Ricordi sparsi, memorie che tornano e danzano con altre, in un valzer divertito e nostalgico sulla Roma che era e sulla Roma che è, sul mestiere del giornalista, del cronista, dell’inviato, del corrispondente. Tutto ha fatto Eric Salerno nella sua vita da profugo americano in Italia e poi da reporter curioso e instancabile nel mondo fino a trasferirsi stabilmente in Israele e raccontare da lì l’evolversi di un conflitto infinito.
Il suo ultimo libro Fantasmi a Roma racconta questo e molto altro nel dipanarsi del groviglio di una esistenza che non conosce pause. Edito da Il Saggiatore dovrebbe raccontare Roma, le sue panchine fredde di marmo, le catacombe, le gallerie scavate dai cercatori di potassio sotto la città dove si coltivavano funghi e ora si coltiva marijuana. Dovrebbe raccontare Roma e racconta tanta cronaca vissuta, intrecci di spie, inchieste sulla sanità e sulla mafia.
“Tutti i più grandi pensieri sono concepiti mentre si cammina” diceva Friedrich Nietzsche, e ricorda Eric Salerno all’inizio del libro, e l’anziano giornalista cammina, spinto dalla curiosità di una città deserta per il lockdown del covid all’inizio del libro, nei capitoli ambientati nel 2020, e dalla nuova folla di turisti e romani dopo, nei capitoli del 2023.
Si comincia con uno scherzetto fatto dal giovane cronista per controllare l’efficacia dei servizi di sicurezza del Vaticano. È il 25 settembre del 1962 e Salerno insieme al fotografo Franco Giannuzzi va a San Pietro e deposita un pacco vistoso sotto l’altare maggiore senza essere fermato da nessuna guardia. Dimostra così l’inettitudine della gendarmeria pontificia e va in prima pagina su Paese Sera. La sua carriera nei giornali era cominciata presto, a dodici anni, quando a Rochester, nello stato di New York, strillava per vendere copie fresche di stampa del quotidiano locale nei giorni tristi in cui si decideva la sorte dei coniugi Rosenberg, finiti sulla sedia elettrica con l’accusa di spionaggio a favore dell’Urss.
Arrivato a Roma con il padre, mandato via dagli Stati Uniti perché comunista, Eric Salerno va a scuola al Ghetto in un istituto che allora era aperto a tutti e si chiamava Ugo Foscolo e oggi invece è frequentato principalmente dagli ebrei della zona. Inizia a scrivere come esperto di filatelia con il buffo pseudonimo di A.M. Eric ovvero Americ. Ha solo 15 anni non sa ancora bene l’italiano, ma le sue cronache volano e diventa presto cronista di nera a Paese Sera. Si specializza nel giro degli ospedali alle sette di mattina a caccia di notizie per la prima edizione, con fotografo e autista che si infilava nei vicoli senza bisogno di app o navigatori. Si scorrevano velocemente gli appunti della notte, nomi di chi era arrivato e come, a piedi o in barella, malato o ferito e quando si scopriva qualcosa di interessante si chiamava la redazione dal telefono a gettone…
Dalla nera Eric Salerno passa alla cronaca mondana: Via Veneto e tutto il mondo del cinema e dei paparazzi. Fellini non la frequentava preferendo Piazza del Popolo e il bar Canova ma si faceva raccontare tutto dai fotoreporter, “come puntavano la preda, come giocavano a innervosirla, come preparavano i servizi su misura per i diversi giornali.” E probabilmente così è nata la famosa scena del bagno nella Fontana di Trevi. Ivano Davoli, latin lover romagnolo, aveva una rubrica su Paese Sera che si chiamava Dolce Vita. Racconta che dopo una notte folle con una attrice lei volle fare il bagno nella Fontana di Trevi. Pierluigi Praturlon, noto come Lux, paparazzo, una sera d’agosto del 1958 era con Anita Ekberg che passando davanti alla fontana di Trevi volle entrare. Lui la fotografò mentre li osservavano, incantati, due giovani carabinieri. E la stessa Ekberg conferma: Sono io che ho reso Fellini famoso, non il contrario!
E ancora: la cronaca del venticinquesimo compleanno della contessina Olghina di Robilant il 5 novembre 1958 con un centinaio di persone su di giri fra cui Linda Christian, Elsa Martinelli, Anita Ekberg, Luca Ronconi e Laura Betti e una giovane attrice turca, Aïché Nanà che improvvisò un audace spogliarello, fu fotografata, e l’Italia democristiana e bacchettona la espulse immediatamente. E poi: la lunga intervista a Hitchcock di passaggio nel 1960 dall’isola di Ischia con la moglie e le congetture con lui per risolvere alcuni celebri gialli italiani, e infine storie di spie e spioni come Mordechai Louk, ritrovato in un baule mezzo drogato, stravolto, sporco e puzzolente per essersi vomitato addosso. Lo soprannominarono “la mummia nel sarcofago” perché lo spediva l’Ambasciata d’Egitto al Cairo. Era il 18 novembre 1964 e la storia che venne fuori dalle indagini di Salerno e della polizia è tutta da leggere.
Ma i passi più importanti del libro Fantasmi a Roma a mio giudizio sono quelli che riguardano la profonda conoscenza che Salerno ha di Israele e della questione palestinese. Una conoscenza iniziata nel lontano 1957 quando incontra a Roma Yosef Burg, uno dei fondatori d’Israele, leader del partito nazional‑religioso e allora ministro delle Poste e prosegue con una vita trascorsa a Gerusalemme come corrispondente de Il Messaggero. Riporto queste righe perché spiegano il tormento di un inviato vero, ebreo per parte di madre, comunista per parte di padre, che ha cercato di raccontare il Medio Oriente con onestà nella sua vita adulta.
Vidi Fausto Coen per l’ultima volta alla fine degli anni novanta. Il mitico direttore storico di Paese Sera, il mio direttore, mi salutò con calore e una frase da cui traspirava disperazione. “Eric, abbiamo sbagliato tutto. – esitai, cercai di capire a cosa si riferiva. Da anni ero fisso a Gerusalemme come inviato del Messaggero… – Noi ebrei eravamo intelligenti quando eravamo in Europa… Non dovevamo creare Israele..” Sentirlo – lui che aveva scritto una storia di Israele, che dirigeva Sorgenti di vita, un programma tv legato alle comunità ebraiche italiane che cercava di raccontare la storia degli ebrei di ieri e oggi – pronunciare quella frase …mi lasciò sbalordito. Oggi non lo sarei….penso a Israele, ai palestinesi, al Medio Oriente in fiamme, all’Ucraina e alle città e villaggi a pochi chilometri da dove in Bielorussia era nata mia madre. Ai sogni frantumati di molti popoli. Ai cicli della nostra civiltà, del nostro universo. La minaccia nucleare degli anni della mia gioventù nuovamente sulla bocca di tutti; speranze di pace e convivenza non solo a livello mondiale si sono allontanate.