Non ho mai subito il fascino dei motori e delle automobili; mio fratello, invece, fin dalla più tenera età riconosceva le macchine di familiari e amici anche solo dal rumore del motore, prima ancora di vederle. La settimana scorsa, nonostante la mia ignoranza in materia, ho presentato alla Casa Italiana Zerilli-Marimò il documentario “Driving Dreams” del regista Gianluca Migliarotti: un sentito omaggio alla straordinaria stagione creativa degli anni ’60 e ’70 in cui l’Italia ha prodotto alcune delle automobili più belle ed eleganti della storia.
Se tutti conosciamo i nomi di Bertone, Pininfarina e Giugiaro, grandi imprenditori del design, oltre che designer essi stessi, quasi nessuno conosce i nomi e i volti dei veri protagonisti di quello che è stato definito il Rinascimento Automobilistico italiano: un’intera generazione di disegnatori (stilisti li chiamavano a quei tempi) ed artigiani che erano i creatori dei prototipi che fecero sognare milioni di persone in tutto il mondo e i cui nomi, almeno in un primo momento erano destinati a restare ignoti al pubblico e nascosti dietro i nomi degli imprenditori per cui lavoravano. Il documentario di Migliarotti, prima di tutto, rende giustizia a questi uomini e riconosce i loro meriti straordinari, ma soprattutto esalta la creatività e il gusto come doti essenzialmente italiane che ci fanno vedere questi artigiani ed artisti come gli ideali continuatori della tradizione creativa italiana dal Medio Evo al Rinascimento ed oltre.

Mentre vedevo il documentario mi è venuta in mente una storia attribuita a Mario Cuomo, forse il più eloquente politico americano di tutti i tempi, già governatore dello stato di New York e padre dell’attuale governatore, Andrew. Durante la costruzione della cattedrale di st. Patrick –raccontava Cuomo- un gruppo di generose benefattrici visitò il cantiere e, durante la visita, si fermò a scambiare qualche parola con le maestranze. “Cosa state facendo?” chiedevano le signore per rompere il ghiaccio e i diligenti lavoratori rispondevano “Prepariamo il cemento”, “tagliamo il marmo”, “sistemiamo una vetrata”. Arrivate davanti a un gruppetto di emigranti italiani, le dame fecero la stessa domanda, ma si sentirono rispondere con l’aria un po’ seccata di chi viene interrotto nel punto cruciale di un lavoro delicato: “Non vedete? Stiamo costruendo una cattedrale”.
Nelle parole dei protagonisti di “Driving Dreams” ho ritrovato l’umile orgoglio dei costruttori di cattedrali dei secoli scorsi. “Ci vuole tanta fantasia e immaginazione- dice Giancarlo Guerra-. Perché io non sono un disegnatore, io sono un fabbro, però facevo le macchine. Quando facevo le Ferrari, dovevano essere grintose, ma anche belle e a me piaceva farle”. Guerra ammette con un sorriso di avere completato solo la scuola elementare, ma anche i disegnatori che avevano titoli di studio superiori e universitari non avevano imparato sui banchi di scuola a “fare le macchine”, avevano però capito che era arrivato il momento di considerare l’automobile non solo un mezzo di trasporto, ma un’opera d’arte sulla quale potevano sbizzarrirsi in quel mix di fantasia e immaginazione che, secondo Leonardo Fioravanti, è la creatività.
Questi ‘carrozzieri’ italiani non si limitarono però alla costruzione di modelli unici per clienti danarosi, ma estesero la loro influenza all’intera industria automobilistica europea, esportando anche nella produzione industriale di massa (Pininfarina per Peugeot e Austin Morris, Michelotti per BMW e Triumph) un gusto e uno stile tutti italiani. Persino la Rolls Royce affidò a Paolo Martin, disegnatore della Pininfarina il disegno di un nuovo modello per adeguarsi alla dilagante italianità delle linee, anche se finì col chiamare la macchina col nome poco italiano di Camargue.
Oltre alla genialità creativa, questi uomini colpiscono per il misto di orgoglio e umiltà che li caratterizza. Sono artisti con l’etica del lavoro di un artigiano ed artigiani con l’estro creativo degli artisti. Sono le persone che ci rendono ancora fieri di essere italiani.