Ennio Cavalli non ha mai smesso di essere anche, o forse soprattutto, poeta e narratore, con riconoscimenti piuttosto significativi, come il Campiello e il Viareggio. Con Ci dice tutto il nostro inviato opera una sintesi tra i suoi due mestieri di giornalista Rai e scrittore, raccontando ai lettori una vita fatta di incontri importanti (Brodskij, Evtušenko, El’cin, Burgess, Fellini, Tarkovskij, Levi Montalcini, Obama, etc etc.) e avvenimenti tragici come gli anni del terrorismo europeo e le guerre.
Il libro, uscito da Rubbettino, si fa leggere, anche per le considerazioni utili a chi non ha alle spalle le esperienze dell’autore.
Così quando riporta le riflessioni del poeta polacco Adam Zagajewski sull’Europa riunita, dopo la violenta parentesi della sottomissione di una sua parte all’Unione Sovietica: “Viviamo in un mondo più democratico, più ricco, più libero, magari anche più giusto, senz’altro migliore. Ma abbiamo perso alcune energie forti, decisive, come ad esempio lo spirito religioso. Non sono un poeta cattolico, né un conservatore legato a miti del passato, però sento la mancanza di solide risorse spirituali”. Zagajewski insiste: “C’è un altro aspetto che la caduta del comunismo non ha migliorato né di qua, ne di là dall’ex Muro… Anzi! […] La mancanza di generosità. L’egoismo e la corruzione creano mediocrità. C’era un’utopia disposta a illuderci. Non ha funzionato. La mancanza di orizzonti, nonostante la libertà o la riconquistata liberà, rende tutti più mediocri”. Il poeta, nato a Leopoli nel 1945, città oggi sotto il mirino dei missili russi, è venuto a mancare prima dell’ultima invasione putiniana dell’Ucraina e delle minacce nucleari rivolte alla Polonia: chissà se in parte modificherebbe, oggi, quel giudizio.
Su Putin, sulle sue folli guerre, sulla sua stupida crudeltà, Cavalli ha scritto molto. Sulla drammaticità e pericolosità della storia russa dice cose da leggere attentamente. Racconta la “fronda con dosi di humour” della guida Valerij che risponde alla domanda su come i russi pronunciassero il nome dell’allora dissidente Solgenitsin: “Non si pronuncia affatto. Lenin scrisse Che fare? Noi ce lo chiediamo ancora”.
Saltando all’altra grande crisi internazionale oggi in corso, alcune pennellate dell’autore sul Medio Oriente musulmano e la sua difficoltà a risolvere i grandi contrasti interni insieme all’animosità verso l’esterno.
Cavalli porta il lettore nell’Egitto di Mubarak, alla vigilia dell’apertura della rinata Bibliotheca Alexandrina. Nella commissione che autorizzerà gli otto milioni di titoli che vi saranno contenuti, sono chiamati anche uomini dell’osservanza islamica, pronti ad escludere “le opere di Salman Rushdie e tutto quanto resta in odore di eresia”. Ricorda: “Il ministro della cultura, Farouk Hosny, ha osato proclamare “belli come i fiori” i capelli delle donne, attirando le ire dei fanatici del velo”. Cita la conversazione con Franco Monaco, un connazionale che ad Alessandria produceva e vendeva insaccati da maiale per la comunità copta. “Ogni giorno i ragazzini arabi riempiono di sputi la vetrina, in segno di disprezzo per il divieto alimentare musulmano infranto. “Una volta non era così” scuote la testa l’imprenditore, che ha già spedito i figli in Italia”.
Cavalli scrive che il 7 ottobre 2023, alla notizia delle efferate azioni di Hamas in Israele, gli tornarono in mente quei ragazzini. Come fanno tutti i buoni del mondo, prova a riavvolgere la pellicola grondante sangue sostituendo scena a scena. Fa scendere quei ragazzi gazawi dai pick-up, moto e parapendio dai quali hanno partorito orrore e strage e li fa andare al rave party dei connazionali israeliani, fraternizzando ballando bevendo e amoreggiando con loro. E chiude: “Mi domando se non sia giunto finalmente il momento di dare ai palestinesi una loro terra, la Cisgiordania o quel che ne resta, senza altre invasioni e spossessamenti. Le sofferenze di entrambe le parti sono un carico insopportabile per l’intera umanità”.
Quella parola, “umanità”, può essere indicata come la cifra attraverso la quale leggere l’intero libro di Cavalli, ed è stata probabilmente anche l’ispirazione della sua attività di inviato. Quello spirito di umanità del quale sentiamo l’assenza sino a morirne d’asfissia, Iosif Brodskij l’evocò nel banquet speech del suo Nobel, da uomo che arrivava da un mondo isolato e nemico, presente Cavalli che cita le parole nel libro: “… noi, cioè voi ed io, respiravamo la stessa aria, mangiavamo lo stesso pesce, eravamo inzuppati della stessa pioggia … A seconda del vento, le nuvole che vedevo passare davanti alla mia finestra erano già state viste da voi, o viceversa. Mi piace pensare che noi, cioè voi e io, abbiamo [sempre] avuto qualcosa in comune…”.