Con la chiusura della mostra dedicata a vent’anni di battaglie e conquiste della comunità queer italiana, FROCI, la pièce teatrale di Frank J. Avella e diretta da Daniella Caggiano, si fa spazio nella scena artistica newyorchese come un viaggio nell’esperienza queer italo-americana. Presentata il 24 ottobre presso la Casa Italiana Zerilli-Marimò alla New York University, l’opera rende omaggio alla resilienza di una comunità che affronta pregiudizi, pressioni sociali e conflitti interiori. Sul palco Nicholas Louis Turturro, Lucas Anderson, Elisabetta D’Avenia, Edward L. Simon e altri interpreti, che danno vita a questa storia di forza e autenticità.
Ambientato tra la fine degli anni ’70 e gli anni ’80 nella periferia del New Jersey, FROCI è incentrato su Gio, un giovane cinefilo italo-americano che si confronta con l’identità queer, la lealtà alla sua cultura d’origine e il desiderio di essere accettato. “Gio è intrappolato tra l’educazione omofoba che ha interiorizzato e le dinamiche politiche folli del suo tempo”, spiega Frank Avella. “È un personaggio che vive intensamente le contraddizioni di quegli anni turbolenti e cerca disperatamente una via per accettare se stesso. Nonostante io sia cresciuto negli anni ’80, ho scelto di collocare la formazione di Gio tra la fine dei ’70 e gli inizi degli ’80 perché, purtroppo, i conflitti culturali e politici di allora non sono così diversi da quelli di oggi”.

FROCI si sviluppa in un’atmosfera che intreccia la tensione dell’epoca con una profonda esplorazione della mascolinità e della vulnerabilità. Avella ricorda: “Sono cresciuto in una famiglia italiana, siciliana, dove il ruolo dell’uomo era un pilastro. Eppure, dentro casa si respirava un’altra aria. Mio padre non aveva paura di mostrare le sue emozioni, e questo aspetto l’ho portato in Gio: un giovane che, malgrado tutto, fatica a conciliare l’immagine pubblica e quella privata. Gio, così com’è, incarna un’incessante sfida alle norme”.
Il viaggio di Gio è anche un viaggio cinematografico, rifugio e passione per il protagonista, che trova nei film una finestra su un mondo più libero. “Ero come Gio, da giovane e anche ora,” ammette Avella. “Il cinema è uno spazio magico dove, anche solo per qualche ora, puoi dimenticarti di chi sei e immergerti in un’altra realtà. Ma, come Gio, non mi interessavano i film di massa: preferivo Jane Fonda, Meryl Streep, i film da Oscar, quelli che raccontavano storie profonde. Gio trova una consolazione nell’arte, una forma di evasione dal mondo che lo circonda e che non comprende”.
Tra le influenze che hanno ispirato Avella ci sono grandi maestri del cinema. “Da Billy Wilder, che aveva un talento unico nel mostrare il lato più autentico delle persone, a Robert Altman, con i suoi cast corali in cui ogni personaggio sembra una persona reale”, racconta l’autore. “Ho sempre ammirato Woody Allen per la capacità di raccontare le dinamiche relazionali, e sono stato ispirato dai grandi del cinema degli anni ’70, come Scorsese, Coppola, Lumet, Pakula, Fosse e da registi come James Bridges e Colin Higgins, morti troppo presto a causa dell’AIDS. Ciascuno di loro mi ha insegnato qualcosa sul raccontare storie che parlano di vita, amore, e disperazione”.
Tra i personaggi di spicco di FROCI, Marco, il cugino apertamente gay, rappresenta un’altra faccia della stessa medaglia. La famiglia, saldamente ancorata a valori tradizionali, spinge Gio a fare i conti con pregiudizi ereditati e con una visione del mondo che fatica ad accogliere la diversità, imponendo limiti alla sua ricerca di autenticità. “Marco sfida le convenzioni, ma la sua omosessualità dichiarata è motivo di disagio per gran parte della famiglia”, dice Avella. “Gio, che non viene percepito come ‘effeminato, gode di una libertà relativa, ma resta prigioniero di una definizione rigida di virilità che fatica a decifrare e superare. Questo è uno dei temi centrali di FROCI: il desiderio di infrangere le convenzioni, pur senza riuscirci completamente”.
C’è poi lo zio Filippo, un personaggio altrettanto complesso. Veterano di guerra, ha una vita segreta che coinvolge storie d’amore con altri uomini. L’autore rivela: “La storia di Filippo sarà al centro della seconda parte dell’opera, intitolata FINOCCHIO. È una figura che vive nell’ombra e rappresenta la doppia vita di molte persone, soprattutto in un’epoca in cui essere se stessi poteva significare perdere tutto”.
In FROCI, le tensioni tra l’identità queer e le radici italo-americane toccano corde profonde e attuali. “La prima stesura risale al 2019, ma non ho sentito il bisogno di cambiare nulla nelle discussioni politiche tra i personaggi”, sottolinea l’autore. “Questi dibattiti, che affrontano temi personali attraverso il prisma della politica, sembrano ancora estremamente attuali, come se la storia fosse destinata a ripetersi. Ogni battuta è rimasta intatta perché, anche se ambientata in un’epoca passata, parla in modo potentissimo ai nostri tempi”.
FROCI è un’esperienza fuori dagli schemi: in un panorama cinematografico in cui gli italo-americani sono spesso dipinti come mafiosi o “gumbas”, il lato queer di questa cultura è rimasto nell’ombra troppo a lungo. “Era tempo di raccontarlo”, conclude Avella. “E ho voluto farlo portando sul palco la mia famiglia, vibrante e complessa, con tutte le sue contraddizioni, i drammi e le risate, creando uno spazio in cui il pubblico possa immergersi e dialogare con queste realtà”.