Coniugare bellezza e funzionalità è uno dei must dell’architettura italiana. L’attenzione per i dettagli, per i materiali artigianali, per l’eleganza delle linee contraddistingue da sempre quello che viene definito all’ estero come Italian style. Lo sa bene Giuseppe Samà, giunto a New York nel 2012, dopo la laurea in architettura a Roma e un master in restauro monumentale.
Nato e cresciuto a Cosenza, dopo aver maturato con successo 10 anni di attività professionale in Italia, Giuseppe ha trovato a New York il modo di esprimere al meglio la sua idea di design. E proprio nel cuore di Manhattan, di fronte alla Trump Tower, diventa Associate Architect per Fzad Architecture & Design, studio che vanta clienti come Max Mara, Davide Cenci, Jacob & Co., Tommy Hilfiger.
Perché New York?
“Basta visitarla per sentire qualcosa: una magia, una sensazione, un’energia. New York è punto d’arrivo, una meta. Non sarà mai soltanto una città e forse non è neanche un luogo. È uno stile: mentale, estetico, di vita. È l’eccitazione che ti porta a Manhattan, l’idea di sentirti appunto a casa anche se la casa l’hai appena lasciata per un nuovo mondo. La gente viene qui perché aspira ad essere nella città che darà loro la libertà di fare quello che vogliono e realizzare le loro aspirazioni, i loro sogni. Ecco perché New York è fantastica”.
Come è cominciata la tua avventura professionale qui?
“Era il 2012 quando è nata l’idea di fare qualche esperienza all’estero. Nonostante la crisi economica in Italia lavoravo abbastanza. L’ambizione e la voglia di confrontarmi con un’altra cultura e migliorare dal punto di vista professionale però erano troppo grandi. Così, quando qualche anno più tardi ebbi l’opportunità di incontrare qui a New York quella che poi sarebbe diventata una delle persone a me più care, il mio mentore, Tony Brusco, decisi che era il momento giusto per fare il grande passo”.

Quali parallelismi e quali differenze professionali vedi tra New York e l’Italia?
“Uno dei pochi parallelismi che ho riscontrato è l’amore per lo stile italiano. Nonostante New York sia la città più multietnica del mondo, il design Made in Italy è simbolo di distinzione ed eleganza. Al contrario invece, le differenze sotto molti punti di vista sono davvero tante. Quella più importante e totalmente opposta rispetto all’Italia, è l’ottimo sistema burocratico. Qui non esiste che tu debba aspettare dai sei ai nove mesi per ottenere un permesso di costruire. Devi aspettare così tanto tempo solo se il progetto riguarda un grattacielo. Negli Stati Uniti il tempo è denaro ed un costruttore non si può permettere di aspettare a lungo. Ma per una casa o un ampliamento per esempio i tempi di attesa sono tra le quattro e le sei settimane. Un’altra, e lo dico con rammarico, grandissima differenza con l’Italia è il rispetto delle norme di sicurezza sui cantieri edili. Qui tutti i lavoratori sono ben equipaggiati e a norma. La sicurezza delle persone viene prima di tutto. In Italia purtroppo gli incidenti sul lavoro sono all’ordine del giorno”.
Raccontaci la tua esperienza con l’ideazione della catena di locali italiani in USA.
“Ho avuto modo di conoscere la famiglia Biamonte, in particolar modo Remo, proprietaria dei ristoranti Numero 28, nel 2014 tramite un caro amico in comune. Da lì, sarà che entrambi Italiani, sarà che entrambi calabresi, è nata una grande amicizia. Numero 28 a New York ha sei location, altre a Miami, Austin (Texas), Londra. Un ristorante e bar di design concepito come uno spazio di ricerca, dove gli interni e la costruzione stessa fanno da cornice a cibo e cocktail, in un equilibrio di creatività differenti che fanno da cornice a cibo e cocktail. Insomma, un luogo in cui i cosmopoliti abitanti di New York, e non solo, amano rifugiarsi e rilassarsi”.

Quali sono i progetti a cui stai lavorando?
“Attualmente oltre ad essere associate architect e project manager, ricopro il ruolo di responsabile di tutti i progetti di restauro presso questo studio di architettura in Midtown. Oltre ai ristoranti Numero 28, ho diversi progetti su cui sto lavorando: una grande villa alle porte di New York e diverse residenze e townhouses a Manhattan. A questo bisogna aggiungere anche i lavori, quattro in totale, che sto realizzando in Italia. L’ultimo progetto di una villa sul mare della Calabria iniziato una settimana fa”.
Architettonicamente quali sono secondo te le zone o i monumenti o le costruzioni della città che ti affascinano di più?
“Due sono i quartieri che più mi affascinano di New York. Il West Village e l’Upper West Side in particolare Central Park West. Entrambi caratterizzati da edifici storici che sono quelli che più rappresentano la New York di un tempo. Fortunatamente entrambi i quartieri sono protetti dal New York Landmarks Preservation Commission, che significa che i grattacieli non potranno mai essere costruiti qui. Il West Village è il luogo perfetto per una passeggiata tra le strade alberate ed epicentro da cui il mito ha avuto origine. Famoso per la sua scena Bohemienne, e per aver visto nascere la Beat Generation, il Village è la parte più amata dai veri newyorkesi, la più misteriosa, la più segreta. Andy Warhol ne andava pazzo così come Woody Allen. Tra le brownstones scoviamo la casa più stretta di New York a 75½ Bedford St. (appena a sud di Commerce Street) così come il condominio della serie televisiva Friends. The Gardens at St. Luke in the Fields, a poca distanza, è una gemma nascosta e oasi di pace e tranquillità nel cuore della città. Oppure il laghetto di Central Park di fronte alla West 75th Street è un luogo di pace nel cuore del mondo. A contrasto, con Central Park South sullo sfondo e accanto il San Remo, lo storico edificio a due torri che per anni è stato la residenza newyorkese di Steve Martin, Steven Spielberg, Demi Moore e Steve Jobs”.
Che cosa hai scambiato a livello professionale con i colleghi architetti americani?
“Una cosa che ho imparato da loro è la grande organizzazione che c’è dietro un progetto. Rispettare le scadenze e lavorare sotto pressione a ritmi elevati è uno dei requisiti che tutti gli studi di New York richiedono, e questi due anni di esperienza mi hanno insegnato tanto. Una delle cose più importanti che ho cercato di trasmettere a loro sono state le tecniche di restauro architettonico e anche sul design in generale, cercando di far capire loro l’importanza che ha l’illuminazione quando si progetta un interno, un aspetto fondamentale ma spesso sottovalutato anche in Italia”.
Quanto c’è dell’Italian way nel tuo lavoro in America?
“In ogni progetto che faccio lo stile italiano è tutto. Il mercato Usa, e soprattutto quello newyorkese, risulta sempre più attratto dal bello e dal ben fatto italiano. Qui non faccio altro che dare libero sfogo alla mia fantasia utilizzando materiali come il vetro, il legno e l’illuminazione. Questa è una cosa unica perché alla fine dei lavori il risultato è proprio quello che inizialmente avevi ideato. Ed il fascino di questa meravigliosa professione è il fatto che ti dia la possibilità di dare vita a cose che ancora questo mondo saturo, in tutto e per tutto, non è stato in grado di creare”.