Il Cagnone è un soprannome perfetto. Racconta la mitezza e il candore di un omaccione alla costante ricerca di affetto, di complicità, di consenso. Fu Stefano Benni, mezzo secolo fa, a inventare quel soprannome, negli anni in cui l’autore di ‘Bar Sport’ e di tanti altri ottimi libri lavorava nel quotidiano bolognese Il Resto del Carlino accanto a un giovane Giancarlo Mazzuca, (il Cagnone, appunto) che aveva più o meno la sua stessa età. Romagnolo di Forlì, classe 1948, Mazzuca iniziò nel quotidiano bolognese una pirotecnica carriera che lo avrebbe portato al timone o in posti chiave di grandi quotidiani. Inviato speciale del Corriere della Sera, capo dell’ufficio economico del Giornale, vicedirettore a Fortune Italia e poi alla Voce (sfortunata avventura senile del grande Indro Montanelli) e ancora direttore del Giorno, due volte, del Resto del Carlino e del Quotidiano Nazionale che raggruppa le testate della galassia editoriale Monti Riffeser.
Infine, il salto in politica con Berlusconi, l’elezione a deputato di Forza Italia, la nomina a consigliere d’amministrazione Rai, le collaborazioni con altri quotidiani. A tutto questo si aggiunge una lunga serie di libri, sul romagnolo Mussolini, su Gianni Agnelli, su tanti altri e tanto altro, spesso in collaborazione col fratello maggiore Alberto, grande giornalista economico. Insomma, quella del Cagnone è una vita senza requie, segnata dalla passione per il mestiere, dal costante supporto di una moglie intelligente e straordinaria, ma anche da una formidabile capacità di allacciare rapporti, di emergere, di affermarsi.
In un bel libro del giovane giornalista toscano Federico Bini (Il Cagnone, Minerva Edizioni, 192 pagine, 18€) la storia personale e professionale di Mazzuca diventa un efficace modo di raccontare vizi e virtù del giornalismo italiano e grandi personaggi che hanno segnato un’epoca: Gianni Agnelli e Silvio Berlusconi, Gianni Brera, Giovanni Spadolini, Attilio Monti, Enrico Cuccia, Raul Gardini. Oltre, naturalmente, a Montanelli che Mazzuca considera maestro e amico imprescindibile. Di tanti apprezzati o discussi primattori di quell’Italia, sempre in bilico tra mali incurabili e ambizioni di riscatto, il Cagnone racconta aneddoti e retroscena, vissuti in prima persona da appassionato testimone oculare, da osservatore esperto e smaliziato. Certo, anche smaliziato, perché (come spiega lucidamente Vittorio Feltri nella prefazione del volume) Mazzuca sa essere simpatico, gioviale, leale, ma sotto l’apparente candore nasconde “una gran furbizia da navigatore dei sette mari”. Giudizio ineccepibile che può essere confermato da chiunque abbia lavorato col Cagnone, compreso l’autore di questo articolo.
Il libro, ben costruito, ha soprattutto un pregio: non è un santino di Mazzuca, non lo beatifica ma, attraverso le sue vicende professionali, racconta un’Italia di grandi sfide imprenditoriali e forti rivalità politiche. Gli Agnelli e i superpoteri sotterranei di Cuccia, il tormentato rapporto tra Montanelli e Berlusconi, la vitalità e i rovesci di un’editoria ancora lontana dalla drammatica crisi dei giorni nostri. Lo fa con un’ampia serie di episodi e personaggi indimenticabili, gustosi, a volte sorprendenti. E quando vengono sfiorati i momenti più intimi del racconto (la perdita del figlio Giovanni ha segnato dolorosamente gli anni recenti di Mazzuca) il garbo è estremo, il pudore è profondo.
Poche le concessioni ai toni della nostalgia, ma certi ricordi colpiscono. Fanno sorridere gli esordi del sedicenne Cagnone, ex chierichetto, alle prese con partite di calcio di terza o quarta serie, da trasformare in articoletti di quindici righe per le cronache sportive del Resto del Carlino. O le corse alla stazione di Forlì per affidare al capotreno il ‘fuorisacco’, ovvero il bustone con articoli, titoli e foto che poi, nella redazione e nella tipografia di Bologna, sarebbero diventati pagine di giornale. Di quel giornale, tanti anni dopo, Mazzuca sarebbe diventato direttore. Ma questo, l’ex chierichetto non lo poteva certo immaginare.