Non c'era nulla di soffuso nella magnate dei cosmetici, Helena Rubinstein. Mentre preparava formule di bellezza, questa piccola donna dinamica accumulò un'eclettica collezione d'arte di grande valore, 200 pezzi della quale sono ora in mostra al Jewish Museum di New York fino al 22 marzo, prima di spostarsi al Boca Raton Museum of Art in Florida.
"La bellezza è potere … Il più grande potere di tutti", fu uno dei primi slogan utilizzati da Rubinstein già nel 1904 per la sua campagna pubblicitaria che ha ispirato il titolo della mostra, Helena Rubinstein: Beauty Is Power. Rubinstein convinse le donne a cavallo tra l'Ottocento e il Novecento che “dipingersi” la faccia non era roba solo per le attrici o per le torte, ma che avrebbe contribuito al loro senso di legittimazione, a prescindere dalla loro classe sociale.

Il catalogo della mostra
La mostra al Jewish Museum esplora per la prima volta le sue idee, le innovazioni e l'influenza della leggendaria imprenditrice, Helena Rubinstein (1872-1965). Mason Klein, uno dei curatori del Jewish Museum, scrive nel catalogo: “è sia una mostra sulla donna, persona complessa e poliedrica che controllava la sua immagine con rigore, sia un'esplorazione della sua fascinazione ironica per come veniva definita la bellezza. Notoriamente Rubinstein sosteneva che non ci fossero "donne brutte, ma solo donne pigre". Tuttavia, radicata nel commercio, questa opinione parla tanto alla sua etica del lavoro che al suo genio pubblicitario”.
Nata nel quartiere di Kazimierz a Cracovia, Polonia, Rubinstein avviò la sua manifattura di cosmetici con i vasetti di crema Modjeska, dal nome di un'amica di sua madre, l'attrice Helena Modjeska che aveva prsentato i Rubinstein al Dr. Jacob Lykusky, il chimico ungherese che creò la crema da una mistura di erbe, essenza di mandorle ed estratto di corteccia dell'abete dei Carpazi.
Non avendo un figlio maschio, il padre di Rubinstein incoraggiò le naturali qualità di leadership della figlia e le insegnò a sfruttare al meglio le opportunità che le si aprivano. Rubinstein visse in un'era di grandi ondate di cambiamento che seppe cavalcare verso il successo.
Si trasferì negli Stati Uniti prima dello scoppio della Prima guerra mondiale e, proprio in coincidenza con il suo arrivo, si verificarono due eventi rivoluzionari: l'Armory Show dell'arte d'avanguardia europea nel 1913 e una grande manifestazione, nel 1911, delle donne suffragette che, a decine di migliaia, marciarono per le strade. Rubinstein notò che molte delle manifestanti indossavano rossetto e belletto come segno di emancipazione. Il suo colpo di genio fu di sviluppare un marchio di prodotti di bellezza che incontrava i gusti tanto delle acculturate esponenti dell'alta società quanto delle lavoratrici della classe media.
All'Armory Show entrò in contatto con il lavoro di Modigliani, Brancusi, Picasso. A proposito del suo gusto per l'arte, Rubinstein disse: "La scultura africana mi piaceva molto. A pochi dei nostri amici interessava. "Che strano", dicevano, "pensare che una persona che ha dedicato la sua vita alla bellezza acquisti cose tanto brutte". Anni dopo, quando i dipinti di Juan Gris, Picasso e Modigliani cominciarono a ricevere riconoscimenti a livello mondiale, la scultura africana diventò una delle loro fonti d'ispirazione”.
Impegnata a inventare creme per i vari "tipi di pelle" femminile (un'espressione da lei stessa coniata), incoraggiava le donne a usare il make up per definire se stesse come individui, non per conformarsi ad una singola immagine di bellezza.
Ispirata dalla tradizione dei salotti letterari europei, Rubinstein progettò i suoi saloni di bellezza come ambienti intimi in cui ci si scambiavano idee sotto la guida di un sofisticata patrona. Dopo i primi successi in Australia, aprì saloni di bellezza nei più importanti quartieri di Londra e Parigi e fondò il suo primo salone newyorchese nel 1915.
La mostra è dominata da opere dell'inizio del XX secolo di artisti come Elie Nadelman, Georges Braque, Fernand Léger, Joan Miró, Max Ernst e Frida Kahlo, e include anche oggetti e capi d'abbigliamento africani e dell'Oceania, di couturier come Balenciaga, Paul Poiret e Elsa Schiaparelli, gioielli e diorami.
Passando dalla sfilza dei suoi numerosi ritratti – tra cui quelli di Marie Laurencin, Man Ray, Graham Sutherland, Picasso e Andy Warhol – fino alle sue "eterogenee collezioni", Klein scrive: “Rubinstein professava l'inclusività e non l'esclusività”.
Nella mostra sono documentate, con fotografie e articoli di riviste, anche le tante case di proprietà di Rubinstein e c'è una sezione dedicata alle sue innovative tecniche di imballaggio, di marketing e pubblicità. Nel 1964, quando Rubinstein, alta meno di un metro e mezzo, aveva 91 anni, Life Magazine la definì una "piccola, instancabile tycoon della bellezza". Il suo marchio è ora di proprietà di L'Oréal e venduto solo in Europa, Asia e America Latina. Della sua collezione Helena Rubinstein disse: “Ho sempre preferito l'insolito e quando ho seguito buoni consigli e il mio "occhio interiore" ho sempre fatto buoni acquisti”.
A corredo della mostra, il Jewish Museum organizza due incontri: il 12 febbraio una conversazione tra Deborah Willis e Michaela Angela Davis; il 3 marzo la proiezione del documentario Advanced Style che racconta come sette newyorchesi affrontino, con stile, l'avanzare degli anni.
Traduzione dall'italiano di Maurita Cardone.