliendo tra l’altro una messe di premi importanti, il Pulitzer per la drammaturgia nel 1993 e due Tony Award, insieme a numerosi Emmy e Golden Globe vinti dalla serie tv tratta dal testo e diretta da Mike Nichols per la Hbo (interpretata da un cast stellare, tra cui Al Pacino, Meryl Streep, Emma Thompson).
Ritorna a Milano, al teatro dell’Elfo, che ripropone la produzione del 2007 con un cast parzialmente rinnovato, grazie all’innesto di alcuni magnifici giovani attori.
Siamo nell’America del secondo mandato reaganiano, nel cuore degli anni ottanta, nel momento dell’esplosione dell’HIV, con i pregiudizi e lo stigma che avrebbe poi accompagnato la malattia per parecchi anni.
New York, 1985: a Prior Walter, bianco e di ottima famiglia, fidanzato con Louis, ebreo di sinistra, viene diagnosticato l’AIDS. Lou, di fronte alla sofferenza di Prior e alla devastazione del suo corpo, non riesce a reggere a lungo e lo abbandona. Conosce poi sul Lavoro Joe Pitt, giovane avvocato mormone di fede repubblicana, sposato con Harper, ragazza emotivamente fragile e dipendente dagli ansiolitici. Prior ha accanto a sé Belize, un amico infermiere, ex drag-queen, che se ne prende cura. Joe, che prenderà coscienza della propria omosessualità in seguito all’incontro con Lou, di cui si innamora, è il pupillo di Roy Cohn, avvocato ultraconservatore con le mani in pasta, corrotto e strettamente legato al potere costituito, personaggio reale tratto dalla storia recente: consigliere del senatore McCarthy negli anni cinquanta, tra i massimi responsabili della condanna a morte dei coniugi Rosenberg, consulente legale e consigliere del giovane Donald Trump dal 1972 al 1985.
E naturalmente c’è l’Angelo, che visita Prior (Angelo di Genio, un attore da tenere d’occhio) per farne il Profeta di questo mondo moderno, da cui Dio ha distolto lo sguardo e in cui l’uomo, che sembra aver perso il senso del limite, si aggira in uno scenario di rovine.
Questo il nucleo della vicenda, da cui si dipanano le storie dei protagonisti lungo le quasi sette ore di messinscena, per chi ha la vera fortuna di poter assistere alle due parti dell’opera, Si avvicina il millennio e Perestroika, nello stesso giorno, l’una di seguito all’altra (con adeguati intervalli), in una maratona immersiva che assorbe lo spettatore senza mai stancare, ricordandoci nel migliore dei modi che il teatro è la prima – e tuttora la più efficace – forma di realtà virtuale, per di più da fruire non in solipsistico isolamento, ma collettivamente.
La messinscena, con la regia di Elio De Capitani e Ferdinando Bruni (tra i più grandi uomini di teatro che il nostro paese possa vantare, al cui infaticabile e pluridecennale impegno dobbiamo molto), è di grande efficacia e sempre accattivante: un meccanismo perfetto che però non risulta mai artificioso, il cui ritmo non ha cedimenti. La scenografia combina il minimalismo essenziale degli ambienti, in cui pochi oggetti prendono plurime vite, con la ricchezza immaginifica dei filmati proiettati sulle tre pareti del palco, in un continuo trascolorare, che ci trasporta da New York all’Antartide, da Central Park al Paradiso. Gli attori, tutti, senza eccezioni, sono strepitosi.
Il testo drammaturgico, potente e ricchissimo di temi politici e esistenziali, inestricabilmente intrecciati (tutto è politica per Kushner), sviluppa una sorta di epopea corale e collettiva, crudamente realistica e visionaria al contempo, che alterna lucidi brani di presente a soluzioni da fantasmagoria barocca, una penetrante ironia all’elemento fantastico del soprannaturale, evocando in qualche modo la dimensione shakespeariana del teatro.
Nella prima parte, Si avvicina il millennio, la scrittura di Kushner è così serrata da lasciare senza fiato. In Perestroika si fa più allentata, il tono cambia, e ci accompagna allo scioglimento delle storie di tutti.
Dopo tanto penare, l’epilogo in Central Park, sotto lo sguardo protettivo dell’angelo della fontana di Bethesda, è all’insegna dell’apertura e della speranza. Siamo nel gennaio del 1990, è appena caduto il muro di Berlino, Gorbaciov sta avviando un nuovo corso globale degli eventi. Prior non muore, sceglie di vivere, pur nelle difficoltà della malattia, e persone così (eppure soltanto apparentemente) distanti come possono essere un wasp, un ebreo radical, una donna mormona, un ragazzo emarginato di colore, si ritrovano inseme: un dialogo è possibile. In fin dei conti, “perestroika” significa ricostruzione.
Kushner ha definito questo suo ormai mitico lavoro una “commedia di New York”: il tema del pluralismo, della convivenza, della cosiddetta “diversity”, tanto a cara ai newyorkesi, è al cuore del testo. Il melting-pot come prezioso valore da tutelare.
Il millennio è arrivato e ci è esploso tra le mani. Eppure il testo di Kushner (sorprendentemente, essendo così legato agli anni in cui è ambientato) non è affatto datato e risulta tuttora attuale da ogni punto di vista, a cominciare dallo sguardo politico sulla realtà, la riflessione sul potere e la disgustosa, feroce ipocrisia a cui è unito. Roy Cohn morirà di AIDS, sulla scena e nella realtà, poco dopo essere stato radiato, negando fino all’ultimo la malattia, ufficialmente fatta passare per un cancro al fegato. In uno dei passaggi moralmente più difficili da digerire, Cohn (qui interpretato da un irresistibile De Capitani) dichiara di non essere un omosessuale, ma, al limite, un uomo che ha rapporti sessuali con altri uomini, e che l’AIDS è una malattia da omosessuali, perciò lui non può averla: “Chi sono definisce che cosa sono”, e non il contrario.
Ed è senza dubbio sempre attuale per l’universalità dei temi più squisitamente umani e esistenziali, come l’abbandono e l’inadeguatezza di molti di noi di fronte alla sofferenza di chi diciamo di amare, o l’incessante bisogno di trovare la nostra più vera identità personale, in una complessa dialettica con le nostre radici e al di là di etichette e stereotipi razziali, sociali, di genere. Tutti – wasp, ebrei, mormoni, neri, atei, gay, etero, radical, repubblicani…- conosciamo la fatica di stare al mondo.
Teatro Elfo Puccini, Milano
26 ottobre – 24 novembre 2019
ANGELS IN AMERICA
Si avvicina il millennio e Perestroika
di Tony Kushner
uno spettacolo di Ferdinando Bruni e Elio De Capitani
con Angelo Di Genio, Elio De Capitani, Cristina Crippa, Ida Marinelli, Umberto Petranca, Sara Borsarelli, Alessandro Lussiana, Giusto Cucchiarini, Giulia Viana
scene di Carlo Sala, costumi di Ferdinando Bruni
video di Francesco Frongia
luci di Nando Frigerio, suono di Giuseppe Marzoli
una produzione Fondazione Campania dei Festival – Napoli Teatro Festival Italia e Teatro dell’Elfo