Se fosse vissuto oggi, Guido Alberto Fano sarebbe stato un innovatore? Oppure un tradizionalista? Una figura fuori dagli schemi, difficile da collocare in una corrente precisa. “Troppo moderno per i conservatori, troppo tonale per gli sperimentatori radicali”, osserva Chantal Balestri, direttrice artistica del Lunigiana International Music Festival, che il 7 febbraio presenterà a New York, negli spazi della Casa Italiana Zerilli Marimò della New York University, il primo concerto interamente dedicato alle sue opere.
Un tributo necessario per riportare alla luce un compositore che avrebbe potuto essere un protagonista del Novecento musicale. Nato nel 1875, Fano mostrò il suo talento sin da bambino: a nove anni studiava già musica sotto la guida di Vittorio Orefice. La sua carriera sembrava destinata a una crescita inarrestabile: premi, elogi della critica, direttori come Toscanini e Tullio Serafin che credevano nel suo lavoro. Eppure, qualcosa non andò come previsto.
“Se fosse vissuto oggi, probabilmente la sua musica sarebbe considerata più attuale”, riflette Balestri. “Pensiamo a Puccini: all’epoca non veniva considerato un innovatore, eppure il suo stile ha lasciato un segno indelebile. Fano aveva una voce personale, ma non si allineava alle correnti dominanti del suo tempo”.
L’evento newyorkese non è solo un concerto, ma un ponte tra passato e presente. “Vogliamo dare spazio ai giovani talenti di tutto il mondo e promuovere la musica italiana”, spiega Balestri. “Il nostro festival accoglie studenti da ogni parte del globo: farli esibire, creare connessioni artistiche, valorizzare un repertorio poco esplorato. Il concerto è la sintesi di tutto questo: il mio legame con New York, la passione per la formazione e la volontà di dare nuova vita alla musica italiana”.
A raccontare la figura di Fano sarà suo nipote, Vitale Fano. “Non vogliamo solo eseguire i suoi pezzi, ma inserirli in un contesto, intrecciare la musica con la sua storia personale. Alcune composizioni hanno dietro di sé vicende affascinanti, e le racconteremo nel corso della serata”. In programma, brani per pianoforte solo, duetti con violino e pezzi per voce e pianoforte, per restituire la complessità di una scrittura che sfugge a ogni classificazione.
Ma per Vitale Fano, questa serata ha anche un significato più profondo. “Portare questo concerto a New York, nel Giorno della Memoria, non è solo una celebrazione musicale, ma un atto di testimonianza”, spiega. “Mio nonno fu licenziato dal Conservatorio di Milano a causa delle leggi razziali. Quando la situazione divenne insostenibile, lui e la sua famiglia dovettero lasciare la città, rifugiandosi prima a Fossombrone, poi ad Assisi. Evitarono la deportazione per un soffio. La sua è la storia di molti ebrei italiani perseguitati in quegli anni”.
C’è poi un altro aspetto della vicenda di Fano che merita di essere raccontato: il rapporto mancato con l’America. “Abbiamo trovato documenti che attestano almeno tre occasioni in cui sembrava potersi aprire una carriera negli Stati Uniti”, racconta Vitale. “Ma non si concretizzò mai. L’America era per lui un’idea, un sogno che sembrava sempre vicino, ma che restava irraggiungibile. È interessante osservare come molti musicisti dell’epoca guardassero agli Stati Uniti come a una terra di possibilità. In un caso, addirittura, firmò un contratto che avrebbe potuto cambiargli la vita, ma alla fine non se ne fece nulla”.
Quella di Fano è la storia di un uomo che ha vissuto la musica come una missione, senza mai arrendersi. “Il suo percorso è un’opportunità per riflettere sulla musica, sulle direzioni che può prendere e sui talenti che spesso vengono valorizzati troppo tardi”, conclude Balestri. “Forse, oggi, è finalmente arrivato il momento di offrirgli lo spazio che merita”.