In passato ho parlato di cose, amici e storie che si sono dischiusi davanti a me durante il mio soggiorno qui a Roma. Le impressioni e i segni della mia anima e della mia psiche saranno per sempre alterati, come se il mio DNA fosse stato esposto ad una calda e sana forma di radiazione. O come se avessi ingerito una mistura o una pozione della più pura concentrazione, che mi ha lasciato la mente permanentemente illuminata da una foschia culturale. Non importa quale direzione la mia vita prenderà, luogo, vocazione o condizione sociale, la mia mentalità e le mie prospettive sono irrevocabilmente cambiate.
Ma questa "influenza" è una strada a due sensi? Si può cambiare la corrente del Mar Ionio semplicemente facendo una nuotata nelle sue tiepide acque di Luglio? La sabbia e la fauna marina devono adattarsi e accettare la mia presenza? Mi piacerebbe pensare che anche io abbia lasciato un segno duraturo nelle persone che ho incontrato durante la mia esistenza romana. Che i miei piedi abbiano lasciato un'impronta su quelle strade che a milioni prima di me hanno percorso; mi piace immaginare che anche loro abbiano camminato lungo il tragitto che va giù da Via della Scrofa vis-à-vis con Via di Ripetta verso gli antichi bar, dietro il ronzio indaffarato di Piazza Navona, oltre i frequentatissimi Caffè della Pace e Bar del Fico, per sedersi con un bicchiere di vino e i propri pensieri.
Mi piace pensare che in qualche modo il Pantheon abbia apprezzato la mia compagnia più di chiunque altro, con le mie sedute quasi settimanali sugli scalini della fontana proprio di fronte all'edificio, quando cercavo di comprendere tutte le storie di cui sarà stato testimone, le persone che ha visto, la storia che si è dispiegata davanti ai pilastri che ne fortificano l'entrata. Questi rituali saranno ripetuti da milioni di altri visitatori e di romani, finché quelle eloquenti colonne restreranno in piedi.
I segni che ho lasciato si sentiranno davvero, anche se brevemente, ma ecco che arriva un'altra ondata, un altro giorno.
Mi piace pensare che nessuno abbia osservato alcuni dei tesori artistici più famosi di Roma nel modo in cui l'ho fatto io, le emozioni che mi hanno riportato alla mente, i ricordi che hanno riesumato nella mia testa… Mi piace credere che io sia stato il primo ad assistere all'esplosione di Roma come mecca, tra le più importanti al mondo, della "other-contemporary" e della street art; a vedere i "Lupi" di ROA prendere vita su Via Alessandro Volta a Ostiense, o alla trasformazione della fermata della metro di piazza di Spagna in una vibrante galleria d'arte quando la città era ancora assopita, mentre la notte scivolava nel giorno.
Per quanto temporanei alcuni di questi murales possano essere, resta il fatto che io ero lì a guardarli creare, venire alla vita per essere ammirati, prima che vengano coperti da un palazzo con una nuova facciata o che una passata di pittura li cancelli dalla faccia della terra.
Ogni giorno mi svegliavo, forse ancora sognando, ricordando quello che avevo fatto il giorno prima e mi chiedevo: "L'ho visto davvero?". Il tempo passa. Saranno sciacquate via e spariranno nelle maree della vita tutte queste emozionanti esperienze e influenze? Che gli effetti di questa forma di vita primordiale dovessero impallidire e disperdersi… ho paura di questa scomparsa. La rifuggo riportando spesso alla mente tutto quello che ho visto; come un esercizio per combattere e tenere alla larga questo "Alzheimer culturale". Ho paura che il ronzio si affievolisca, che questo punto di vista così profondo goccioli fuori dalla mia mente, attraverso il mio corpo passando per il sudore della pelle in questa estate che non vuole finire e pubblicizza il suo esodo con i raggi del sole. Mi prende il panico quando penso che Roma, con i suoi spigoli vivi, si sciupi nei monotoni cicli dell'ordinaria vita quotidiana. Ma ecco che nel mezzo di questa sconfortante incertezza, c'è una consapevolezza che mi ricorda che nella mia vita c'è qualcuno di nuovo a cui raccontare le mie storie. Qualcuno che ne può beneficiare e salire sulle spalle di tutto quello di cui sono stato testimone, per creare una nuova prospettiva, un nuovo sogno. Un piccola speranza che questa ebrezza non scompaia, che io possa rimanere sotto questa influenza ancora per un po'.
Anche se sembra ancora piena estate, il mio tempo qui a Roma deve scivolare in uno stato di ibernazione invernale.
Come il clima durante tutto l'anno, la città eterna deve entrare in questo ciclico incantesimo stagionale nel contesto della mia vita, almeno per ora.
Che sia un riferimento alla morte che coincide con l'inverno o una rinascita primaverile, è ancora tutto da vedere. È forse il calore del sole che accompagna l'estate a poter descrivere con precisione la mia permanenza in questa città. È stato breve, ma resterà bello per sempre. E ora dico addio a Roma, con la promessa che non la dimenticherò mai.