Al Beverly Hilton Hotel di Los Angeles sono andati in scena le premiazioni dei Golden Globes. Una cerimonia che si è tenuta privatamente, senza presentatori, diretta tv e streaming, scatenando non poche polemiche. Inizialmente, si era pensato che la causa fosse l’emergenza sanitaria che sta colpendo il mondo, senza fare sconti all’America. In realtà , un elemento decisivo sono state le forti polemiche riversate contro l’associazione della stampa estera, che su una novantina di giornalisti presenti non ne ha visto nemmeno uno di colore. Caso? Forse sì, ma l’indignazione è stata grande.
Le accuse degli ultimi anni, infatti, non riguardano solo argomenti legati alla discriminazione, ma anche alla corruzione e alla poca chiarezza nelle decisioni legate alle vittorie, tanto da costringere Tom Cruise a far rispedire alla HFPA i suoi tre Golden Globes. Senza contare che grandi studios come Warner Bros, Netflix e Amazon hanno successivamente dichiarato che non lavoreranno più con la HFPA fino a quando non saranno implementati cambiamenti significativi.
La cerimonia si apre con Jane Campion che vince con il suo Western dark “Il potere del cane“, sia come miglior regista che miglior film drammatico. La neozelandese la ricordiamo per l’Oscar vinto ventotto anni fa con il suo capolavoro “Lezioni di Piano” e ad oggi, dopo la vittoria di Chloé Zhao agli Oscar dell’anno scorso con “Nomadland”, è importante sottolineare come le registe donne si stiano facendo strada con prodotti che nell’ambito dei festival stanno facendo la differenza.
“Il potere del cane” è un film che ricade sotto il genere western, ma in una prospettiva molto dark. Tratto dal romanzo di Thomas Savage, la trama si svolge in Montana nel 1924, dove due fratelli, George e Phil, possiedono un ranch. Quando il primo sposa la giovane vedova Rose e la porta a vivere con loro, insieme al figlio Peter, il fragile equilibrio di Phil viene minato profondamente, portandolo a prendere pesantemente di mira sia la giovane donna che il figlio. Una storia che si districa tra un maschilismo tossico e una repressione della sessualità, che in Phil lo porta a compiere atti orrendi, ma che allo stesso tempo risulterà essere proprio la sua rovina.
E’ interessante notare che, nonostante in vari generi gli italiani abbiano fatto la storia, oggi presentino trame stanche incapaci ad avere una tiratura internazionale. Ci sperava, ma niente da fare per Paolo Sorrentino con “È stata la mano di Dio”, candidato nella categoria per il miglior lungometraggio in lingua straniera. I membri della Hollywood Foreign Press Association hanno preferito la pellicola giapponese “Drive my car“, diretta da Ryûsuke Hamaguchi. Un film fatto di parole, da ascoltare con pazienza e che ritorna alla lentezza del cinema classico in una visione orientale, con un’eleganza unica. Il mistero e i colpi di scena sono gli elementi portanti del film, che è assolutamente da vedere ed assaporare.
La trama narra le vicende di Yûsuke Kafuku, un attore e regista che ha da poco perso la moglie per un’emorragia cerebrale, che accetta di trasferirsi a Hiroshima per gestire un laboratorio teatrale. Qui, insieme a una compagnia di attori e attrici che parlano ciascuno la propria lingua (giapponese, cinese, filippino, anche il linguaggio dei segni), lavora all’allestimento dello Zio Vanja di Cechov. Abituato a memorizzare il testo durante lunghi viaggi in auto, Kafuku è costretto a condividere l’abitacolo con una giovane autista.
Il regista riesce con una serie di accadimenti e fortificando le relazioni tra i personaggi a far accettare e metabolizzare ad ognuno il proprio lutto. Si nota una regia che spinge verso una funzione prettamente catartica e che allo stesso tempo ritrae una società profondamente maschilista. La preparazione e la cultura del regista emergono senza chiedere il permesso, facendo entrare lo spettatore nel cuore della storia.
A vincere come miglior commedia musicale è “West Side Story“, regia di Steven Spielberg. Una rivisitazione del leggendario ed omonimo musical di Arthur Laurents, Stephen Sondheim e Leonard Bernstein, che narra lo scontro tra due bande di strada di New York. Nel 1961, Tony e Maria, i due protagonisti, fanno parte di queste due gang rivali, i Jets e gli Sharks. Una sera in un locale notturno Maria nota Tony, i due si appartano e scatta un bacio. Unione che porterà non pochi disordini e che probabilmente non vedrà trionfare l’amore.
Il premio alla miglior sceneggiatura va, invece, a “Belfast“, scritto e diretto da Kenneth Branagh. Pellicola semi-autobiografica, in bianco e nero che narra l’infanzia del regista, interpretato da Jude Hill, nella città di Belfast, con sottofondo il conflitto nord-irlandese.
Miglior film d’animazione va invece ad “Encanto“, per la regia di Byron Howard e Jared Bush. L’Italia era candidata anche per questo premio con “Luca“, diretto da Enrico Casarosa, che forse avrebbe meritato qualche riconoscimento.
“Succession” vince come miglior serie televisiva drammatica. Una serie carica di mistero, storie che si legano intorno ad una vicenda fuori dal comune: il magnate dei media Logan Roy, ottantenne, cerca un erede da porre alla guida dell’azienda di famiglia, che sia capace di entrare in un mondo dove nessuno guarda in faccia a nessuno e gli scrupoli vanno lasciati ai perdenti.
Infine è bene citare la vittoria di Hans Zimmer come miglior colonna sonora originale nella pellicola “Dune“, diretta da Denis Villeneuve. Golden Globes dunque all’insegna del cinema internazionale, che hanno visto trionfare un’altra volta una regista donna, di grande talento. Proposte interessanti e diversificate, premi inaspettati e un ritorno al cinema classico che fa ben sperare per il futuro dell’audiovisivo ormai troppo saturo e minimalista. Fa bene all’anima riscontrare la vittoria di un film musicale la cui origine è proprio Shakespeare e di un western che sembrava essere un genere dimenticato, ma che nella storia del cinema ha regalato sempre grandi emozioni e continua a farlo.
Altri premi: Mj Rodriguez vince come miglior attrice in una serie drammatica con “Pose”. Nicole Kidman è miglior attrice in un film drammatico e Andrew Garfield è miglior attore in un film o commedia musicale.
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