Martin Scorsese lo introduce, gli dice che deve essere orgoglioso di questo film, con queste meravigliose interpretazioni, uno straordinario uso del bianco e nero con suggerimenti di colore, scene di boxe fantastiche ed uno dei finali di film più belli che ha visto da tempo.
Jack Huston è emozionato e replica solo: sono parole che vengono da uno dei registi più grandi del cinema. Lui al confronto è solo un giovane debuttante, ma con una grande eredità sulle spalle perché il bisnonno Walter, il nonno John, e la zia Anjelica, sono leggendari attori e registi vincitori di Oscar. Day of the fight, presentato in anteprima a New York, è stato scritto, prodotto e diretto da Jack Huston. Presentato lo scorso anno al Festival di Venezia con successo uscirà solo in dicembre, più di un anno dopo, distribuito da Falling Forward Films.

“Il film è stato accolto molto bene a Venezia un anno fa – dice – ma c’era lo sciopero degli attori e sceneggiatori, e tutto veniva procrastinato e poi questo è un film indipendente, in bianco e nero, con un protagonista, Michael Pitt, che non è famoso come Brad Pitt, quindi non è stato facile arrivare fin qui. Il film si intitola Day of the fight ma per me è stato Fight of the day: ogni giorno dalle 6 di mattina sono stato al telefono per organizzare la distribuzione, la pubblicità e tutto il resto. È stato difficile per me che sono in questo ambiente come attore da 20 anni immagino come possa essere per un giovane regista che esce dalla scuola di cinema riuscire a fare il suo primo film.”
Ispirato al breve documentario Day of the Fight di Stanley Kubrick del 1951, il film segue una giornata nella vita dell’ex campione di peso medio Mickey (Michael Pitt), che torna sul ring per la prima volta dopo dieci anni, un incidente mortale, la prigione. Mickey sa che tornare a combattere per lui comporta un grosso rischio e decide di saldare i conti: va a trovare il padre violento ormai confinato in un ospizio, la compagna che lo ha lasciato e saluta la figlia da lontano. Intanto ricorda: l’adorata madre suicida, gli anni di prigione, l’aneurisma che lo ha costretto a stare lontano dalla boxe. Così mentre Kubrick raccontava la giornata di un pugile, Walter Cartier, alla vigilia di un combattimento, Huston racconta quella di un uomo che combatte. La boxe non è più centrale, quello che conta è il percorso psicologico di un uomo deciso a redimersi e dare un nuovo significato alla sua vita.
“Quando ho visto Day of the Fight di Kubrick ho pensato: e se questa non fosse una giornata qualsiasi, ma “la” giornata più importante nella vita di un boxer? Non il combattimento, ma tutto quello che succede prima.. e se questo fosse il suo ultimo giorno di vita? Mentre giravo Boardwalk Empire (la serie tv in cui recitava con Michael Pitt, ndr) ho visto Michael che prendeva a pugni una sacca da boxing e ho pensato che sembrava veramente un pugile. Con la grinta del combattente, forte e allo stesso tempo vulnerabile, come un bambino. Non e’ facile trovare questa qualità in una persona. Così quando ho scritto il mio copione avevo lui in mente. Avevo un’idea chiarissima di come avrei voluto fosse il film e quando ho finito ho sentito che non avrei voluto affidarlo a nessun altro, perché vedevo già ogni ripresa, ogni luogo, ogni movimento della cinepresa. I ricordi per esempio, sapevo come li volevo, non flashback, ma frammenti, senza un inizio ne’ una fine, che svanivano ancora prima che ti rendessi conto di cosa fossero. Dovevo farlo io, altrimenti qualcun altro non lo avrebbe fatto nel modo giusto!”
Ma non è stato facile. Huston ha faticato a trovare i finanziamenti nonostante avesse previsto un budget minimo, solo quando Joe Pesci ha accettato di interpretare il ruolo del padre, e Steve Buscemi dello zio, i soldi sono cominciati ad arrivare.
“E Joe, che doveva fare solo il ruolo del padre, ad un certo punto ha detto faccio anche il tassista, che forse è solo una immaginazione del protagonista, o forse è un angelo, e con la sua presenza ha avuto molto più senso.” Joe Pesci e Steve Buscemi, cosa c’è di più newyorkese di loro, perfetti per un film che si svolge a New York nel 1989. “L’ho girato in bianco e nero perché Michael vive una vita bianco e nera e poi perché è un colore senza tempo e quando fai un film low budget, New York è così diversa oggi da come era negli anni ’80 e il bianco e nero ti perdona tutto.”
Nella sua scelta del non colore, Huston aveva anche in mente i grandi film del passato. “Quando avevo 9 anni mio padre (Tony Huston ndr) mi ha fatto vedere On the waterfront e mi ha detto che era uno dei film preferiti di mio nonno e io non credo fosse perché era il più bello, ma perché comunica delle emozioni. Non e’ un film sulla boxe, ma su un boxer. Come il mio che è una storia umana. C’è qualcosa di molto semplice nella boxe, in questo modo di affrontare la vita. Siamo io e te e chi molla per primo. Devi avere una qualità infantile, come dicevo prima a proposito di Pitt, che e’ una cosa molto bella. Nel mio film avrei potuto saltare del tutto il combattimento, vederlo solo salire sul ring e uscire alla fine. E per un po’ sembrava questa la soluzione, anche per mancanza di budget. Alla fine l’abbiamo filmato, in un giorno e mezzo, senza alcuna coreografia, ed e’ diventato poetico, autentico. Ne sono estremamente fiero. Sono un gran sentimentale, amo i films che ti fanno sentire qualcosa. Molti vanno al cinema a distrarsi a dimenticare io ci vado per ricordare, per sentire emozioni. Spero che questo film abbia questo effetto.”