A Robert De Niro, 81 anni compiuti lo scorso agosto, interessa poco parlare di sé e dei suoi film in questi giorni, nonostante sia una leggenda vivente del cinema americano (due premi Oscar per Il Padrino II e Toro scatenato). L’argomento al centro dei suoi pensieri è Donald Trump e l’idea oscena che possa essere rieletto. “Un bugiardo sociopatico, un pericoloso delinquente, un imbecille aspirante dittatore,” si sfoga De Niro con la voce che gli trema dalla rabbia, quasi schiumando.
Lo abbiamo incontrato via zoom dalla sua casa di New York per parlare del suo nuovo film, Ezra, che sta generando molta attesa per la sua trama particolare. Diretto da Tony Goldwyn, il film è un dramma familiare in cui De Niro interpreta il nonno di un bambino autistico, interpretato da William A. Fitzgerald, con Bobby Cannavale nel ruolo del padre. È d’obbligo ricordare che De Niro ha un figlio nello spettro autistico, Elliot, avuto da Grace Hightower, a cui è molto legato.
L’attore sarà inoltre protagonista della miniserie di Netflix Zero Day, thriller politico che affronta lo scottante tema della disinformazione e delle teorie complottiste che spopolano sui social, nei panni di un ex presidente degli Stati Uniti coinvolto in uno scenario complesso e ad alto rischio. È la prima volta che De Niro si cimenta come protagonista di una serie televisiva.
Si sente vicino al suo personaggio in Ezra?
“Lo sceneggiatore del film, Tony Spiridakis, ha un figlio così. Anche uno dei miei figli è “nello spettro”, è autistico. Quindi storie del genere sono importanti, per creare una comprensione più profonda. E non l’ho fatto per gli altri, ma per me, perché sentivo fortemente questo tema”.
Lei non ha mai, comprensibilmente, parlato della condizione di suo figlio prima. Questo film ha cambiato qualcosa?
“È giusto uscire allo scoperto, come si dovrebbe. Sono stato coinvolto in alcune situazioni assai difficili con mio figlio. La cosa più importante è, nel mio caso come in quello di qualsiasi genitore, assicurarsi che i figli stiano bene”.

Lei è sempre stato molto esplicito, non ha mai nascosto le sue critiche a Trump. È fiducioso ora? Pensa che Kamala possa farcela?
“Sono molto fiducioso. Ma non è finita finché non è finita. E sono preoccupato che Trump, Dio non voglia, venga eletto. Sarebbe un incubo per molti. Ma credo che alla fine il paese si riscuoterà , come è successo in altri stati, in cui è arrivato un dittatore temporaneo o qualcuno come Trump. Perché in molti si renderebbero conto, fra quelli che hanno votato per lui, che hanno fatto un errore. Non riesco a capirli, e non capisco nemmeno gli uomini d’affari che votano per lui o dicono che lo voteranno e lo sosterranno, che si trovano in posizioni di potere e influenza e dovrebbero saperne di più. Pensano di poterlo controllare. Non possono. Le persone intorno a Trump non hanno buone intenzioni, come vediamo con il Project 2025. Non aiuterebbe il paese se venisse eletto. È una follia. Spero solo che Dio ci aiuti a superare questa situazione, superare Trump e ad andare avanti verso qualcosa di positivo e buono. Kamala Harris rappresenta questo”.
Un suo consiglio agli americani?
“Abbiamo bisogno di affluenza alle urne, di affluenza al voto. Ogni volta che votiamo nel modo giusto, prevaliamo. La democrazia prevale ogni volta che ci presentiamo a votare. È quando la gente non si presenta alle urne che questi ignoranti vincono. Quindi dobbiamo solo tutti presentarci. Uomini, donne, persone di colore, tutti devono presentarsi e votare”.
Se Harris vincesse pensa che potrebbero cambiare le cose?
“Certo. Lei capisce cosa stiamo affrontando nel mondo. Trump non si preoccupa del cambiamento climatico o di tutte quelle cose. Ovviamente fra quelli che lo sostengono sono le compagnie di combustibili fossili. Certo che a loro piacerebbe che fosse eletto per permettergli di continuare con I loro profitti senza pensare ai danni che provocano. Non è una priorità per loro a meno che non siano costretti a farlo. È come le grandi compagnie di sigarette: serve il governo per costringerle a rispettare le regole. Perché c’è un problema con il cambiamento climatico: lo sappiamo tutti. Ed è pura follia non pensarci e non cercare di fare qualcosa per correggere la situazione, che richiederà molto lavoro”.
Lei ha recitato in una serie TV, Zero Day, che parla un po’ di questo.
“Sì, è interessante. È stata fatta da persone molto intelligenti. È un thriller politico. Mi è piaciuto interpretarlo ed è stato un lavoro duro. Era la prima volta che facevo una serie”.
Altri film in arrivo?
“Ho recitato in una serie argentina chiamata Nada, in cui sono uno scrittore americano amico del protagonista, un critico culinario interpretato da Luis Brandoni. Ma oramai prendo un progetto alla volta, un giorno alla volta. C’è la famiglia, i figli. Sto aprendo un nuovo gigantesco teatro di posa, Wildflower, ad Astoria (New York) insieme a mio figlio Rapahel e al mio socio Adam Gordon, e stiamo aprendo due nuovi Nobu [sua catena di ristoranti ndr] in Vietnam e Thailandia. Abbiamo appena celebrato a New York il 30° anniversario del primo Nobu. Insomma, un progetto e un giorno alla volta. Non chiedetemi troppe cose del futuro”.
Le piace continuare a fare film indipendenti?
“Sì, ed è per questo che ho voluto aprire lo studio, per sostenere il cinema indipendente. E’ molto importante. Ho appena visto Megalopolis, insieme a Francis (Ford Coppola, ndr), e quello è un buon esempio di cinema indipendente. È più astratto di un film come Ezra, ma esprime la visione di Francis della vita. E non c’è un modo giusto o sbagliato per farlo, è quello che è e ognuno lo vedrà in modo diverso. È un film molto speciale. E se uno come Francis ci crede così tanto da vendere la sua vigna per farlo, è quello che doveva fare! Spero che la gente vada a vederlo, è arte, è l’espressione di un grande artista”.