Una galleria inaspettata, quasi nascosta, Infinito Studio-Gallery su Leonard Street, a Manhattan, ospita una mostra insolita e coraggiosa dal titolo No War!, di Enzo Apicella. L’allestimento della mostra è scarno, per lasciare il massimo respiro alle opere di questo poliedrico artista napoletano. Oltre cinquanta disegni su carta (inchiostro, pastello e acrilico-vernice) sono appesi con delle mollette su di un lungo filo rosso, e riempiono interamente tutte le pareti delle due sale spaziose della galleria. Un bucato che tutti dovrebbero vedere. I disegni di Apicella non hanno bisogno di didascalie o di complesse spiegazioni. Sono chiari, semplici, diretti. Parlano di politica, di guerra, di giochi di potere, di genocidi, di democrazia esportata con il sangue e la metà dei proventi delle vendite delle opere verranno destinati al Palestine Children’s Relief Fund.
Enzo Apicella, classe 1922, vive e lavora a Londra dal 1954. Scrittore, giornalista, redattore e arredatore d’interni, ma soprattutto fumettista. Collabora tutt’oggi con quotidiani e riviste di fama internazionale: The Guardian, The Economist, The Observer solo per citarne alcuni, tutte testate straniere. In Italia Apicella non pubblica una vignetta, su un qualunque quotidiano, dal 1954, anno in cui, perse il lavoro e decise di trasferirsi a Londra.
“Ho cominciato quasi per necessità, a Napoli, nel dopoguerra. Ricordo che si viveva in una miseria mai vista. Io all’epoca lavoravo al municipio di Napoli, presso l’ufficio carte annonarie, allo sportello, e avevo la sfacciataggine di chiedere alle persone che venivano a ritirare le tessere, ‘prego si metta di profilo’. Disegnavo 400 caricature al giorno sulla carta del municipio di Napoli, con le matite del municipio di Napoli – Racconta Apicella scoppiando in una risata contagiosa – Dopo un po’ che mi cimentavo, ho preso coraggio, anche perché ricordo Nino Falanga, carissimo amico, che già a quel tempo faceva un sacco di soldi con i suoi disegni. Aveva la fila fuori, così mi son detto perché no?”.
Il talento schietto e contro corrente di Apicella gli permette di collaborare con rinomate testate giornalistiche italiane, e grandi nomi del giornalismo. A cominciare da Cronache (1953) di Gualtiero Jacopetti, precursore di quello che oggi conosciamo come L’Espresso. Un giornale che rompeva abitudini consolidate e che metteva in luce gli angoli bui dell’Italia di quei tempi. “Grande stima nutro nei confronti di Jacopelli, eravamo amici, lo ammiravo molto come uomo e come professionista. Peccato fosse fascista”. E la risata gentile di Enzo Apicella risuona nuovamente. Ma torna subito serio nel sottolineare: “Quando è morto, la stampa italiana gli ha dedicato appena qualche trafiletto, proprio a causa del suo credo politico, sul Guardian inglese, invece, una pagina intera. La conservo ancora a casa. Nel tempo tutto è cambiato. Nessuno può più gridare il proprio credo, sia esso politico o religioso senza delle conseguenze. La libertà d’espressione non esiste più, il mondo politico si nasconde dietro delle finte democrazie, dove in realtà non siamo liberi di dire ciò che pensiamo veramente”.
Collaboratore presso Epoca di Enzo Biagi, per cui curava l’impaginazione, diventa poi redattore capo nella rivista chiamata Melodramma, a Venezia, finanziata dal Conte Cini. “Guadagnavo 300.000 lire, incredibile per quel tempo. Era l’unico giornale di opera, ma nel momento in cui stavamo ricevendo diverse richieste di abbonamento tagliarono i fondi e io rimasi senza lavoro. Era il 1953 e Lucio Manisco che stava alla BBC a Londra, mi disse ‘Enzo sei senza lavoro, vieni a farti 15 giorni a Londra’, andai e lì iniziai una seconda vita”.
Proprio a Londra Apicella diventa famoso non solo come artista e giornalista ma anche come arredatore di ristoranti. Ha disegnato oltre 140 ristoranti tra Inghilterra, Boston e uno anche in Italia a Roma, offrendo un pacchetto completo, dall’uniforme dei camerieri, ai menù: “Un lavoro che mi appassiona e che mi ha regalato grandi soddisfazioni”.
Nelle redazioni italiani la carriera di Enzo Apicella come vignettista si interrompe, per sempre. Nessuno vuole più pubblicare le sue immagini, spesso scomode. Le sue opinioni sono nette, soprattutto riguardo la posizione presa dagli Stati Uniti nei confronti della questione palestinese. Apicella condanna fortemente Israele e di conseguenza si pone a sfavore anche del governo americano che da sempre lo sostiene. Tematiche scomode che hanno danneggiato la sua reputazione e compromesso la sua carriera. Basta dare uno sguardo veloce ad alcuni dei suoi disegni e tutto diventa ovvio in un attimo.
Viene spontaneo, allora, chiedere ad Apicella come mai una mostra a New York: “Questi disegni nascono dalle mie sofferenze nell’aver visitato numerose volte i campi di concentramento palestinesi in Libano. Gente disperata, senza acqua, senza luce. L’idea della mostra nasce grazie a Roberto Brambilla e Sebastiano Tecchio della Infinito Studio Gallery. Quando mi hanno chiesto di realizzare la mostra ero molto perplesso: ‘Voi lavorate a New York – dissi – avete un business lì, una mostra contro la guerra è, per me, una mostra contro gli Stati Uniti e contro Israele, non ci sono più altre mostre al mondo di questo tipo, non ne fanno più’. La risposta fu ‘fai quello che vuoi tu’ e una risposta così cela un grande coraggio. Quello che non riesco a digerire è il silenzio difronte a questa situazione e il minimo che persone come noi possono fare, è realizzare cose come questa. Nel mondo stanno accadendo cose inaudite, violenze, guerre per il petrolio, soppressione delle libertà e tutti tacciono”. Con un grande sorriso amaro Enzo Apicella allarga le braccia e ripete “è il minimo che io possa fare”.