Matteo aveva tre anni, era biondo, con gli occhi azzurri come un angelo di Murillo. Al sabato mattina, in primavera, la sua tata lo portava a vedere i matrimoni. La tata lo faceva per tre motivi: perché Matteo prendesse un po’ d’aria, perché avendo già programmato il suo matrimonio, voleva vedere gli abiti delle altre spose per vedere se ce n’era qualcuno che la ispirava, ma soprattutto perché era fidanzata dell’organista della chiesa arcipretale che prestava servizio a tutte le cerimonie nuziali. A Matteo piaceva questa abitudine: la passeggiata sul seggiolino della bicicletta fino al piazzale e poi, una volta in chiesa gli piaceva ancora di più entrare dalla porticina segreta e salire sulla scala ripida che portava alla balconata dell’organo da cui si dominava la chiesa in tutto il suo splendore. L’organista lo lasciava sedere sulla panca, vicino a lui da cui poteva ammirare tutti quei tasti, quei pedali e quelle canne da cui usciva un suono tanto potente che sembrava riempire ogni angolo della grande chiesa. Uscendo sul piazzale inondato di sole, rimediava sempre qualche confetto, forse perché sembrava un angelo di Murillo. Poi la tata lo issava sul muretto del sagrato in modo che potesse vedere bene l’uscita degli sposi e inevitabilmente lei e Matteo commentavano: “ma che bella sposa!”

Una bella sera tiepida di giugno la mamma decide di portare Matteo alla processione del Corpus Domini: pensa che gli piacerà vedere il baldacchino, le bambine della Prima Comunione vestite di bianco, le torce che illuminano il buio della notte, le strade vestite a festa e soprattutto gli piacerà la banda con la divisa rossa fiammante, gli ottoni lucidissimi e la grancassa così grande che lui ci potrebbe stare dentro in piedi. Matteo è in braccio alla sua mamma per vedere meglio; sono sulla porta della chiesa e, proprio durante l’unica pausa di silenzio tra l’ultima nota dell’organo e la prima della banda che attaccherà col Lauda Sion di Caudana, esce lento e solenne l’Arciprete col Santissimo, preceduto dalle torce e dall’incenso. Indossa un piviale di damasco dorato, ha il capo coperto dal velo omerale e il volto nascosto dall’ostensorio. Matteo lo osserva attentamente e rompe il silenzio devoto dei fedeli dicendo forte “ma che bella sposa!”.
Mentre visitavo la mostra Heavenly Bodies: Fashion and the Catholic Imagination (Corpi celesti: la moda e l’immaginario cattolico) al Metropolitan qui a New York non ho potuto non pensare al mio cuginetto e al suo commento di tanti anni fa. Inaugurata con una cena di gala da $33.000 a coperto con i ricchi e famosi che gareggiavano per essere vestiti a tema, compresa una Rihanna con tanto di mitra (nel senso di copricapo vescovile, non di arma da fuoco) e Zendaya con armatura da Santa Giovanna d’Arco, Heavenly Bodies è destinata ad essere la mostra più visitata dell’anno. Dopo una dozzina di visite del curatore Andrew Bolton e anni di trattative, il Vaticano ha concesso in prestito alcuni manufatti della sacrestia della Cappella Sistina che non erano mai usciti prima dalle sue mura: dai piviali con strascico ricamati in oro alle croci pettorali, dai mocassini papali in vitello rosso (di Apolloni, non di Prada) alla tiara di Pio IV tempestata di 19.000 pietre preziose, soprattutto diamanti.



I paramenti papali sono in mostra nelle sale seminterrate del Costume Institute del Metropolitan, e tenuti quindi a debita distanza dalle creazioni degli stilisti contemporanei che si sarebbero ispirati ad essi, che sono disposte in un allestimento di grande suggestione nelle ali del museo dedicate all’arte bizantina e medievale. Dagli abiti da sposa copiati dai paramenti pontificali di Galliano e Dior (aveva ragione Matteo…) al vestito per la statua della Madonna nella cappella della Virgen del Rocío di Parigi, disegnato da Yves Saint Laurent, tutti gli abiti presentano una chiara discendenza dai paramenti e dagli oggetti di culto esposti al piano di sotto.
La chiave di lettura di questa mostra potrebbe essere quella della dissacrazione o della provocazione, oppure quella dell’appropriazione, ma credo che quella più valida sia quella della nostalgia. Gli stilisti presentati nella mostra sono all’80% cattolici, anche se molti non più praticanti, e sono attivi nel momento in cui la Chiesa compie la grande riforma liturgica che la porta a semplificare i riti e a rendere più semplici e austeri i paramenti. È come se la bellezza preziosa e l’austero splendore della liturgia romana e delle sue suppellettili, avendo perso il posto nelle antiche basiliche avessero trovato ospitalità negli atelier di Milano, Parigi e New York.