L’esposizione Klimt. Alle origini di un mito, in corso fra il 12 marzo e il 13 luglio 2014, al Palazzo Reale di Milano, realizzata in collaborazione con il Museo Belvedere di Vienna e curata da Alfred Weidinger, vicedirettore del Belvedere, con la collaborazione per l’Italia della studiosa klimtiana Eva di Stefano, presenta al pubblico – insieme a vari altri documenti pittorici, fotografici e letterari – venti oli del grande maestro viennese. In mostra anche la riproduzione dell’originale del Fregio di Beethoven – esposto nel 1902 a Vienna all’interno del Palazzo della Secessione costruito nel 1897 – che occupa un’intera sala “immergendo” il visitatore nell’opera d’arte totale, massima aspirazione degli artisti della Secessione, sulle note della Nona Sinfonia di Beethoven. Tutto il percorso espositivo si avvale di un allestimento che integra tematiche e opere nel contesto di arte totale proprio del movimento.

Gustav Klimt “Ver Sacrum” marzo 1898 Vienna, Belvedere © Belvedere, Vienna
Particolare attenzione viene dedicata, in questa mostra, all’opera giovanile di Klimt, alla sua formazione, al contesto familiare ed all’apprendistato dei fratelli Klimt (Ernst, Georg e Gustav) alla Scuola d’Arte Viennese, nell’ambito della quale fondarono la cosiddetta Künstler-Compagnie (Compagnia degli Artisti) cui viene riservato ampio spazio grazie, soprattutto, a bozzetti di grandi dipinti decorativi per teatri e musei che rendono testimonianza, anche, degli esordi di Gustav come decoratore dei monumentali edifici di rappresentanza lungo il Ring, sulla scia di Hans Makart. La mostra di Milano sembra così inserirsi in una più generale tendenza espositiva che circola in Italia, come in Europa, e che pare voglia programmaticamente mostrare il valore intrinsecamente decorativo ed estetico dell’opera, quale manufatto artistico in quanto nucleo vivificante di espressione sensoriale. La crisi klimtiana dopo lo scioglimento della Künstler-Compagnie è contestualizzata nella crisi dell’arte viennese stessa, che sfocerà nella fondazione della Secessione. Qui una scelta di opere della prima fase della Secessione diventa dunque testimonianza del rifiuto definitivo della tradizione storicistica e del successivo passaggio a quel che fu un ideale d’arte moderna, in senso inverso e, chiaramente antistoricistico.

Gustav Klimt “Girasole” 1907 Olio e pittura d’oro su tela, cm 110 x 110 Vienna, Belvedere (legato Peter Parzer, Vienna) © Belvedere, Vienna
Ideale d’arte moderna sorto, invero, sulla base di un solido richiamo classico-umanistico al passato con riferimento alla secessio antico-romana, al VER SACRUM, e tale per cui il concetto stesso di modernità non indica affatto un’epoca storica precisa bensì, la consapevolezza di una generazione che inventa un modo personale, adeguato al suo tempo, di riscoprire l’essenza eterna dell’arte. Sul primo numero di Ver Sacrum, uscito nel gennaio 1898, Hermann Bahr scriveva: “Da noi non si lotta per o contro la tradizione: di tradizione noi non ne abbiamo…Oggetti della contesa non sono un’arte vecchia…e un’arte nuova…qui si lotta per l’arte in sé…per il diritto di creare l’opera d’arte”. Il motto che aveva inaugurato la Secessione Viennese era stato: “A ogni epoca la sua arte. All’arte la libertà”; cosicché l’arte di ogni tempo è moderna solo quando può affermare se stessa in piena libertà e la modernità, invece di configurarsi in contrasto, od altrimenti in continuità, coi tempi che l’anno preceduta, se ne trae semplicemente al di fuori per lasciar accesso così all’avvento della Sacra Primavera o al ritorno dell’arte, forza creativa primigenia che ringiovanisce la vita del mondo.

Gustav Klimt “Salomè” 1909 Olio su tela, cm 178 x 46 Venezia, Ca’ Pesaro Galleria Internazionale d’Arte Moderna ©2014 Foto Scala, Firenze

Gustav Klimt “Adamo ed Eva” (incompiuto) 1917‐18 Olio su tela, cm 173 x 60 Vienna, Belvedere © Belvedere, Vienna
Un tratto che ha caratterizzato il Modernismo Secessionista sta proprio nell’avere accolto, sostenuto, riproposto e diffuso, fra le altre cose, per esempio, l’orizzonte estetico-sociale del programma utopistico di William Morris, e delle sue Arts and Crafts, ove si delinea una comunità redenta dalla bellezza dell’impegno artistico concepito ora nel suo principio materiale, nella sensuale manualità di tutte le arti, senza distinzione fra le tecniche, in quanto tutte, anche le più artigianali, cooperano al progresso e al miglioramento della vita umana. Nel suo discorso inaugurale della rassegna d’arte di Vienna (Kunstschau) del 1908, a un certo punto Gustav Klimt pronunciò le seguenti parole, richiamandosi a quelle di William Morris: “…ciò che ci unisce è soltanto la convinzione che non c’è campo della vita umana che sia insignificante o troppo angusto per non offrire spazio all’impegno artistico, che perfino l’oggetto più modesto – per usare le parole di Morris – se viene eseguito con perfezione, può moltiplicare la bellezza di questa terra e che il progresso della cultura si fonda solo sulla progressiva compenetrazione tra vita, nella sua globalità, e propositi artistici”. Ma la modernità per Klimt, come per Morris, è la “Terra promessa” unicamente a coloro che voltano le spalle al futuro, che si rifiutano di vedere e rifiutano le “magnifiche sorti e progressive” dell’umanità, della storia, della grande industria, delle masse e delle macchine. “L’odio che aveva Morris per le macchine – ebbe a dire di lui Kropotkin – non altro prova, che l’incapacità del suo grande genio poetico ad afferrare il concetto della potenza e della grazia della macchina”.

Gustav Klimt “Acqua in movimento” 1898 Olio su tela, cm 52 x 65 Collezione privata (courtesy Galerie St. Etienne, New York) © Galerie St. Etienne, New York
Basterà appena un anno dopo l’inaugurazione della Kunstschau Wien, perché un altro “grande genio poetico” sarà capace di afferrare quel concetto che il genio di Morris non era stato capace di afferrare; Filippo Tommaso Marinetti. La modernolatria futurista indica nel futuro la terra promessa della modernità come infuturarsi continuo del presente e, d’ora in poi, l’arte assume il ruolo di essere avanguardia del mondo futuro, al contrario di ciò che avviene secondo certe poetiche “passatiste”, alla maniera di Morris o di Klimt, dove è annunciato un mondo verso il quale ci si era in origine incamminati come verso una “terra promessa” da sempre.

Gustav Klimt “Dopo la pioggia” 1898 Olio su tela, cm 80 x 40 Vienna, Belvedere © Belvedere, Vienna
Si radicalizza il concetto moderno dell’arte inteso ad eliminare la tradizione antica o “premoderna” della techne ovvero, dell’eccellenza tecnico-manuale che produce il capo-lavoro, per sostituirla con l’impianto d’una dimensione estetica del linguaggio, nella sua funzione espressiva, distinta dalle altre funzioni linguistiche solo per un maggiore grado di creatività. Insomma, il compito dell’arte non è più tanto quello di creare capolavori (manufatti eccellenti) quanto di essere creativa, in altre parole, capace di inesauribile immaginazione anticipatrice del Nuovo. L’arte diventa linguaggio e il linguaggio dell’arte tende sempre più ad assumere il carattere specifico della linguisticità come esperienza mentale produttrice di segni, invece che di forme, di significazioni che devono fornire un senso sempre nuovo alle cose. La semiosi ha finito per fagocitare l’opera d’arte fino ad averla resa una specie di “cosa” autosignificante.
La mostra di Milano su Klimt ci conferma, invece, un’altra idea dell’arte, non riducibile affatto ad elemento segnico e/o concettuale ma, ancora una volta, e sempre techne risolta nella materialità dell’operare o, dell’operare con la materia, da cui promana l’immateriale splendore dell’opera d’arte.
La mostra Klimt. Alle origini di un mito al Palazzo Reale di Milano, è documentata sulle pagine del 20° cahier di Tracce Cahiers d’Art, a cura di Marianna Montaruli e Beniamino Vizzini.
*Beniamino Vizzini nasce a Palermo nello stesso anno in cui escono Minima Moralia di Th.W. Adorno in Germania e L’uomo in rivolta di Albert Camus in Francia. Attualmente vive in Puglia. Fondatore con Marianna Montaruli e direttore della rivista Tracce Cahiers d’Art, curatore editoriale dal 2003 delle Edizioni d’arte Félix Fénéon. Cultore dell’autonomia dell’arte, concepisce l’esercizio della critica secondo le parole di O. Wilde come “il registro di un’anima”, decidendo di convertire questa sua passione in impegno attivo soprattutto sul versante pubblicistico-editoriale della comunicazione intorno all’arte ed alla storia dell'arte. edizionidartefelixfeneon.blogspot.it