Se si è soliti immaginarsi l'eccentricità e l'egocentrismo tipici di certi artisti, allora non ci si può immaginare Roque Fucci come un artista.
Infatti Roque ha un'aria diversa mentre si aggira per le due sale con le opere esposte – le sue e quelle dei suoi detenuti – indossando un gilet dai tipici colori del Sud America, una maglia arancione, i capelli raccolti in una treccia, piercing all'orecchio e due grandi occhi castani, sorridenti, ma timidi allo stesso tempo.
E proprio quei suoi occhi umili e profondi riflettono l'artista che c'è in lui. Roque è incredulo nel vedere l'arte prodotta dalle sue mani e quelle dei "suoi" detenuti per la prima volta esposte in una galleria di New York.
Chiacchierando con LA VOCE di New York, il ceramista Italo-Argentino ha raccontato come è giunto fin qui.
Nel Settembre 2014 Fucci è stato uno dei due vincitori del Gotham Prize d'arte, indetto dall'Istituto Italiano di Cultura di New York.
''Alcuni amici mi hanno detto c'era questo bando, esortandomi a partecipare'' rivela Fucci, il quale ha deciso di lanciarsi più per pressione esterna che per una scelta propria.
''Quando poi ho scoperto che avevo vinto, e che avevo questa mostra a New York, con tutto il prestigio che ne sarebbe venuto, ho pensato: 'sono in ballo e allora balliamo'" scherza l'artista.
La mostra, in corso dal 23 aprile al 20 maggio, dice a LA VOCE il Direttore dell'Istituto di Cultura, Fabio Troisi è prevista in quanto Fucci ha vinto il premio, e poi perché l’arte è un mezzo formidabile di promozione del Paese, e gli artisti italiani sono molto apprezzati negli Stati Uniti.
''New York è il centro artistico mondiale per eccellenza relativamente all’arte contemporanea, e questo Istituto è attivo da sempre nel promuovere sia gli artisti italiani già presenti in città, sia coloro che, come Fucci, vogliono promuovere la loro arte qui pur essendo in Italia''.
L'arte ''sociale'' come catalizzatore
Camminando nella prima sala si scorgono le riproduzioni di ceramica che richiamano – come dice Fucci – i ricordi di passati lontani, dei ''suoi'' avi andini e meticci. Infatti nei suoi vasi, piatti e in ogni tipo di vasellame plasmato, Fucci rievoca le mescolanze di tecniche di arte e di stile dell'Africa, Europa e America.
Ma entrando nella seconda sala – motivo di grande orgoglio per il maestro – sono esposti in vetrina ceramiche non sue, bensì fatte dai suoi studenti detenuti, che chiaramente rappresentano la vita all'interno dei corridoi del carcere. Dentro quei piatti così fragili è disegnata tutta la durezza della loro esistenza.
''Io li ho solo assistiti tecnicamente'' dice Roque indicandomi tre piatti ''Ma l'idea è loro. Guarda questi, ognuno ha disegnato un volto, il primo con due punti scuri sulle orecchie, il secondo con due punti scuri sugli occhi e l'ultimo sulla bocca. Significano appunto non vedo non sento e non parlo''.
Roque lavora da otto anni come responsabile del laboratorio di ceramica dell'Istituto Penitenziario Minorile Ferrante Aporti di Torino, organizzato dall'Agenzia Formativa FORCOOP/ Agenzia Valdocco.
''Veramente io mi sono visto da sempre non come un'artista ma come un artigiano. Per questo faccio arte sociale. Io offro gli strumenti semplici, la tecnica e la materia prima, ma l'arte la fanno gli altri,'' dice Fucci, ''La mia ispirazione e la mia ricerca artistica si creano intorno a questi ragazzi, che traggono ispirazione dalla loro vita difficile, dalla loro energia, e dal loro tormento''.
Il 43enne argentino racconta come sia stato duro inizialmente lavorare in questo nuovo tipo di ambiente. ''Mi hanno buttato dentro ad un'aula, e chiuso a chiave con questi ragazzi, senza spiegarmi se c'era un corso da imparare sui conflitti e la gestione della classe''.
''Non è stato proprio semplice'' sottolinea Roque, il quale, ricorda anche situazioni di tensione emotiva e conflitto. Ma, attraverso il confronto ed il dialogo con questi giovani, che mai avrebbe pensato di incontrare al di fuori del suo lavoro, ha smussato le difficoltà ed è riuscito ad ''incrociare il mondo della ceramica, dell'arte e della scultura, con il mondo carcerario''.
Così si è creato pian piano un rapporto di lavoro, un rapporto umano, riflette l'argentino, e queste opere sono state il frutto di questo rapporto.
''Per me, la magia dell'arte è l'opportunità qualcosa di aprire loro un mondo nuovo. Ed è magico perché vedo nei loro volti una vertigine verso la bellezza e verso la creazione''.
"In realtà, questa vertigine è solo una parentesi, in quanto non cambia la loro situazione nel mondo, ma almeno offre un momento di bellezza e felicità, aggiunge Fucci.
La paura iniziale più grande nell'affrontare questo lavoro per Roque, era data dai suoi pregiudizi verso la malavita e la delinquenza. Ma sotto la finta aggressività dei minori, Fucci ha scoperto delle persone come lui stabilendo ottimi rapporti, paradossalmente migliori, con i detenuti che in genere scontano pene più lunghe, perché hanno commesso reati più gravi.
''Ho visto l'uguaglianza. Ho visto che la vita dà a qualcuno una cosa e a qualcun altro un'altra , ma alla fine abbiamo tutti la stessa pulsione vitale''.
La ricchezza della ceramica Andina
Nato a Buenos Aires durante la dittatura, il giovane Roque è cresciuto tra i ricordi della sua vita in giro per le Ande e nutrendosi del legame con i suoi bisnonni Lucani. Dopo aver studiato al liceo artistico, ha conseguito un corso di formazione di ceramica e scultura, presso un artigiano argentino, il quale, svela Fucci, paradossalmente aveva anch'egli stesso iniziato a lavorare la ceramica in un istituto minorile.
E dopo la crisi del 2001 in Argentina, Roque racconta che è venuto in Italia in cerca di fortuna. ''Non conoscevo nessuno, sono arrivato in Europa con uno zaino e 50 euro''.
''Sono contento di stare in Italia, anche se è un po' una contraddizione, perché ho venduto la mia casa a Buenos Aires, ma dopo ho comprato un podere in Patagonia, con una casa, che per adesso affitto, ma è sempre lì, è la mia casa. Non voglio spezzare questo rapporto con le mie radici''.
Anche se ci sono voluti tre anni per abituarsi al clima del Nord, al freddo e alle lunghe giornate invernali, Roque ama l'Italia.
Nella sua arte l'artista si ispira proprio alle sue origini italiane e ai suoi viaggi. Fucci racchiude i ricordi delle Ande, dove ha conosciuto donne che facevano ceramica ed il pane nei forni, e dove ha imparato che la gente ha un rapporto diverso, non commerciale con gli oggetti.
''Da quelle parti un oggetto non ha valore artistico – conferma Fucci – anche se ha un livello tecnico altissimo. Loro non lo vedono come una pezzo pregiato, ma come un'oggetto di vita quotidiana, semplice come il loro pane, come se la bellezza fosse il quotidiano''.
L'artista ricorda soprattutto un incontro che lo ha segnato particolarmente con un'artigiana.
''Io ero rimasto colpito da un suo vaso molto bello. Mi disse di portarlo via con me. Io rifiutai ma lei, alzando le braccia in alto e mostrandomi le mani, disse, da dove è uscito quello, ne possono uscire tanti altri ancora, perciò portatelo''.