Ho conosciuto il Maestro Boccardini nel 2016. Sono stata personalmente nella sua Fondazione di Perugia dove ho potuto osservare a lungo le sue opere: è stato come fare un tuffo nella luce. I suoi dipinti rimangono impressi per i colori accesi, il segno, la bellezza e l’originalità. Le immagini che vivono e si muovono mentre il nostro occhio le guarda ci raccontano una storia, nella quale i soggetti, i segni e i simboli che abitano le tele ci ricordano una trama che abbiamo vissuto anche noi e che è dentro di noi, non solo nell’autore.
Le opere di Luciano Boccardini vanno guardate e riguardate: prima nel generale e poi nel particolare. Le linee che usa – geometriche e non – gli scenari, gli oggetti, i soggetti, le forme, i colori, le luci e le ombre, compongono “visioni”, non immagini. Ma per intravederle è necessario aspettare. E dimenticare che siamo davanti a un quadro perché solo in questo modo – aspettando – sarà possibile scorgere il tutto, nel suo insieme perfetto.
Indipendentemente dalle scelte stilistiche e dall’identità che l’autore da o vorrebbe fosse data alle sue opere, esse sono certamente “complete”. I mondi che Luciano ritrae e ci porge, infatti, sono “perfetti”: nel senso che ogni essere animato o inanimato, reale o fantasioso, umano, animale o vegetale, vive in armonia perfetta con gli altri. Nelle sue opere c’è la vita di tutto l’universo, tutto il creato e ciò che è stato inventato ed esistito. Tutto il bene e tutto il male che conosciamo. Ogni elemento convive insieme agli altri in un’armonia perfetta, senza alcuna discrasia; come se un suono sottile scivolasse sulla tela, accarezzando, avvolgendo e unendo ogni soggetto. Cristi, madonne, santi, puttane. La vita e la morte. La verità e la menzogna. La gioia e il dolore. Soggetti e oggetti assumono una loro personalità: carte da gioco, attori, spaventapasseri, lune, maschere, mari, monti, uccelli: tutto è presente nelle opere di Boccardini e tutto vive, ha un ruolo significativo sul suo palcoscenico.

Il suo stile surrealista ci impressiona: scorgiamo la sua lirica proprio nella capacità di trasformare i vari elementi in un insieme unico, naturale, come fosse un mondo che si muove con una propria logica lineare, un ordine, una sua normalità.
I soggetti (e gli oggetti) vivono in una magia reale, possibile e di rara bellezza, come quando ci troviamo davanti ai pesci che fluttuano Intorno al sole (Sole e Balena). In questa sua capacità di trasformare – artisticamente parlando – il particolare irrazionale e “alogico” in un generale compiuto e naturale, sta la “perfezione” di Boccardini: egli non ci sorprende per la “incompatibilità” ma per l’abilita’ e la naturalezza con le quali riesce a far convivere insieme tutti i suoi elementi, reali e non.

Come le pere intorno a Cleopatra, o L’urlo dell’uccello (o, forse… urlano il mare e tutta la natura circostante?). Indipendentemente dal significato simbolico e, quindi, dalla chiave di lettura che potremmo cercare indagando le sue figure, implicando in questo modo l’utilizzo di un linguaggio e di un codice razionale ecco, prima ancora di tutto questo, preferisco soffermarmi sulla “fase” di percezione dell’opera e non di studio che, inevitabilmente, ci allontanerebbe dalla capacità di scorgere dentro il nostro inconscio e quindi anche in quello dell’artista.

In tutto ciò, non resta che dedurre che lo stesso Boccardini sia parte di quel suo universo: oggi più che mai le sue tele sono un codice di segni e graffi che l’autore recupera dentro il suo passato e il suo vissuto, con autenticità e immediatezza. Non ha più tempo per tecnicismi e abilità stilistiche. Nella sintesi cerca l’elemento perfetto in quanto fedele a se stesso, pertanto vero. Il graffio gli è amico e riempie la solitudine – amara – dei suoi ricordi sulla tela, come quelli d’infanzia. E resta parte integrante di uno spazio che non indaga, ma accetta; non perché spinto da un atteggiamento passivo ma, bensì, in quanto consapevole e certo, che esista un ordine già stabilito, un universo che segue le sue leggi e nel quale anch’egli vive in perfetta armonia, seppure conscio che il tempo non gli sia più amico. Nel suo stile surrealista, vive una realistica consapevolezza. Di chi ha saputo comprendere le tappe del proprio viaggio. Il proprio ruolo.
L’artista ci mostra pertanto un “mondo possibile”, in cui tutto può coesistere e convivere, in modo naturale, in un insieme che si trasforma in perfezione rara e universale. In questo senso, di “insieme perfetto” mi è difficile ignorare la memoria della sensazione di completezza che, allo stesso modo, mi suscitano alcuni versi del Paradiso dantesco, precisamente nell’ultimo canto, il XXXIII, dall’ottantacinquesimo all’ottantasettesimo verso, durante la “folgorazione” e la “contemplazione” che prova Dante al momento del suo incontro con Dio, cioè al momento dell’incontro con l’essenza di Colui che, con amore, unifica il creato, in un “tutto unico armonico perfetto”: “Nel suo profondo vidi che s’interna, legato con amore in un volume, ciò che per l’universo si squaderna”.