Il più grande pugile di tutti i tempi era nato giusto un secolo fa: il primo settembre 1923. All’anagrafe di Brockton, Massachussets, venne registrato con il nome di Rocco Francis Marchegiano anche se per i manuali e per la gente è stato più semplicemente Rocky Marciano.
Americano sì, ma figlio di emigranti. Il padre si chiamava Quirino e veniva da Ripa Teatina, paese collinare sulla via per Chieti. Le cose non accadono mai per caso. Nel 1520, sotto la dominazione spagnola, quel posto in Abruzzo ottenne il «Privilegio dei pugni»: era il diritto dei residenti, previo versamento di una tassa, di risolvere le questioni civili e penali a cazzotti sulla pubblica piazza. Una premonizione. Quirino il maniscalco nel 1912 si imbarcò a Napoli sul piroscafo Canada della francese Fabre Line diretto a New York: uno dei 1850 passeggeri di terza classe. In terza classe avrebbe viaggiato, quattro anni dopo, anche la donna che in America sarebbe diventata sua moglie: Pasqualina Picciuto da San Bartolomeo in Galdo, provincia di Benevento.
L’unione fu benedetta da sei figli: Alice, Concetta, Elizabeth, Louis, Peter e il primogenito Rocco Francis, che piccolissimo si era ammalato di polmonite. Non se la passavano bene. Il capofamiglia si arrangiava come calzolaio in una fabbrica di scarpe a basso prezzo. Rocco capì subito che sei bocche da sfamare erano troppe.

Possibile che sia stato lui il pugile più grande di tutti i tempi? Un peso massimo alto solo 1,78 per 84 chili più o meno, niente in confronto ai colossi bianchi o neri del ring. E un allungo di 170 centimetri, mentre i rivali vantavano leve come sbarre di un passaggio a livello. Tecnicamente non era granché: era lento, rozzo e prendeva un sacco di pugni. Eppure i numeri sono impressionanti. Ha difeso il titolo mondiale chiudendo la carriera imbattuto, unico nella storia, con tutte vittorie: 43 per ko su 49 incontri. Spiegare come ha fatto significa raccontare quel che si portava dentro. La sua forza poggiava su un pilastro: la terrificante voglia di vincere. Un istinto dalle radici profonde, che affondavano nella terra degli avi. Nella roccia del nome di battesimo. Finita la guerra, Marciano trova un manager che lo spedisce sul quadrato dove combatte da selvaggio. L’esordio da dilettante è negativo: rifila una ginocchiata all’avversario e perde per squalifica. Va meglio in un torneo a Portland dove arriva in finale, però si ritira per un mal di schiena. A casa servono soldi, nel ’47 passa professionista e la musica cambia. Cambia anche il nome che gli speaker storpiano al microfono: da quel momento, per sempre, sarà Rocky Marciano. Il pubblico e i giornali sanno come riconoscerlo.
Infila 18 vittorie prima del limite perché nei guantoni ha la dinamite. I suoi pugni sono letali. Mette giù alla sesta ripresa Carmine Vingo, italo-americano più grosso di lui trasportato d’urgenza all’ospedale. Resta privo di conoscenza per giorni: si riprende ma la sua carriera è finita. Marciano è impressionato, fatica a tornare in palestra, poi capisce che non può fermarsi. Vince un match dopo l’altro. Finché si trova davanti un fuoriclasse assoluto: Joe Louis, icona della boxe, l’afro-americano diventato eroe nazionale. Sergente decorato in guerra e volto della propaganda anti nazista, per 12 anni è stato campione dei massimi difendendo il titolo 27 volte. E’ l’idolo dell’infanzia di Rocky. Ma fra il Bombardiere nero e il Bombardiere di Brockton la sfida è impari. Il primo ha 37 anni ed è agli sgoccioli; il secondo è nel pieno della maturità psico-fisica. Il 26 ottobre 1951 va in onda al Madison Squadre Garden di New York una serata che è storia del pugilato, con la radiocronaca per l’Italia di un giovane giornalista che si chiama Mike Bongiorno.
Assistono al match 17.241 spettatori per un incasso di 152.845 dollari, più altri 185.000 di diritti radiotv. Rocky mette al tappeto Louis all’ottavo round con una combinazione di montante e gancio. Sugar Ray Robinson, altro mito della nobile arte, assiste al colloquio fra i due negli spogliatoi: . Il campione vecchio e stanco si ritira, lui è pronto a combattere per la cintura iridata. L’appuntamento è al Municipal Stadium di Filadelfia il 23 settembre del ’52. Lo attende Jersey Joe Walcott, il Boscaiolo di Camden: a 38 anni sa affrontare un pugile che viene sempre avanti, lasciando scoperta la difesa. Un gancio sinistro sorprende Marciano alla prima ripresa: va giù, non era mai successo, è uno choc. , racconterà in seguito. E’ l’inizio di una battaglia cruenta. Walcott risponde alla reazione, è in vantaggio ai punti quando un diretto alla mascella, doppiato da un gancio, lo abbatte. Finisce così. Rocky diventa campione del mondo a 28 anni.
Il pugile che non accetta l’idea della sconfitta, il guerriero, la locomotiva in corsa, il tritacarne, è un uomo normale in famiglia. Le foto in bianco e nero ritraggono scene di vita domestica: in cucina accanto alla madre che condisce i maccheroni al pomodoro in un pentolone e gli versa un bicchiere di vino rosso. , scherza con i giornalisti. Tutt’altre foto a bordo ring. Il flash coglie la moglie Barbara, neanche a dirlo di origini italiane, con il sorriso tirato mentre incrocia le dita per scaramanzia. E’ difficile abituarsi a quel marito che – vinca o perda – torna con la faccia gonfia, i tamponi rossi di sangue nelle narici, i cerotti sulla guancia e gli occhi tumefatti. Anche perché a casa li aspettano Rocco Kevin, il maschio, e Mary Ann che gioca sull’altalena o suona il pianoforte.
Non c’è scelta. La sua boxe ha un marchio di ferocia. E’ tarchiato, aggressivo, spietato, cocciuto, coraggioso oltre ogni limite. Lo spettacolo che offre è una stoica resistenza al dolore. , risponde con modestia Marciano a chi gli chiede se sia il migliore di sempre. Però sa che quel destro è qualcosa di irripetibile: un test biomeccanico ne ha calcolato la potenza, pari a quella che occorre per sollevare da terra una tonnellata di peso. Lo considera una parte di sé, con vita propria, un amico che chiama affettuosamente Suzie Q: il nome di un ballo degli anni ’30-’40 sulla musica swing, un mulinare vorticoso di braccia e mani. Per la verità i maliziosi sussurrano che il nomignolo alluda piuttosto a Suzie Quick, cioè Suzie la veloce, una barista svelta e prodiga nel regalare momenti di passione.

Nelle difese del titolo travolge prima Ezzard Charles e poi – il 21 settembre 1955 – il re dei mediomassimi Archie Moore, uno da 131 vittorie per ko in carriera. , dice Marciano a se stesso e al mondo. Il Bombardiere non ha neppure 33 anni quando annuncia il ritiro promesso a Barbara. Per la verità torna sul ring nel ’69, ma solo virtualmente e con il parrucchino. Un abile impresario affida agli algoritmi il match mai disputato fra lui e Muhammad Ali. Vengono girate varie sequenze e diversi finali di partita, il film proiettato in 1500 cinema incassa 5 milioni di dollari. Il verdetto è del computer 315 Ncr: vince Marciano per ko alla tredicesima ripresa. Ali la prende male, urla che la macchina è stata costruita in Alabama. Ma i due sono buoni amici, l’ammirazione è reciproca. Sanno che è sempre il pubblico a scegliere il migliore.
Fuori dal ring l’esistenza di Rocky scorre felice. Resta popolarissimo, diventa intrattenitore televisivo, fa il commentatore di pugilato, è l’ospite d’onore nelle serate di gala. Viaggia. II primo settembre del ’64, giorno del compleanno, è a Roma dove gli propongono di visitare per la prima volta Ripa Teatina. Arriva nel paese del padre su una Fiat 125 rossa tra un tripudio di folla e si ferma davanti alla bottega della porchetta. Divora una fetta spessa tre dita del maiale arrostito e la trova superba, poi azzanna la crosta dorata croccante. E’ proprio lui, Marciano l’abruzzese. Entra nel bar principale per un caffè, si concede a centinaia di foto, firma cataste di autografi. <Tornerò presto>, promette. Non succederà. Il destino ha acconciato per lui una morte tragica che lo sorprende il 31 agosto 1969, alla vigilia del quarantaseiesimo compleanno. Rocky ha fretta di arrivare a casa per il party e sale sul suo Cessna 172, malgrado il meteo sfavorevole. Il volo da Chicago non arriva a Des Moines, alle otto di sera l’aereo privato precipita in un campo di grano a Newton nello Iowa. Il suo corpo resta imprigionato nella carcassa di metallo. Marciano viene sepolto nel cimitero di Lake City in Florida.
Ripa Teatina e Brockton, le piccole patrie, celebrano ciascuna con una statua il pugile più grande di tutti i tempi che oggi avrebbe compiuto cent’anni.