Inaugurata alla galleria di David Totah la personale di Luca Pancrazzi, artista multimediale noto per le sue grandi istallazioni. Pancrazzi nasce a Figline Valdarno (Firenze) nel 1961. Dopo gli studi liceali e accademici a Firenze, nella seconda metà degli anni ottanta viaggia negli Stati Uniti, dove incontra Jo Watanabe e lavora nel suo studio alla realizzazione di grafiche e wall drawings di Sol Lewitt.
Fino al 1991 lavora a Roma nello studio di Alighiero Boetti. Dagli anni Novanta è autore di una ricerca basata sull’analisi del medium artistico, sulle sue ramificazioni, sulle possibilità creative dell’errore e dell’uso composito di tecniche e materiali.

Lo spazio metropolitano e il paesaggio, nella loro continuità con lo sguardo antropico che li definisce, sono i temi trattati con più assiduità. Si esprime attraverso la pittura, il disegno, la fotografia, il video, l’installazione ambientale, la scultura, in condivisione con altri artisti e progetti editoriali.
Tra i sui progetti più noti ricordiamo: Importé d’Italie (1982), ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZ (1986), De-ABC (2002), dal 2010 Madeinfilandia e dal 2015 Spazio C.O.S.M.O. a Milano. Pancrazzi inizia a esporre dalla metà degli anni ottanta e dal 1996 viene invitato a partecipare ad una serie di esposizioni internazionali tra cui la Biennale di Venezia (1997), la Triennale di New Dehli (1997), Biennal of Cetinje (1997), Triennale di Vilnius (2000), Whitney Museum of American Art at Champion (1998), Biennal of Valencia (2001), Moscow Biennal of Contemporary Art (2007), Quadriennale di Roma (2008).
Alcune tra i numerosi spazi pubblici che hanno presentato il suo lavoro: P.S.1 Contemporary Art Center (1999), Galleria Civica di Modena (1999), Museo Marino Marini (2000), Palazzo delle Papesse (2001), Museo Revoltella (2001), Galerie Lenbachhaus und Kunstbau (2001), GAMEC (2001), Museo Cantonale d’Arte di Lugano (2002), Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci (2002), Zentrum Fur Kunst und Medientechnologie (2003), PAC (2004), MAN (2004), MART Trento e Rovereto (2005), MAMbo (2006), Macro (2007), Vietnam National Museum of Fine Arts (2007), Fondazione Pomodoro (2010), Museo per Bambini di Siena (2010), Palazzo Te,(2016).
Sue opere sono presenti in numerose collezioni private e pubbliche, tra le quali: UBS, Zurich, Findomestic, Unicredit, Milano, Collezione Farnesina, Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Roma. MAMBO, Bologna. Centre Pompidou, Paris. Padula Contemporanea, Certosa di San Lorenzo, Padula, Ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo, Polo Museale della Campania. Isola Art Center, Milano. Assab One, Milano. Fondazione Teseco, Pisa. Museo per Bambini Santa Maria della Scala, Siena. Sammlung Goetz collection, München. Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Torino. Adesso vive e lavora a Milano.
Qual è il filo comune delle opere esposte da TOTAH?
Come potrebbe essere in parte intuibile dal titolo della mostra in corso nella galleria di David Totah a New York, il filo conduttore di questo ciclo di opere e della mostra è lo spazio di disorientamento di chi riceve un abbaglio da una forte fonte luminosa che confonde i sensi proiettando il presente in uno stadio metafisico, almeno per una frazione di secondo.
Un abbacinamento, un bagliore, il flash, oppure il baluginio di una luce lontana nella notte.
Le immagini di questi quadri sono filtrate attraverso e non solo dalla pittura, ma anche dalla luce, che si fa soggetto oltre che materia pittorica.
Questi quadri sono dipinti usando velature di bianco sopra una tela grezza, mi sono praticamente dato la regola di avere come soggetto la luce, quella riflessa dal mondo che dà forma alle cose, e in questo caso anche quella diretta, che abbaglia.
La pittura in genere disorienta lo spettatore, perché è il risultato della manifestazione dell’intimità dell’autore messa a nudo, ma in questi quadri è anche il disorientamento subito dall’autore che ha frequentato e ricevuto quegli abbagli.

Qual è il tuo rapporto con la città di New York?
Questa è una città funzionale, dove chiunque proietta se stesso e vi appartiene un po’ per volta, giorno dopo giorno.
Ho vissuto in questa città, quando ero giovane e pensavo che avrei potuto vivere ed avrei vissuto ovunque avessi potuto fare quello che più amavo, ma qui lo amavo fare particolarmente. New York era una città dura ma generosa, ed ha un forte legame con l’arte, è stata per noi occidentali non americani e postmoderni un punto di riferimento fondante. La città pullulava di energia dal basso e dall’alto e nel mezzo i corpi vibravano. Oggi non sento più quella vibrazione, ma può dipendere da molti fattori, anche dall’accordatura dello strumento che è cambiata.
Com’è cambiato negli anni il tuo rapporto con la luce?
Direi che il cambiamento più radicale è avvenuto in maniera biologica non appena ho metabolizzato una stanchezza accumulata piano piano nei 30 anni di fidanzamento con la notte.
Di notte si possono fare tante cose, a me piaceva lavorare sino all’alba ed andare a riposare dopo aver preso un caffè e fatto colazione.
Ad un certo punto, complice di quelle necessità metaboliche che accennavo, il mio corpo si è reimpostato con i ritmi opposti, cioè quelli della luce, quelli che vengono definiti “naturali”. Adesso mi sveglio prima del giorno e vedo la luce arrivare e illuminare il mondo.
Anche oggi a celebrare questo passaggio c’è una macchinetta di caffè.

Qual è la relazione del tuo lavoro con quello di Alighiero e Boetti e dove i lettori potranno vedere prossimamente una vostra collaborazione?
Ho lavorato per lui poco dopo aver interrotto l’Accademia di Belle Arti, verso il 1986, sino alla Biennale di Venezia nel 1990. inizialmente ho realizzato delle opere insieme ad Andrea Marescalchi che lavorava già per Boetti, praticamente sono stato per un periodo l’assistente dell’assistente. Questa è la cronaca, ma nel lavoro di Boetti, ho compreso che questa catena generava la qualità e le variazioni necessarie alla bellezza dell’opera finale.
In quel periodo post accademico, il lavoro di Boetti non era così diffuso e conosciuto tra noi studenti, non veniva insegnato, ed ho scoperto quindi dopo averlo frequentato molte affinità operative con le quali ho dovuto e voluto fare i conti.
Credo che sia stato il caso e la fortuna che mi ha fatto conoscere Boetti ed essere stato parte della materia creativa delle sue opere. Questo mi ha sicuramente permesso di dovermi evolvere come artista dalla sua personalità.
Mentre gli artisti italiani e non solo della mia generazione cercavano tutte le affinità possibili con la sua opera, io stavo lavorando per costruire un’autonomia di pensiero e operativa e divergente.
Far parte di un team creativo in uno studio di un’artista con una personalità così decisa è stata un’esperienza molto più che educativa.
Adesso con la giusta distanza posso sicuramente accettare di confrontarmi con colui che mi è stato più maestro di tutti i maestri che ho incontrato nella mia formazione accademica.
Ed è qui, a New York, che questo può avvenire grazie all’idea di David Totah, che dopo aver inaugurato la mia mostra personale qualche giorno fa, ha rilanciato presentandomi pochi giorni dopo alla fiera A.A.D.A. con un progetto di affinità.
Fiera: Booth A18
PARK AVENUE ARMORY
Park Avenue at 67th Street
New York City
3 novembre | 12:00 – 20:00
4 novembre | 12:00 – 20:00
5 novembre | 12:00 – 19:00
6 novembre | 12:00 – 17:00
Galleria
Martedì-sabato | 11:00 – 18:00