Artista, imprenditore e oggi mecenate nel mondo dell’arte. Pietro Costa, campano di origine (Sant’Arsenio in provincia di Salerno), è emigrato negli Stati Uniti con la sua famiglia quando aveva 12 anni.

Inizia la sua carriera di artista nel 1978 fino ad arrivare al Guggenheim dove ha installato molte mostre, è stato consulente per oltre 15 anni e ha esposto alcune sue opere.
Ha anche partecipato in prima persona alla realizzazione del Guggenheim Soho e del Guggenheim di Bilbao e per tre anni ha assistito lo scultore Richard Serra nella produzione, progettazione ed esposizione dei suoi lavori su larga scala.
Oggi, Pietro ha fondato e lanciato BACAS (Borghi Antichi Cultura Arti Scienze), un progetto ambizioso che ha chiamato all’appello artisti americani e italiani in un progetto di residency nel maestoso Castello Macchiaroli a Teggiano, nel cuore del parco nazionale del Cilento.
A gettare le basi di questo progetto ,che vuole essere a lunga durata e sostenibile, è la volonta di Costa di mettere insieme multidisciplinarietà e multidimensionalità dell’arte creando un continuo dialogo tra la comunità locale e gli Stati Uniti. Finita la prima fase di programmazione, l’artista e fondatore campano si prepara alla fase più complessa e ambiziosa di Bacas con l’apertura al mondo delle università americane.
Noi non vogliamo cambiare il mondo , dice Costa,risolvere tutti i problemi, ma proporre un nuovo modo di fare cultura, scambi, far crescere un territorio.
Bacas nasce dall’idea di far scoprire un territorio, ancora non molto conosciuto, creando un ponte tra l’Italia, gli Stati Uniti e il resto del mondo attraverso l’arte. Cosa ti ha spinto a creare questo progetto?
Nel 2003 ho realizzato una mostra alla Certosa di San Lorenzo a Padula per commemorare i fatti dell’11 Settembre, invitato da un gruppo di imprenditori locali e, non avendo accesso all’interno della Certosa, ho deciso di andare alla ricerca di un posto dove realizzare una mostra e l’unico luogo era la Cappella delle Donne, dove abbiamo installato una colonna di luce. A seguito di quell’evento, ho invitato un amico, poeta e fotografo americano, che si è innamorato del luogo e da lí è nata l’idea di far conoscere il territorio, di creare una residency e dare la possibilità a chi viene da fuori di avere un posto che fosse di ispirazione.
L’idea ha avuto inizio 15 anni fa, alternando fasi di inizio e di pause, portando avanti una serie di trattative con l’obiettivo di trovare un luogo per un progetto permanente. Anche se originario di Sant’Arsenio, ho scelto Teggiano perchè ho pensato a tutto il Cilento, il parco e la Regione come territorio di riferimento.
Bacas vuole essere però molto di più di una semplice residency per artisti
L’idea è quella di creare un centro legato ad un territorio specifico ma che, come la NY Public Library, diventa un luogo dove ognuno può andare a fare mostre, ricerche, dibattitti, convegni. Gli artisti possono concentrarsi a lavorare sui propri progetti e aprirsi al pubblico, interagendo attraverso la realizzazione di progetti artistici. Un progetto sostenibile che ha l’ambizione di durare a lungo termine e non di esaurirsi con i primi eventi e soprattutto un progetto che è molto di più di una promozione di prodotti e tradizioni locali.

Il ruolo dell’arte diventa fondamentale a sostegno del progetto e come legame con il territorio. L’arte può ancora salvare il mondo?
Per oltre 15 anni sono stato consulente al Guggenheim di NY e presso il dipartimendo di arte del Guggenheim di Bilbao, oltre ad aver svolto varie esperienze come amministratore museale. Non sono solo un’artista ma anche un imprenditore nel mondo dell’arte e so come l’arte può cambiare la città e il territorio. Quello che stiamo creando al Castello Macchiaroli di Teggiano, una fortezza del 300, è una cosa unica sotto diversi aspetti. Sia perchè abbiamo ribaltato il ruolo del Castello, da fortezza chiusa ai cittadini a centro di arte e cultura aperto a tutti che vive di scambio con la comunità, sia perchè stiamo creando una cosa nuova con un approccio multimediale, multidirezionale che abbraccia il teatro, la danza, la scrittura, la musica, l’architettura e la scienza.
Si è appena chiusa la prima fase di programmazione e il lancio di Bacas al pubblico. Che bilancio puoi trarre?
E’ stato un calendario molto fitto che ha messo insieme diversi artisti e professionisti, legati da diverse trame: dal primo gesto umano di 25 mila anni fa al graffito di oggi, fino alle antiche tecnologie di Fabrizio Caròla.
La risposta del pubblico, della stampa, degli ospiti è stata molto calorosa e tutti hanno apprezzato la bellezza e l’originalità di questo progetto con una grande partecipazione. Anche le istituzioni presenti ci hanno mostrato un grande interesse a supportare per il futuro questo progetto, definendo Bacas “il nuovo laboratorio di Michelangelo”.
Tu però sei stato il fondatore e mecenate di Bacas, finanziando interamente l’iniziativa e lo sviluppo
Da 45 anni vivo negli Stati Uniti e ho deciso che era il momento di fare qualcosa per il territorio che mi ha dato i natali. Ci tengo a precisare che non ho ottenuto nessun finanziamento pubblico e privato ma sono stato io ad investire tutto per questa comunità. Certo, non posso non ringraziare e sottovalutare il capitale umano che mi ha supportato e mi supporta in questa avventura. Parlo del team di Bacas, da Tiziana Rinaldi Castro a Denver Buston, Rossella Siani. Tutti abbiamo investito e creduto in questo grande progetto.

Bacas è anche la storia di un ritorno, il tuo
Ritorno e scambio in un continuo alimentarsi insieme. Donare al territorio di origine è mettere a disposizione dello stesso conoscenza, esperienza. Dare e ricevere dalla comunità, coinvolgendola e interagendo con la stessa. Un dono che ho voluto fare ai luoghi delle mie origini ma anche agli Stati Uniti, il paese dove mi sono formato e sono cresciuto. Voglio che gli americani conoscano questo territorio e contribuiscano con la loro arte e conoscenza a questo scambio. Il ruolo degli Stati Uniti è importante perchè la comunità italiana o italo-americana a NY può mettere a disposizione un bagaglio di esperienze, valori, facendo diventare la comunità di accoglienza un territorio di scambio e dialogo aperto alla contaminazione.
Come si evolverà il progetto?
Siamo qui per far crescere una cosa unica mai fatta perchè il progetto è complesso e prevede anche una sezione legata alla scienza e alle università grazie ad un programma di studi all’estero che si trasformeranno in opportunità per gli studenti americani che scelgono la residenza di Bacas in Italia come luogo dove poter svolgere un’esperienza di studio all’estero. Noi non vogliamo cambiare il mondo, risolvere tutti i problemi, ma proporre un nuovo modo di fare cultura, scambi, far crescere un territorio.
Campano di origine ma americano di formazione, come hai vissuto questa dimensione biculturale?
Sono andato via quando avevo 12 anni e questo mi ha permesso di adattarmi facilmente alla nuova cultura anche se non ho mai smesso di essere italiano. La doppia cittadinanza, americana e italiana, insieme alla doppia cultura hanno formato la mia nuova identità. Ho scelto di tornare perchè la mia formazione e le mie origini mi mettono nella posizione di realizzare un dono per il mio territorio: prendere quello che ho appreso e donarlo in uno scambio, portare arte nuova, scritture nuove. Il fatto che sono originario della Campania e ho vissuto negli Stati Uniti la vedo più come un’ esperienza che crea un cultura diversa dentro me e non semplicemente una dimensione biculturale.

Hai vissuto pienamente la scena artistica newyorchese degli anni ’70 e ’80. Pensi che oggi ci siano altri luoghi che debbano essere presi in considerazione per captare nuovi fermenti artistici?
Ho visto tantissimi cambiamenti nella scena artistica di NY. Sono entrato nel mondo dell’arte nel 1978 e ho avuto l’opportunità, una volta finiti i miei studi accademici, di seguire lo sviluppo delle gallerie di Soho, di frequentare un corso con Keith Hearing mentre Basquiat esprimeva la sua arte nelle pareti della scuola di visual art nella 23 strada. Sono stato testimone di un cambiamento: dall’arte del post minimalismo ai movimenti dell’East village che si è sviluppato come risposta alla crescita immobiliare di Soho. Ho visto molti centri urbani svilupparsi intorno a comunità di artisti che hanno finito poi per abbandonare gli stessi centri per via dell’arrivo della speculazione economica e immobiliare. Oggi vedo l’Hudson Valley come luogo di artisti dove è nata una bella comunità e un centro di artisti che possono non solo fare arte ma vivere un modello di vita sostenibile lontano dal centro della città ma senza essere alienati dal resto del mondo.
Ecco la differenza tra ieri e oggi. Mentre prima, se eri artista, dovevi fare parte ed essere fisicamente legato ad un luogo, ad una comunità, oggi puoi essere in contatto con il resto del mondo e scegliere un territorio come residenza .