Building My Casa, messo in scena dal 23 gennaio al 2 febbraio 2025 a La MAMA, racconta la storia di tre immigrati latinoamericani a New York, interpretati da Braulio Basilio, Ursula Tinoco, Gilberto Gabriel e Daniel Diaza, alle prese con la precarietà di un’esistenza sospesa tra la ricerca di stabilità e identità.
Il contesto socio-politico degli ultimi anni ha reso il percorso migratorio sempre più complesso, alimentando un clima di incertezza e paura per milioni di persone che, come i protagonisti del nostro spettacolo, si trovano a vivere in un limbo, combattendo per un diritto di cittadinanza che spesso appare negato. Un piccolo appartamento diventa il microcosmo delle loro vite. Un luogo di passaggio, una casa temporanea in cui la scoperta di una lettera lasciata da un ex inquilino, Antonio, si trasforma in una riflessione profonda su chi sono, da dove vengono e dove stanno andando. Building My Casa, il titolo stesso, diventa metafora di una ricerca profonda di radici, di sicurezza e di significato. In una città come New York, che abbraccia persone da ogni angolo del mondo ma che spesso, nel suo dinamismo e nella sua frenesia, sembra non lasciare spazio alla connessione autentica, costruire una casa non è solo un atto materiale.

L’improvvisazione è al centro del lavoro di Federica Borlenghi, regista milanese di base a Brooklyn, che ha collaborato con la compagnia Teatro 220 per esplorare le dinamiche della creazione istantanea. Un’esperienza che ha ridefinito il suo processo artistico, portandola a integrare il rischio e l’imprevedibilità nella costruzione dello spettacolo. “Quando mi hanno chiamata per dirigere uno dei loro copioni teatrali, ho visto subito l’opportunità di esplorare come l’improvvisazione, che è parte fondamentale del loro lavoro, potesse restituire l’emotività e l’autenticità di questi temi. La difficoltà di vivere in una città come New York, l’alienazione che si prova nonostante l’incontro con tante culture, è qualcosa con cui mi sono sentita molto vicina”, racconta Borlenghi.
La sua regia gioca con ritmo e atmosfere per trasmettere il senso di attesa e vulnerabilità. Gli immigrati, pur avendo creato nuove vite in terre straniere, si trovano spesso a fare i conti con una solitudine profonda, quella di non appartenere mai completamente a un posto, neanche dopo anni di sacrifici e costruzione di una nuova identità.
Il cuore dello spettacolo sta proprio qui: nell’umanità dei suoi protagonisti. Nei loro gesti quotidiani, nelle conversazioni spezzate da accenti diversi, nelle notti insonni passate a pensare a chi si è lasciato indietro e a chi potrebbe arrivare. E poi c’è il gatto. Presenza discreta e silenziosa, simbolo di un conforto inaspettato in un universo di insicurezze. Un dettaglio apparentemente marginale che invece si fa fulcro narrativo, una piccola costante in un’esistenza frammentata.
Con uno stile asciutto e diretto, lo spettacolo si snoda tra momenti di silenzio carichi di significato e dialoghi dal realismo crudo, senza mai indulgere nella retorica o nel sentimentalismo. Con Building My Casa racconta con onestà ciò che spesso viene ridotto a numeri o slogan politici. Diventa il ritratto di una condizione diffusa, di un’umanità sospesa tra sogni e restrizioni, tra il desiderio di una casa e la realtà di un mondo che spesso non lascia spazio per costruirne una.