La rivista Esquire lo ha inserito tra i “Best & Brightest”, Forbes tra i “Names You Need to Know” e Wired nella lista delle “50 persone che cambieranno il mondo”, Fast Company lo ha nominato tra i “50 designer più influenti in America” e Thames & Hudson tra i “60 innovators shaping our creative future”.
Parliamo di Carlo Ratti, classe 1971, nato a Torino, architetto e ingegnere, docente al Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston, dove dirige il Senseable City Lab, fondatore dello studio di design e innovazione Carlo Ratti Associati. Laureato presso il Politecnico di Torino e l’École Nationale des Ponts et Chaussées a Parigi, ha conseguito un Master in Philosophy e un PhD in Architettura all’Università di Cambridge, in Inghilterra.
Protagonista del dibattito internazionale sull’influenza delle nuove tecnologie in campo urbano, Carlo Ratti è autore di più di 500 pubblicazioni, tra cui il saggio The City of Tomorrow (Yale University Press, 2016, scritto con Matthew Claudel), e proprietario di numerosi brevetti tecnici. Suoi articoli o interviste sono comparsi sulle più importanti testate giornalistiche, tra cui New York Times, Washington Post, Wall Street Journal, Financial Times, Scientific American, BBC, Project Syndicate, Corriere della Sera, La Repubblica, Il Sole 24 Ore, La Stampa, Domus. Suoi lavori sono stati esposti da istituzioni culturali tra cui la Biennale di Venezia, il Design Museum di Barcellona, il Science Museum di Londra, il Museum of Modern Art di New York e il MAXXI di Roma.
Ricopre gli incarichi di copresidente del World Economic Forum Global Future Council su Città e Urbanizzazione e di special advisor presso la Commissione Europea su Digitale e Smart Cities. Lo intervistiamo poco prima della sua lectio al festival culturale Passepartout di Asti, dove la fondazione biblioteca astense Giorgio Faletti lo ha invitato a parlare di “Rivoluzione urbana”.
Ci può spiegare il concetto di Senseable city applicato alle metropoli americane?
Partirei innanzitutto con la definizione di Senseable city: una città che racchiude in sé un duplice significato, quello di “capace di sentire” e “sensibile”. Il termine “Senseable” mette più enfasi sul lato umano delle cose – in contrasto dunque con l’aspetto tecnologico fine a se stesso che prevale ad esempio nella locuzione “smart city”. Questa attenzione al lato umano è sicuramente il denominatore comune della maggior parte dei nostri progetti – sia quelli portati avanti da Carlo Ratti Associati o al MIT Senseable City Lab. Detto ciò, cosa questo comporterà per le metropoli americane? Questo il mio auspicio: un miglioramento della qualità della vita e una gestione più efficiente della res publica. Tuttavia non ci sarà un futuro prevedibile né riducibile ad una singola risposta: sono convinto che l’approccio migliore per la gestione di una città sia quello partecipativo – questo significa che saranno i cittadini a inventare la città futura in cui vorranno vivere.
Quali interventi è ancora necessario attuare e quali progetti sta sviluppando in questo senso?
Credo che sia necessario coinvolgere sempre più i cittadini nei processi di pianificazione e sviluppo urbani. Ancora oggi è diffusa l’idea che spetti soltanto agli enti pubblici creare una “smart city” – come se i cittadini potessero farsi trascinare passivamente, perinde ac cadaver. Al contrario, i cittadini devono essere coinvolti ed essere stimolati a diventare protagonisti del cambiamento: ad esempio usando o rielaborando i Big Data relativi alle nostre città per creare servizi digitali o App. A tal proposito, qualche anno fa con il MIT Senseable City Lab abbiamo sviluppato Trash Track, un progetto che permette di tracciare il percorso che fa la nostra spazzatura una volta che finisce nel cestino. I risultati ottenuti, oltre a essere utili per una migliore gestione dei rifiuti, hanno promosso anche un cambiamento nel comportamento delle persone – tanto che una persona ci ha detto “ho sempre bevuto in bottiglie di plastica, di cui mi dimenticavo l’esistenza una volt a buttate. Tuttavia, dopo il progetto e venendo a scoprire che le bottiglie vuote finivano in un campo non lontano da casa mia, ho deciso di smettere di bere in bottiglie di plastica.” Un piccolo aneddoto, ma significativo di come il mondo dei dati, di per se’ puoi’ avere un grande impatto.
A proposito di esperimenti, qual è il bilancio del Future Food District e soprattutto del Supermercato del Futuro, alla cui realizzazione ha collaborato nell’ambito di Expo 2015?
Direi molto buono! Tutto è iniziato quando siamo stati invitati a realizzare il padiglione tematico di Coop per Expo Milano 2015. L’ispirazione iniziale è stata l’immagine del signor Palomar, personaggio di Italo Calvino che, immerso in una fromagèrie parigina, ha l’impressione di trovarsi in un museo o in un’enciclopedia. Scrive Calvino: “Dietro ogni formaggio c’è un pascolo d’un diverso verde sotto un diverso cielo (…) Questo negozio è un museo: il signor Palomar visitandolo sente, come al Louvre, dietro ogni oggetto esposto la presenza della civiltà che gli ha dato forma e che da esso prende forma.” Oggi ogni prodotto alimentare ha una storia da raccontare. La speranza è quella che, andando a confrontarsi con i meccanismi e le dinamiche delle varie filiere, i clienti diventino più consapevoli dei limiti delle risorse naturali, andando a privilegiare, quando possibile, prodotti freschi e locali. I dati quindi possono essere un importante motore di cambiamento del nostro comportamento, come dicevamo già prima. All’interno del negozio, tavoli interattivi permettono di visualizzare una specie di “etichetta aumentata” per ciascun prodotto – cioè una serie di indicazioni che includono l’origine delle materie prime, la tracciabilità, la presenza di allergeni, le istruzioni per lo smaltimento, etc. Il tutto funziona in modo molto semplice: basta che il consumatore avvicini la mano a un prodotto, per poterne conoscere la storia, che compare su alcuni schermi posizionati al di sopra dei banconi alimentari. Il pubblico ci ha dato molti feedback positivi a partire dal Future Food District (che ha avuto milioni di visitatori). Ad esempio, i bambini hanno amato tutte le interazioni digitali e molte persone sono rimaste sorprese da quanto facile e user-friendly sia il sistema.

Abbiamo monitorato molte recensioni su articoli e blog, Tripadvisor incluso.La risposta delle persone è cruciale per noi – perché ci aiuta a migliorare il design. Tornando al bilancio, citerei una recensione che abbiamo ricevuto da VICE durante Expo: “Fare la spesa non mi era mai davvero interessato – era soltanto un’azione necessaria alla sopravvivenza: entra, compra il cibo, esci. Ma non questa volta. Se avessi avuto i soldi, avrei passato delle ore dentro il supermercato di Coop comprando tutto quello che era esposto, dal vino alle arance impacchettate dalle braccia meccaniche di un robot”. Dopo Expo Milano 2015, abbiamo continuato a collaborare con Coop. Pochi mesi fa, alla fine del 2016, il Supermercato del Futuro è diventato un negozio aperto al pubblico in modo permanente, nel quartiere di Milano Bicocca.
Come vede, rispetto allo sviluppo tecnologico delle aree urbane un’operazione come la creazione della high line a NYC e della nuova low line, che riutilizza spazi abbandonati per installare spazi verdi, magari sfruttabili anche per la coltivazione a km 0? Mi riferisco al progetto eHabitat con applicazione delle nuove tecnologie anche al mondo del cibo e della sostenibilità.
Mi interessa molto la tematica del rapporto tra città e natura, e credo che grazie ad alcune nuove tecnologie di coltivazione – dall’idroponica al vertical farming – sia possibile mettere a punto sperimentazioni molto interessanti. Al di là del caso di New York, Singapore sta studiando fattorie verticali con cui coprire le facciate dei propri grattacieli, e in molte metropoli si trovano esempi abbondanti di orti sui tetti delle case o negli angoli prima inutilizzati delle strade.

Potrà l’agricoltura urbana da sola soddisfare la domanda alimentare di milioni di cittadini? Probabilmente no, anche solo per ragioni spaziali ed energetiche (la quantità di luce solare che colpisce un’area urbana è di solito inferiore a quella necessaria per un campo). Tuttavia potrà giocare un ruolo chiave nell’aiutarci a rafforzare il nostro legame con la natura – e con la sorpresa della vita che si rinnova seguendo le stagioni. La speranza è che le nuove tecnologie possano domani permettere un’inedita integrazione tra natura e cultura. Mi hanno sempre affascinato le parole Elysée Reclus, il geografo anarchico francese che alla fine dell’Ottocento scriveva: “L’uomo dovrebbe avere il doppio vantaggio di un accesso ai piaceri della città […], alle opportunità che offre allo studio e alla pratica dell’arte, e, allo stesso tempo, dovrebbe poter godere la libertà che si trova nella libertà della natura, e che si spiega nel campo del suo vasto orizzonte.”
A questo proposito, può parlare del progetto con il MIT Treepedia, che dall’osservazione di mappe censisce la copertura del verde nelle grandi città del mondo, per tentare di migliorarne il ‘tasso ecologico’?
Treepedia è un progetto che usa i dati di Google Street View per mappare il verde cittadino in decine di metropoli diverse. Milioni di foto vengono prese e analizzate da algoritmi di intelligenza artificiale, per censire la vegetazione e permettere ai cittadini di confrontare la propria metropoli con le altre – e, perché no, di far pressione sulla pubblica amministrazione per trasformare il proprio quartiere. Il successo del progetto ci ha colti di sorpresa – con migliaia di persone che hanno iniziato a seguirne l’evoluzione in diversi continenti, chiedendo che anche la loro città o quartiere fosse incluso nel progetto – a riprova di quanto possa essere insita in noi la “biofilia” – l’amore innato per la natura studiato dal biologo di Harvard Edward O. Wilson. Ci sono poi anche progetti da “interior”come Personal Cloud, un sistema sviluppato da Carlo Ratti che utilizza il motion tracking ed elementi dinamici a soffitto per fornire alle persone una nube di raffrescamento diretta e localizzata, ha debuttato al Museum of Future Government Services durante il vertice di governo degli Emirati Arabi Uniti.

Gli Stati Uniti, a suo avviso, sono ricettivi a questo tipo di iniezioni innovative?
Gli Stati Uniti sono un universo – non sono sicuro, ad esempio, che le politiche ambientali e quindi anche urbane del presidente Trump siano particolarmente aperte. Al tempo stesso mi conforta quello che vedo ogni giorno a Cambridge, Massachusetts, città capace di sperimentare al confine tra sostenibilità umana e urbana come poche altre al mondo. Cito anche in altro progetto, il Currie Park Waterfront. L’avvio del cantiere è previsto per il 2017, ma per la realizzazione bisognerà attendere il 2018. Il progetto coinvolge 19 ettari del waterfront di West Palm Beach, sulla costa di Lake Worth Lagoon, lo stretto canale di mare che separa le due città di West Palm Beach e Palm Beach, creando un nuovo grande complesso che comprende abitazioni, spazi commerciali e di ricreazione.

In una recente intervista Lei ha dichiarato: l’ambiente urbano e gli oggetti diventeranno “capaci di rispondere alle nostre esigenze”: le città diventeranno sempre più “sensibili e capaci di sentire, rimettendo al centro l’uomo, prima della tecnologia”. Ci può spiegare questa affermazione?
Il concetto di Senseable City è semplicemente la manifestazione di trend tecnologico più ampio: Internet sta entrando nello spazio nel quale viviamo e sta diventando Internet delle cose, abbracciando qualsiasi aspetto della nostra esistenza, dalla gestione dei rifiuti alla mobilità, alla distribuzione dell’acqua, alla pianificazione delle città al coinvolgimento dei cittadini. Nei nostri progetti cerchiamo di esplorare come l’internet delle cose stia dando vita ad un nuovo approccio per studiare l’ambiente costruito. Il nostro intervento cerca di permettere un nuovo rapporto tra persone, tecnologie e la città – sviluppando sia ricerca sia applicazioni, e facendo sì che i cittadini abbiano gli strumenti per fare delle scelte che risultino in uno stile di vita migliore per tutti.