Scoprire il fascino della natura incontaminata illuminata dalla luce lunare: questo è l’elemento che ha ispirato la carriera di Oskar Landi, fotografo italoamericano, originario di Varese, da quasi vent’anni cittadino della Grande Mela.
Proprio la luna o, meglio, il suo riflesso sul paesaggio è il soggetto principale del suo progetto Plenilunium, che ha sviluppato nel corso di 15 anni, viaggiando in 15 paesi e quattro continenti. Un’idea nata proprio in una notte di plenilunio, nel deserto del Sahara.
L’idea di Oskar è quella di immortalare paesaggi lunari negli angoli più remoti della terra, dalla Death Valley alle cascate di Kaieteur, passando per la foresta amazzonica della Guyana, arrivando alla zona rurale dei Viñales di Cuba alla Valle della Luna in Cile.
Oskar Landi ha frequentato l’International Center of Photography, ha studiato Cinematografia alla New York University ed è stato assistente della fotografa Mary Ellen Mark. Ha immortalato alcuni dei più conosciuti artisti della scena mondiale e pubblicato per The New York Times, Wired, Discover Magazine, Rolling Stone, L’Espresso, Il Corriere della Sera, La Stampa, PBS.
Lo abbiamo incontrato nel suo studio di New York City, tra un viaggio e l’altro.
Come, dove e quando è nata l’idea di immortalare i paesaggi illuminati dalla luna?
“L’atmosfera suggestiva delle notti di luna piena è un ricordo che mi porto dietro dall’infanzia. Circa 15 anni fa, tornato da un viaggio in Africa, un’immagine scattata la notte di Capodanno nel deserto del Sahara, in Mauritania, mi ha rivelato un concetto interessante da perseguire. Uso la luce della luna come uno strumento, un riflettore che illumina paesaggi incantevoli, che evocano un senso di pace ma anche di inquietudine, dove il silenzio assoluto è quasi palpabile”.
Dove hai viaggiato con questo progetto e quando hai capito che ti avrebbe portato lontano?

“Per la maggior parte nelle Americhe ed in zone buie d’Europa. Dall’Artico all’Amazzonia, deserti e tropici, sulle Alpi, sull’Etna, fino all’arcipelago norvegese delle Svalbard, dieci gradi a sud del Polo Nord. Ho fatto qualche tappa in Africa e in India, e vorrei in futuro toccare tutti i continenti. La strada da percorrere è ancora lunga, spero di trovare la casa editrice ideale e pubblicare un libro quando riterrò il lavoro completato”.
Come scegli i luoghi da immortalare e il momento e la luce giusti per farlo?
“Cerco paesaggi isolati dall’inquinamento luminoso, in continua crescita che è evidente nelle immagini satellitari notturne. Scelgo zone distanti dai centri urbani, abbastanza da essere illuminate esclusivamente dalla luna. La luna effettivamente è un riflettore che di rado appare nell’inquadratura. Il momento giusto è tutto da vedersi una volta sul posto. Dipende da una combinazione di fattori: le condizioni meteorologiche, la posizione della luna, la mia stanchezza e determinazione; a volte ho camminato otto ore per raggiungere un punto ideale o ne ho dovute aspettare quattro prima che un temporale finisse. Il viaggio è uno dei temi ricorrenti nel mio lavoro, per questo credo che la mia arte venga percepita nella stessa maniera ovunque; esplorare, scoprire, migrare, fanno parte del nostro essere, indipendentemente dalla nazionalità”.
Da quanto vivi e lavori a New York City e come ti ha accolto la città a livello umano professionale ed artistico?
“Sono arrivato a New York nel 1998 e non avrei mai pensato di rimanerci così a lungo. Nella mia esperienza è una città unica in quanto ad opportunità e possibilità di crescita, una città che non finisce mai di sorprenderti sotto tutti gli aspetti. Ciò premesso bisogna anche dire che viverci non è sempre facile, i ritmi, gli spazi e il rumore possono diventare estenuanti “.
Con quali strumenti hai cominciato a fotografare e come utilizzi le nuove tecnologie nel tuo lavoro?
“Ho cominciato nell’era analogica della fotografia, quando si doveva imparare meticolosamente ad esporre le pellicole ed aspettare che venissero sviluppate. Passavo ore a stampare, sembra incredibile pensando all’immediatezza di oggi, ma forse è proprio in camera oscura dove Plenilunium ha le radici: luce appena sufficiente per vedere e lunghe esposizioni. La fotografia ha sempre prontamente adottato le ultime tecnologie. Prima o poi i materiali diventano obsoleti, le attrezzature si rompono o vengono radicalmente migliorate. Mai come oggi ce ne rendiamo conto, con tutti i nostri gadget paradossalmente progettati per non durare a lungo. Detto ciò ci sono ancora grandi artisti che usano il dagherrotipo o la pellicola, anch’io recentemente mi sono trovato a fotografare negativi di 20×25 centimetri con una macchina a soffietto di legno”.
Cosa consiglieresti ad un aspirate fotografo italiano che vuole come te crearsi una professionalità negli USA?
“Studiare arte o fotografia, come anche assistere professionisti affermati, può aiutare ad inserirsi e far risparmiare tempo prezioso. Internet è diventato una grande risorsa dove è possibile trovare contatti, lezioni, interviste, recensioni, pubblicazioni scientifiche gratis. Inoltre ci vogliono tanta passione e pazienza, indispensabili per continuare sul proprio percorso e per arrivare a capire quali soggetti ci interessano veramente”.
Quale è stato il paesaggio immortalato che più ti ha emozionato?
“L’inverno scorso, accompagnato da una guida professionista, ho passato la notte sullo Jungfrau in Svizzera, a circa 3.800 metri, con 20 gradi sottozero; il silenzio quasi assoluto riempito dal cigolare meccanico delle ciaspole, la vista adattata al bianco della neve registrava il cielo come quasi completamente nero, profondo, infinito… D’un tratto una piccola valanga, per fortuna distante da noi! Ricordo con commozione quando sono andato a scattare sull’Etna: ci sono volute otto ore per scalarlo e ricordo quell’ esperienza come un momento surreale; arrancavo al buio con il rumore del vulcano e avvertivo il calore della sabbia mentre il fumo usciva dalle crepe . Ne è valsa la pena però: una delle foto è stata acquistata da Reinhold Messner, ed è in mostra nel suo museo del Sud Tirolo. E ora si trova nel castello di Firminiano. Ogni volta è un’esperienza emozionante ed indimenticabile, impossibile descriverla nella sua totalità”.
Progetti per il futuro?
“Sono appena tornato da un programma di arte e scienza nell’Artico, dove ho iniziato un nuovo lavoro sui rifiuti di plastica negli oceani. Al momento sto sviluppando il progetto con il supporto di organizzazioni ambientaliste e ricercatori; sta diventando molto interessante e sono curioso di vedere dove mi porterà : la nuova frontiera dell’esplorazione è un progetto multimediale sulle microplastiche negli oceani”.