Il 25 aprile scorso, mentre La Voce di New York festeggiava il quinto compleanno, celebrava la Liberazione e lanciava la prima edizione del Premio VNY Media Award 2018, noi eravamo impegnati al Center for Italian Modern Art per partecipare a un evento di quelli che capitano di rado nella storia dell’arte. Un incontro con Alberto Savinio, artista cardine del ‘900 italiano, attraverso le parole di un altro artista, Ruggero Savinio, suo figlio — parole che abbiamo avuto il piacere di tradurre in inglese per il pubblico.
Eventi più unici che rari, questi, che permettono di avvicinare il personaggio storico, attraverso la persona raccontata — quel pertugio privilegiato che schiude il lato umano dietro un cognome illustre. Consentono, altresì, di approfondire certi aspetti dell’opera delle sua vita, ripercorrendone le tappe più salienti.

Tutto ciò è stato possibile grazie a due macro iniziative firmate CIMA. La prima, la mostra su Alberto

Savinio che si è aperta il 6 ottobre scorso e si protrarrà fino al 23 giugno 2018 — mostra che definiamo epocale senza correre il rischio di passare per esagerati, essendo la prima personale sull’artista ad essere organizzata negli Stati Uniti. La seconda iniziativa si chiama “Study Days” (26-27 aprile), due giorni di studio dedicati, quest’anno, ad Alberto Savinio, che hanno raccolto scholar italiani e internazionali, Fellows del Centro ed esperti del campo, per fare il punto sull’opera di un artista non ancora del tutto magnificato comme il faudrait.
Se qui negli USA Savinio si affaccia solo ora, grazie alla mostra del CIMA e a eventi collaterali come questo, vòlti alla diffusione della sua arte, in Italia, la sua opera è certo conosciuta, ma non sufficientemente riconosciuta: per dare a Savinio quel che è di Savinio molto di più andrebbe fatto, in termini di ri/pubblicazione dei suoi testi, allestimento dei suoi lavori teatrali, riproduzione delle sue fatiche musicali.
Questo lo si dice non per fomentare polemiche o cedere a facili sensazionalismi. Ma semplicemente per dichiarare l’infinito talento, la straordinaria inventiva di una mente creativa che per troppi anni ha portato il fardello “fratello di” — de Chirico, ovviamente, il fratello fardello, nome non poco ingombrante. Un appellativo che non ha ragion d’essere, viste le vette individuali raggiunte da Savinio in ogni campo dell’espressione artistica in cui si è cimentato. Musicista prima di tutto, come amava sottolineare — conseguì il diploma di pianoforte alla tenera età di dodici anni al

Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Torino. (c) 2017 Artists Rights Society (ARS)/SIAE, Roma. Foto: G. Rampazzi, 1986. Foto: Dario Lasagni
Conservatorio di Atene, confermandolo vero enfant prodige — e poi compositore, drammaturgo e regista, scrittore, critico, e naturalmente pittore. Una “centrale creativa”: così amava definirsi, ci racconta il figlio Ruggero. “Diceva spesso, e scriveva, di non volersi dedicare a un’unica arte. Se un artista – sono sue parole – è una ‘centrale creativa’, volersi rinchiudere in una sola arte è stupido, e addirittura immorale.” Tuttavia l’artista disdegnava certe definizioni che lo rinserravano nell’abusata categoria del “poliedrico”, del “leonardesco”. “Mio padre rifiutava con fastidio la definizione ‘eclettico’, anche perché il suo presunto eclettismo era in realtà l’espressione di un’unica mente e di una stessa volontà con differenti linguaggi”.
Ruggero si è dimostrato molto generoso nel condividere con il pubblico la figura del padre, e non si è sottratto a nessuna delle domande di Giulia Tulino, Fellow del CIMA con un Dottorato in storia dell’arte contemporanea conseguito a La Sapienza. Ed è stato ben contento di riportare certe posizioni ferme del padre. Come per esempio quella di prendere le distanze dal Surrealismo, per quanto André Breton, fondatore del movimento, considerasse lui e il fratello dei veri e propri punti di riferimento “all’origine della mitologia contemporanea”. “Il surrealismo mostrifica l’uomo, io voglio umanizzare il mostro”, diceva Savinio, ribadendo anche una differenza sostanziale fra il movimento di Breton e la propria arte: la materia alla quale i surrealisti attingevano era quella dell’inconscio: nella loro arte i materiali inconsci ritornavano a galla e formavano il fantastico surrealista. “Nell’arte di mio padre, altrettanto fantastica”, ricorda Ruggero, “non c’è lo stesso abbandono all’inconscio ma era molto importante, come dice lui stesso, la memoria”.

La conversazione assume i tratti di un excursus lungo la vita assai movimentata della famiglia de Chirico. La nascita in Grecia — Volos per Giorgio, Atene per Alberto — e l’infanzia ellenica. Il trasferimento a Monaco di Baviera dove la madre, dopo la morte del marito, voleva per i due figli, la miglior istruzione possibile, sia in campo musicale che artistico. E poi il primo spostamento a Parigi, nel 1910: “E’ qui che dobbiamo stare; è qui che un artista deve vivere”, sentenzia alla madre e al fratello un giovane Savinio, andato in avanscoperta nella ville des lumières. E poi ancora gli anni italiani durante la Prima Guerra Mondiale, i problemi economici e l’approdo al teatro — con la fondazione della cooperativa d’avanguardia, il Teatro d’Arte di Roma — forma artistica di vitale importanza nella poetica saviniana, e con la quale si confronterà per tutta la vita. “Il teatro ha la facoltà di completare quello che la vita lascia incompleto”, teorizzava l’artista.

Gli attriti con la scena artistica italiana lo spingono a tornare a Parigi —questa volta neosposo dell’attrice

Maria Morino — e a ricongiungersi con il fratello Giorgio, cominciando a dipingere e ad affermarsi come pittore. Poi l’effetto devastante della crisi del ’29 sull’economia europea dei primi anni ‘30 — e sulle serrande delle gallerie d’arte, tristemente abbassate dalla stagnazione del mercato — lo riporterà, nel
1934, in Italia, a Torino, dove nasceranno Ruggero e la sorella Angelica, e dove Savinio si affermerà definitivamente con il suo lavoro di scrittore, giornalista, critico, drammaturgo, pittore e, nel secondo dopoguerra, di musicista. “Gli anni durante la Seconda Guerra Mondiale, nonostante l’evidente drammaticità del momento, furono molto prolifici per mio padre, sia in termini letterari che pittorici”, spiega il figlio alla platea. “Ma certo non furono anni facili. Nel 1943 era stato inserito in una lista di sospetti antifascisti, e fu costretto a nascondersi. Ma già nel ’39 era entrato nelle antipatie del regime a causa di un articolo satirico — Il sorbetto di Leopardi — che aveva scritto sulla morte del poeta, ed era stato considerato irrispettoso nei confronti del poeta. Questo costò a mio padre il bando dalle riviste con cui era solito collaborare, e la conseguente impossibilità di contare su quelle collaborazioni per mantenere la famiglia”.
Dalla vita, all’arte. Molti dei quadri esposti al CIMA rappresentano figure con corpi umani, finemente cesellati, e teste di animali — tacchini, galline, uccelli, pellicani, gufi, che portarono il critico Waldemar George, nel 1933, a definirlo “Il rinnovato Esopo”. Un fantastico, quello di Savinio, che combina istanze ludiche a motivi più oscuri, ambigui — e a cui, a nostro avviso, potremmo tranquillamente applicare le parole del teorico del fantastico Tzvetan Todorov: è “la presenza di mondi e di potenze insolite” che il fruitore dell’opera di Savinio avverte davanti alle sue tele.

In Savinio troviamo anche la convivenza fra il Romanticismo di matrice tedesca, assorbito attraverso la passione soprattutto per Böcklin, e il Classicismo, interiorizzato grazie alle tante letture giovanili, e acquisito per nascita, nella culla dell’ellenicità. I miti greci abitano la sua scrittura e la sua arte pittorica, ma apprendiamo da Ruggero che, nonostante la presenza di Apollo in alcuni suoi dipinti, il suo dio preferito era Mercurio, che campeggiava anche sulla sua scrivania in forma di statuetta, e che gli fu fonte d’ispirazione per uno scritto, Introduction à une vie de Mercure. “Il meno olimpico delle divinità, il più inafferrabile, mercuriale appunto, non come Apollo, bello e basta, il più fatuo tra tutti gli dei”.
Apprendiamo anche dell’influenza di Caravaggio, nel modo precisissimo di rendere l’anatomia dei corpi, grazie a una mostra che padre e figlio videro insieme a Milano, e che spinse Savinio verso una pittura non già realistica, bensì “più reale del reale”.
“E’ difficile spiegare cosa sia stato essere figlio di Alberto Savinio. Posso dire che era un ottimo padre, molto incoraggiante nei confronti della mia pittura. Aveva un approccio diverso da mio zio. Non dava consigli. Invece de Chirico era più didattico: per due anni sono andato a lavorare nel suo studio, e lui mi osservava dipingere, mi dava suggerimenti”.
Sentire questi racconti di vita artistica vissuta, immaginare il giovane Ruggero fare la spola fra due artisti del calibro di Savinio e de Chirico ha catturato l’attenzione del pubblico per tutta la durata dell’evento: sarebbero — saremmo — rimasti ore ad ascoltarlo.
La serata si è conclusa con l’apertura degli Study Days.

Serena Alessi, Franco Baldasso, Alice Ensabella, Nicole Gercke, Lucilla Lijoi, Chiara Mari, Nicol Maria

Mocchi, Giulia Tulino, Elena Salza, Carlos Segoviano e Martin Weidlich si sono alternati sul palco del CIMA venerdì 26 e sabato 27 aprile, proponendo nuove prospettive sui tanti lavori dell’artista, dai romanzi, al teatro, dalla produzione saggistica a quella teatrale e giornalistica. Ospite di spicco, nella giornata di venerdì, Paola Italia, una delle studiose più accreditate dell’opera dell’artista, che ha condiviso il suo lavoro filologico — quasi archeologico — sulle varie stesure e correzioni dei testi saviniani, regalandoci anche una chicca. Savinio fu il primo critico cinematografico retribuito della storia. Scrisse recensioni su tantissimi film, tra cui Il monello di Charlie Chaplin, Phantasia di Walt Disney, I promessi sposi di Bonnard, agli albori della critica cinematografica su carta stampata. Evidentemente aveva intuito la straordinaria potenzialità del cinema: un linguaggio che poteva non proporre la rappresentazione realistica della realtà, bensì una sua interpretazione, vale a dire ciò che lui stesso perseguiva nelle sue diverse espressioni artistiche. “L’arte non come specchio diretto della realtà, ma come riflesso lontano e mnemonico di quella”.
Ci auguriamo vivamente che l’effetto benefico di questi Study Days, introdotti eccezionalmente da Ruggero Savinio, rimbalzi in Italia e intensifichi l’interesse nei confronti di questa “centrale creativa” d’artista, portandolo ad essere studiato e ristudiato, pubblicato e ripubblicato. E, per il bene del sapere globale, tradotto e ritradotto.
