Flavio Campagna, in arte Kampah o anche F CK, è un regista, pittore, designer, illustratore, fotografo e stencil artist di fama internazionale. Originario di Parma, grazie alla sua bravura è diventato uno dei pionieri della motion graphics televisiva, portando in auge uno stile che ha fortemente influenzato designer e registi moderni e lavorando in ogni parte del mondo: Roma, Londra, Los Angeles, Amsterdam, Bali, Sydney. Consegue il diploma presso l’Istituto Statale d’Arte Paolo Toschi di Parma con la qualifica di Maestro d’Arte, specializzandosi in Grafica Pubblicitaria. A soli diciannove anni firma la produzione e il testo su musiche dei Kirlian Camera, del suo primo videoclip “The Return Of The Dieux Vivants”, presentato al Festival Cinematografico “Incontri Cinematografici di Salsomaggiore”. Negli anni Ottanta lavora come Designer Grafico presso lo studio di Augusto Vignali, collaborando con Fiorucci, Moda In, Tempest, Electric, Sumo, e realizza copertine per Kirlian Camera e N.O.I.A. della “Italian Records”. Prosegue la sua carriera a Londra e Roma, dove collabora prima con importanti magazine musicali come ‘Just Seventeen’, poi con Rai, Canale5, Rete4, Italia1, Cinecittà, Whirlpool, Enel. Nei primi anni ’90 vola a Hollywood, dove siede nelle poltrone del prestigioso studio “Pittard Sullivan Design”, realizzando sigle per CBS, Playboy Channel, E! Entertainment Television, CNN. Insieme al fotografo Armando Gallo, è co-regista del videoclip “Even Better Than The Real Thing” (Version2) degli U2.
Nella California Bohemien tra il ’92 e il ’98, Kampah apre una casa di produzione e design televisivo, la “Kampah Visions”, in cui dirige spot per le più importanti aziende pubblicitarie del mondo. Vince un EMMY Award per la regia di una sigla per la ABC Television; la pubblicità della Cherry Coke entra nella collezione permanente del MOMA “Museum of Modern Art of New York” come una delle migliori 60 pubblicità dell’anno. È considerato un pioniere, promotore e testimonial della rivoluzione digitale televisiva su desktop, dirigendo video per Apple, Adobe e Radius. Dal 1999 al 2001 dirige la sigla ufficiale delle Olimpiadi di “Sydney 2000” dal titolo “Sydney Olympic Games”, trasmessa a reti unificate in 52 nazioni del mondo. Lavora alla sequenza iniziale dei titoli a fianco di Ridley Scott e del produttore esecutivo Jerry Bruchkeimer per il film “Black Hawk Down”, vincitore di due Oscar. Nel 2002 torna in Italia e, tra le altre cose, collabora con Sky Arte, producendo campagne pubblicitarie con disegni di Leo Ortolani, autore di Rat Man. Ma dal 2011, l’attività che lo impegna a tempo pieno è quella di Stencil Artist. Le sue opere, su pareti, grandi tele o tavole, sono visibili in giro per il mondo, tra Italia, Stati Uniti e Cuba, ma è possibile ammirarle anche in prestigiose gallerie e luoghi pubblici. La storia di questo artista poliedrico – soprannominato The Pope of Venice Beach-at Surside Venice – è tra quelle raccontate da Jason Hill, grafico, designer e illustratore di Venice, nel suo libro intitolato Venice Stories: pagine illustrate con protagonisti una serie di leggendari “Venice People”.
Abbiamo intervistato Flavio “Kampah” Campagna per parlare di questa iniziativa e della sua lunga esperienza internazionale.
Venice Stories è un libro di Jason Hill che raccoglie le più significative illustrazioni dei Venice People. Come hai accolto l’iniziativa?
“Mi è stata proposta da Jason Hill quando ci siamo conosciuti ad una festa da amici in comune. Lui non è un local di Venice, ci vive solo da pochi anni ma aveva sentito parlare di me e della mia leggendaria Casa di produzione di commercial/Motion Design Boutique/Art Factory nel cuore di Venice per la maggior parte degli anni ‘90 e mi ha chiesto di essere incluso nel suo libro raccolta di vere leggende viventi di Venice Beach. A quei tempi tanti mi chiamavano “The Pope of Venice” perché sono stato tra i primissimi a decidere di vivere e aprire uno studio in quella che una volta era considerata la parte più “bohemiene” di Los Angeles ma anche un po’ pericolosa, ora invece sono tutti lì con le loro Società di Internet, Video, Film, Post Produzione ed è stata rinominata recentemente “Silicon Beach” perché la Silicon Valley di San Francisco ha aperto i loro principali uffici proprio lì!”.
Cosa rappresenta Venice per te?
“Venice rappresenta per me gli anni più belli della mia vita (finora), un’esplosione di libertà e di successo per il mio spirito libero e artistico che cercava una patria e un approdo per la sua creatività e che l’ha trovato agli inizi degli anni ’90 all’alba di una rivoluzione tecnologica che avrebbe cambiato il futuro di tutti. Qui ho creato non solo le mie campagne pubblicitarie più famose per le agenzie di pubblicità più grandi del mondo e vinto innumerevoli premi, ma sono stato anche uno dei pionieri dell’innovazione tecnologica del Mac e della Apple in un’epoca in cui tutto questo sembrava ancora pressoché impossibile! Tutto il potere creativo e tecnologico nelle mani di un solo individuo non era ancora possibile né pensabile, ma io ne sono stato il primo esempio. Venice è per me lo spirito libero della California progressista, isola felice nella sterminata terra americana dove i sogni di felicità e successo possono ancora realizzarsi a livello personale e solo col proprio talento. Naturalmente, è molto cambiata negli anni, e da quando Trump è stato eletto ho deciso di allontanarmici fino a che non torneranno tempi migliori, perché questa di adesso non è più l’America che ho vissuto io, e non la riconosco più come tale, purtroppo”.
Com’è cambiata oggi Los Angeles rispetto agli anni ’90?
“Tutto è cresciuto tantissimo in modo esponenziale grazie alla spinta tecnologica e al successo economico, ma lo stile di vita è sempre più basato sul superfluo e sul superficiale, si è perso molto di quello che era lo spirito puro, forse anche un po’ “naïf ” dell’America di una volta, la contaminazione con altre culture e stili di vita l’ha resa meno efficiente e limpida. È un passaggio inevitabile, ma non so quanto sia positivo, quando io arrivai nel 1991 rispetto a come si viveva in Europa, sembrava di stare su un altro pianeta e la gente aveva un altro modo di rapportarsi, più semplice onesto e felice. Credo che tutto sia cambiato dopo il crollo delle Torri Gemelle, io c’ero e posso dirlo: è come se dopo quel tragico giorno l’America abbia perso la sua innocenza, la sua verginità!”.
Il 31 ottobre è stata svelata una tua opera a Parma. Un tributo che hai fatto all’Oltretorrente, quartiere multietnico in forte rinascita che per te rappresenta l’incrocio tra passato, presente e futuro. Ci parli di questa opera e di com’è nata?
“È stata una bellissima opportunità artistica che mi è stata offerta immediatamente al mio ritorno nella mia terra d’origine dopo anni a Los Angeles, 3 mesi a Cuba, 4 mesi in Sardegna, 1 mese a Milano e 9 mesi a Roma, dal proprietario del ristorante Emilio Restori che già conosceva e ammirava il mio lavoro. L’idea principale è quella di usare il suo Ristorante come una “testa di ponte” artistica per un progetto culturale legato all’Arte e la Enogastronomia da sviluppare in congiunzione con il Comune di Parma in previsione del 2020 anno in cui la città è stata eletta a capitale della cultura italiana. Questa opera stencil è il primo step di un progetto più ampio che vuole coniugare la mia esperienza di vita e lavorativa di artista affermato a livello internazionale e il Piazzale in cui sono cresciuto e che mi ha formato umanamente prima che professionalmente. Piazzale importante a Parma e in Italia perché sede di importanti eventi politici quali le Barricate degli anni ’20, quando i parmigiani unici in Italia sono riusciti a fermare la discesa fascista usando appunto lo strumento di difesa delle barricate e coalizzandosi per respingere le truppe nemiche con successo. Io vivevo nella casa al centro del Piazzale che era chiamata la Casa del Popolo da dove i civili sparavano alle truppe militari, ed era anche la casa dei miei nonni e sono cresciuto ascoltando i loro racconti e quelli dei partigiani locali, che frequentavano la strada e le osterie di un quartiere proletario e sanguigno dove si respirava l’aria dell’opera lirica per cui Parma è così famosa. Ho voluto rendere omaggio a quei ricordi e quei personaggi con questo “affresco” (nel senso di composizione corale, non come tecnica) realizzato con stencil e bombolette spray in pura tecnica street art, ma attingendo i soggetti da vecchie foto dell’archivio di stato ma anche di famiglia grazie a mia madre. Ecco, vorrei sviluppare una storia che parte proprio da lei, una tipica “resdora” (massaia che grattugia il formaggio) parmigiana che cresce in questo quartiere nel dopoguerra e lo vede cambiare, vede i propri figli partire e fare successo andando all’estero, ma soprattutto cambiare in un quartiere multietnico con tutti i suoi problemi e complicazioni. Stiamo lavorando sulla storia basata sulle sue memorie molto accurate, che sto trascrivendo, per poi trasformarle in una sceneggiatura e una serie di eventi e personaggi che vorrei proiettare direttamente sulle case, mostrando chi ci viveva dentro attraverso l’uso di materiale d archivio ma anche le più moderne tecniche di animazione 3D e Video Mapping Projection o anche Realtà Virtuali con visori 3D. È un progetto in divenire molto ambizioso, ma che credo di poter portare avanti di diritto in quanto promotore della cultura italiana nel mondo e forte delle tante importanti esperienze professionali nei vari campi dell’audiovisivo e della comunicazione. Oltre a video e proiezioni sto progettando una mostra con enormi opere fatte a stencil come quella di Opera Viva, ma molto più grandi, e anche la ricostruzione delle Barricate come monumento permanente su cui dipingere i volti dei personaggi dell’epoca sempre con la mia tecnica stencil street art”.
Cosa rappresenta Parma per te?
“Parma sono le mie origini, ma anche la città da cui scappo da sempre, la città che non mi riconosce il talento (nemo profeta in patria) ma che soprattutto non mi fornisce le possibilità, gli strumenti, gli spazi e la libertà per esprimermi. Questa di Opera Viva è stata una delle rare occasioni, ma già ora (dopo 3 mesi qui) mi sento come un pesce fuor d’acqua, fuori dal suo elemento, che tenta di elargire i suoi sentimenti ed esperienze ad una città e comunità che sembra non volerne avere il bisogno. Io la chiamo Parmatraz da anni proprio per questo: una cella fredda e umida da cui scappare, come nel film di Clint Eastwood, ma che spero finalmente si svegli dal suo torpore sulle ali del classicismo proprio in occasione del 2020. Staremo a vedere…”.
Il 14 giugno, invece, hai presentato alla Galleria Fondamenta la tua mostra dal titolo “FantaCOscienza”. Cosa ha rappresentato per te?
“È stata una galassia isolata nel tempo e nello spazio , una bellissima capsula spazio-temporale alla periferia di Roma in un magico ambiente artistico e vitale dove ho avuto il privilegio e lo spazio opportuno per poter creare in assoluta libertà questa serie di opere che mi hanno permesso di spaziare con la mia fantasia ai confini dell’universo e rendendo omaggio ai miei idoli di sempre della Fantascienza”.
Sei un uomo di mondo, hai viaggiato e lavorato in lungo e in largo. Come reputi la situazione in Italia e come reputi la situazione in America?
“Il mondo purtroppo negli ultimi anni non è per niente migliorato, anzi: io ho avuto la netta percezione, e ne sono tuttora sempre più convinto, che esattamente dall’inizio del millennio, abbia cominciato ad andare all’indietro in termini di evoluzione, anziché in avanti come stava facendo sin da quando io possa ricordarlo dalla mia nascita in poi. Credo che questo sia da imputare maggiormente a quello che era un nostro sogno collettivo prima del 2000, e cioè l’avvento di questo enorme villaggio globale che le tecnologie di comunicazione, più di ogni altra cosa, ci stavano spingendo a coronare con una accelerazione pazzesca. Questo, però, purtroppo ha generato molti più problemi di quanto fossero previsti, anche perché non abbiamo avuto menti geniali ed avveniristiche all’altezza di pensare alle conseguenze e preparare un futuro migliore di quello che si stiamo purtroppo trovando ad affrontare ora. Per fare un esempio, ricordo vivamente quel giorno in cui Ted Turner, che allora negli anni ’90 era considerato un guru della televisione, disse pubblicamente in una conferenza mondiale che parlava di tecnologie: “Non so dove stia andando il mondo, ma so solo che ci sta andando molto velocemente!”. Ecco ,io già allora fui uno dei pochi a trovare queste parole, anziché entusiastiche, scellerate: avessimo avuto menti visionarie più positive non ci troveremmo ora in queste condizioni. L’altra considerazione da fare, aldilà di quelle politiche, troppo facili e futili, è quella del totale fallimento a livello globale del sistema economico capitalista di cui abbiamo sotto gli occhi tutti ogni giorno i segnali e gli effetti per l’ambiente ma anche per lo stile e i valori di vita. Questo non vuole certo dire che la soluzione sia un sistema economico comunista, ma credo che le alternative potrebbero e dovrebbero essere tante, perché questa macchina che corre come impazzita – verso dove non si sa –, e sta per impazzire e incepparsi a breve, se continuiamo così”.
Quali sono gli elementi che caratterizzano la tua arte?
“Non starebbe a me dirlo, ma agli altri. Io cerco costantemente di sorprendere e di essere sorpreso allo stesso tempo dal divenire delle mie opere nonostante la mia visione d’artista. Cerco di mantenere sempre un ruolo di artefice, ma anche di spettatore, per mettermi dalla parte di chi fruirà la mia opera ma anche per poterla apprezzare allo stesso modo. Quando guardo il mio quadro di Opera Viva è come se io stesso ogni volta ci trovassi un dettaglio nuovo e diverso, voglio che sia ricca di elementi da mangiare con gli occhi! Voglio che le mie opere comunichino un messaggio, raccontino una storia, descrivano un personaggio anche solo nel racconto del suo volto e del suo ritratto. Odio la maggior parte dell’arte astratta, che trovo una forma d’arte sfruttata e sopravvalutata; amo la street art in quanto forza artistica del nostro tempo e perché l’unica forma d arte democratica perché chiunque può praticarla”.
Pensi che oggi l’arte possa avere gli stessi confini che l’essere umano impone ad altri elementi fondamentali della vita?
“Io non sono il tipo di artista che si mette al centro del mondo e usa la propria arte nell’illusione di affermare il proprio io in eterno. Per me l’Arte è sempre stata e sempre sarà “al servizio” della vita, e non il contrario. Niente dura in eterno, e siamo tutti parte di uno stesso universo che ci tiene insieme e dove siamo tutti uguali. Siamo il nulla al centro dell’universo, eppure l’universo è anche al centro di noi, in uno scambio e un loop eterno. La vita va vissuta e va colta nel rispetto della natura e degli altri, vorrei che la mia arte fosse un atto di partecipazione alla vita da parte mia mentre mi annullo nel farla, e da parte degli altri che spero ne godano, guardandola”.
Se io ti chiedessi: “chi è Kampah?” cosa mi rispondi?
“Kampah is…F CK! My name is F CK. My initials are F C: .I am… F CK!”.
Quali sono i progetti in corso? Progetti futuri? Che stai realizzando di nuovo? “2020 Parma Capitale della Cultura come già detto più sopra. A fine novembre andrò a New York per dipingere la parete di un nuovo ristorante che apre nel Financial District: vogliono un opera d’arte che parli dell’Italia, della pasta e della Grande Mela e che sia un fenomeno “instagrammabile”. Ho già avuto l’approvazione del soggetto e posso solo anticiparti che sarà una bomba!”.