La piazza costituisce da sempre e ovunque il nucleo della civiltà urbana. In Italia, insegna Luigi Piccinato, uno dei padri della nostra urbanistica, la piazza è “un episodio estetico e prospettico, quasi uno scenario o una sala di ricevimento della città”. Le piazze italiane nate nel Rinascimento hanno un chiaro connotato geometrico, come se le forme fossero state sovrapposte al tessuto urbano determinando precise aree e individuando così quei salotti urbani per incontri casuali. Tale concetto non ha mai trovato una traduzione altrettanto formale sulla sponda opposta dell’oceano. In effetti, la piazza è un concetto poco americano. A New York, in particolare, si riduce a essere un’idea di proiezione dello spazio su una griglia geometrica; fra gli assi perpendicolari e paralleli, il risultato non è altro che una serie di incroci, non piazze. Ma osservando meglio la mappa di Manhattan, notiamo un’eccezione: la Lincoln Center Plaza.
Delimitata dalla west 62nd e west 66th Street e le Columbus e Amsterdam Avenues, quella del Lincoln Center for the Performing Arts è una piazza realizzata tra il 1962 e il 1968 che deve il suo nome alla piccola area di intersezione tra Broadway e Columbus Avenue, definita dai newyorkchesi “piazza”, e chiamata proprio Lincoln Square. Da Columbus Avenue, osserviamo la piazza dal suo lato più suggestivo: rialzata su di un basamento, appare come un’isola di edifici monumentali, rigorosamente in travertino. Vi si accede da una breve scalinata che sembra pensata per accentuare un distacco temporale: questi pochi gradini fungono da varco per il visitatore che, dal quotidiano caos cittadino, si ritrova in una sorta di cittadella isolata, dalle caratteristiche rinascimentali. Uno spazio sensibilmente diverso che potrebbe definirsi anomalo per questa città.

Il Campidoglio a Roma
Il Lincoln Center è una sorta di santuario delle arti, un testamento della capacità dell’uomo di immaginare e rappresentare un mondo ideale per la bellezza e l’armonia. Con la creazione di questo luogo con il suo atrio esterno graziosamente proporzionato, la natura dell’intero quartiere subì, infatti, forti cambiamenti grazie ai quali un’ampia area della città si è conseguentemente rivitalizzata. Il progetto per la sua realizzazione passò attraverso diverse fasi. Una delle prime proposte vedeva il complesso sorgere attorno ad una piazza circolare ispirata a quella del Bernini per San Pietro, ma dopo numerose modifiche si arrivò alla sua configurazione definitiva e attuale, chiaramente ispirata a un altro capolavoro: la piazza del Campidoglio a Roma di Michelangelo. Il motivo di queste citazioni provenienti da Roma lo ritroviamo nella storia di Wallace K. Harrison, redattore del Master Plan e progettista di uno dei tre edifici, la Metropolitan Opera House.
Harrison, giovane architetto e consulente privato della famiglia Rockefeller, aveva già lavorato per noti edifici della città. Partecipa giovanissimo alla progettazione del Rockfeller Center, realizza il terminal dell’aeroporto La Guardia, lavora per il riassetto di Battery Park e infine sarà scelto per guidare la squadra di architetti internazionali che disegnerà la nuova sede delle Nazioni Unite, il “palazzo di vetro”, per il quale selezionerà, fra vari progetti, gli schemi di Le Corbusier e Nimeyer. Wallace Harrison si forma a l’École des Beaux-Arts di Parigi e nel 1922 ottiene la Rotch Taveling Scholarship, una notevole opportunità per compiere una sorta di Grand Tour attraverso l’intera Europa, coronando il suo forte desiderio di vivere per un periodo a Roma, dove ammira le rovine del passato e le formidabili opere di Michelangelo. Fu proprio questa visita a lasciare nel giovane una suggestione indelebile.

Uno dei primi schemi della piazza del Lincoln Center
Tornato in America, iniziò una brillante carriera cullando, per lunghi anni, il sogno di essere il primo a progettare un moderno teatro per l’opera di New York. Finalmente nel 1955 Robert Moses lo incaricò per la realizzazione della nuova Metropolitan Opera House: l’architetto accettò con entusiasmo. Harrison, forte della sua esperienza romana, propone per il Lincoln Center un master plan che, come il Campidoglio a Roma, funge da grande palcoscenico urbano. Il risultato, seppur dopo una lunga e complicata gestazione, fu uno straordinario evento architettonico per la città, una sorta di comunione tra lo spirito del Campidoglio e quello dell’Eur, a pochi passi da Central Park.

Alcune delle figure di rilievo nella costruzione del Lincoln Center. Da sinistra a a destra: Edward Mathews (SOM), Philip Johnson, Joseph Mielziner, Wallace Harrison, John D. Rockfeller III, Eero Saarinen, Gordon Bunshaft, Max Abramovitz, Pietro Belluschi
Contribuiscono al successo dell’opera altri grandi architetti, ognuno dei quali firmerà un edificio, Max Abramovitz disegna l’Avery Fisher Hall, Pietro Belluschi la Julliard School, recentemente ampliata da Diller and Scofidio con FxFowle Architects, Eero Saarinen con il Vivian Beaumont Theatre e Philip Johnson, uno dei pionieri dell’architettura moderna oltreoceano, con il progetto del New York State Theatre, opera cardine dell’intero complesso e di ispirazione anche questa romana. Jhonson, amava gli edifici dell’E42 e per il New York State Theatre ha chiaramente monumentalizzato il dettaglio costruttivo rapito in terra italica, cosi proprio con lui, il Campidoglio incontra l’Eur sulle strade dell’Upper West Side.
Nonostante la forte e indiscutibile influenza romana, il Lincoln Center for the Performing Arts è uno dei simboli dell’architettura americana degli anni Sessanta e al suo progetto parteciparono proprio alcuni dei “padri fondatori” del movimento moderno. Tuttavia è interessante riscoprire ancora una volta quanto il progresso e la modernità siano legati alla storia e, proprio attraverso la rielaborazione dei modelli del passato, continuiamo oggi a sviluppare soluzioni decisive per la città contemporanea.