We are the primitives of a new era, paintings and projections 1961-1989, questo il titolo e il tema conduttore della mostra dell’artista italo-americano Aldo Tambellini allestita presso la James Cohan Gallery di Chelsea dal curatore Joseph Ketner. L’esposizione, inaugurata giovedì 12 settembre, resterà visibile fino al 19 ottobre.
Si tratta della prima esposizione di Tambellini in una galleria di New York in quasi quarant’anni, e vuole riassumere la filosofia della ricerca dello spazio che ha ispirato per decadi le opere dell’artista. Infatti è stata proprio la curiosità nei confronti dello spazio e la volontà di captare e catturare l’energia che emana, che ha mosso l’artista a produrre opere assolutamente pionieristiche per i tempi.

Aldo Tambellini
Aldo Tambellini è nato negli anni trenta a Syracuse, nello stato di New York, ma è cresciuto a Lucca, in Italia, dove ha vissuto anche i tremendi anni della guerra, che lo hanno portato alla convinzione che “la terra andrà a morire”. Probabilmente questo presentimento della fine, unito alla sua geniale curiosità hanno portato Tambellini ad essere nei primi anni sessanta uno dei primi artisti ad esplorare le nuove tecnologie come mezzo di espressione artistica.
Sperimentando nuove tecniche e combinando sapientemente pittura, fotografia, filmati, musica e poesia, l’artista realizza le sue performance multimediali, riuscendo a trasmettere un’esperienza sensoriale chiamata Elettromedia, che ha ispirato anche artisti del calibro di Andy Warhol e Steina Vasulka.
La pratica artistica di Tambellini è basata sul nero e sul suo opposto, il bianco, e alternando questi due non-colori crea dei cerchi e delle spirali concentriche che vogliono essere una metafisica manifestazione di energia. “Black is the beginning. It is birth, the oneness of all, the expression of consciousness in all directions”. Sono alcuni dei versi dell’artista, proiettati nel corso della mostra, che rendono alla perfezione l’importanza del nero in tutta la sua opera.
Per rendere onore al lavoro di questo pioniere dell’intermedialità, alla galleria James Cohan è stato allestito un percorso di quattro ambienti, nel primo dei quali si possono ammirare gli scatti realizzati da Tambellini nel tentativo di catturare l’energia trasmessa dalla televisione. Nella seconda stanza troviamo l’installazione Black Space, un vero e proprio spettacolo multimediale di filmati, suoni e proiezioni dei versi delle poesie scritte dall’artista, che abbracciano l’ambiente, occupando interamente le pareti e anche una zona del pavimento. Entrando in questa stanza ci si ritrova coinvolti in un’esperienza sensoriale che trasmette la sensazione di essere immersi nel cosmo, navigando come un astronauta tra buio e pianeti. Le immagini sono state realizzate creando una sorta di spirali sul vetro della pellicola, ma a vederle sembrano fotografie dello spazio. Nella terza stanza sono esposti i dipinti che raffigurano cerchi e spirali dove il nero e il bianco si alternano sapientemente, fornendo una rappresentazione convincente dello spazio e dei buchi neri che si trovano in esso. È incredibile come l'artista sia riuscito a raffigurare in modo così realistico una realtà di cui al tempo si sapeva così poco. Oggi siamo così abituali alle fotografie che ci riportano i satelliti, che non ci sembra strano trovare immagini realistiche dello spazio, ma Tambellini ha realizzato questi lavori negli anni Sessanta, quando in pochi avevano un’idea esatta di cosa ci fosse nel cielo. Lui ha immaginato lo spazio nero e spirali che riproducono orbite ellitiche, rappresentando cose ai tempi per nulla scontate e trasmettendo l’energia che si sprigiona da quei cerchi concentrici. Il percorso si conclude con una zona video dove è possibile vedere e ascoltare le primissime sperimentazioni dell'artista con la videocamera.
Oggi, a 83 anni, il pioniere multimediale tosco-americano si dedica principalmente alla poesia, e di cose da dire ne ha ancora tante.