Da giovedì 2 a domenica 5 maggio, Randall’s Island ha ospitato il Frieze, la fiera d’arte che ha raccolto le opere di circa 200 gallerie provenienti da 26 paesi diversi. Visitare Frieze New York è come andare ad un supermercato d’arte di lusso ma può anche rappresentare un’esperienza educativa fondamentale per capire quali sono i maggiori artisti emergenti e quali sono le tendenze di questo mercato.

L’ottava edizione ha ospitato anche una mostra in realtà virtuale ‘accessibile’ tramite set VR; tanti gli artisti che hanno contribuito con diverse installazioni, tra tutti, anche Anish Kapoor con “Into Yourself, Fall”, che ha ricreato l’esperienza delle vertigini e della caduta. Una piacevole ‘distrazione’ dai lunghissimi corridoi dello spazio espositivo sono stati i diversi incontri organizzati con artisti del calibro di Simone Leigh, l’attivista scultrice che in questi mesi sta esibendo i suoi lavori al Guggenheim (e presto sulla High line).
Scenografica l’accoglienza all’ingresso con uno degli ultimi lavori di Yayoi Kusama, questa volta nessuna delle sue zucche a pois ma un’interazione del suo “Giardino di Narciso”: immaginate di entrare e trovarvi subito di fronte a centinaia di sfere di acciaio specchiante, disposte ai piedi del quadro di Chris Ofili ‘To take and to give’ dove una pila di donne dal corpo colorato si ammassano l’una sull’altra…
L’installazione di Kusama sarà stata la più fotografata ma non era certo la più inusuale: per (soli) ottomila dollari era infatti possibile portarsi a casa una lavatrice da cui fuoriescono la coda di una sirena (rimasta incastrata?).
L’opera di Olivia Erlanger era disponibile in blu giallo e arancione.
Altra opera-installazione dalle dimensioni non indifferenti, comprata da un museo per mezzo milione di dollari, era “L’autobus”.
Il lavoro, promosso dalla galleria Marlborough è lungo almeno 6 metri ed è la riproduzione di un autobus newyorkese con a bordo una dozzina di finti pendolari fatti di schiuma e dipinti con colori vivaci.
Un grande sorriso, lo ha strappato invece, la già conosciuta provocazione di Steve Keene con la sua installazione ‘vivente’: da una pedana l’artista dipingeva contemporaneamente decine di quadri per poi venderli ai prezzi più bassi della fiera. A detta della galleria, Keene negli ultimi 25 anni ha venduto almeno 250.000 quadri. (“Se la compro al Frieze, vuol dire che e un’opera d’arte? Ma se la pago solo 20 dollari?” Si chiedevano alcuni degli acquirenti in fila per pagare).
Menzione speciale per la Donald Ellis, la galleria specializzata nell’arte dei nativi americani; presenti al suo stand le opere attribuite a “Big Spring”, (vedi ‘War record’) ma anche i lavori commissionati dalla Società Ferroviaria Great Northern Railway per promuovere il turismo nel Montana agli inizi del ‘900.

La galleria Mariane Ibrahim ha presentato i lavori dell’artista americana-sudafricana Thenjiwe Niki Nkosi che attraverso la rappresentazione lineare di alcuni ginnasti che si esercitano, parla di un tema più grande: i corpi di colore in spazi che di solito sono prevalentemente occupati dai bianchi. Molto bello il quadro “Practice”.
Se vi siete persi la visita al Frieze, vi siete anche persi l’esposizione della galleria Lehmann Maupin di Nari Ward (l’artista di ‘We the people’), ma niente paura perché l’artista giamaicano sarà per tutto il mese di maggio anche al New Museum. Un’altra opportunità per godere dell’arte del Frieze anche dopo la chiusura della fiera, è quella di visitare il Rockefeller Center e il suo nuovo allestimento.
Tra tutti i lavori, contemporanei e non (c’è un Miro degli anni ‘70), due spiccano per provocazione e maestosità. Le bandiere delle Nazioni Unite che incorniciano la celebre pista di pattinaggio, sono state sostituite da 50 ‘stracci’ di juta prodotti in Ghana dall’artista Ibrahim Mahama per richiamare l’attenzione sulla disparità delle risorse che esiste nel mondo.
Entrando nel Rockefeller Center dalla Quinta Avenue invece, è impossibile perdersi l’enorme statua di una testa dipinta di bianco, alta quasi otto metri, con due mani che si coprono gli occhi. Il bronzo, poi imbiancato, si chiama “Behind the Walls” ed è stato creato dall’artista Jaume Plensa come provocazione. Quante volte anche noi facciamo finta di non vedere quello che non ci va? Sculture ed opere d’arte esposte sulla Quinta Avenue saranno visibili fino al 28 giugno.