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December 25, 2021
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Dalla grande tradizione all’Opera riscoperta: intervista al maestro Carlo Rizzi

Il celebre direttore d'orchestra torna a New York; in programma al MET la Bohème e Tosca: "Non c’è separazione tra il pubblico e l’artista"

Maggie S. LorellibyMaggie S. Lorelli
Dalla grande tradizione all’Opera riscoperta: intervista al maestro Carlo Rizzi

Carlo Rizzi (foto ripresa da http://www.carlorizzi.com/gallery)

Time: 5 mins read

È cominciata il 3 dicembre alla Cadogan Hall di Londra l’intensa stagione musicale 2021-22 che vedrà il grande Direttore d’Orchestra italiano Carlo Rizzi salire sul podio del Metropolitan Opera di New York con una serie di appuntamenti pucciniani: il 9, il 13, il 18 e il 22 gennaio 2022 con La Bohème, e l’8, 14, 17, 21, 26 e 29 gennaio con Tosca.

Il repertorio proposto da Rizzi – che è anche Direttore Artistico dell’etichetta discografica Opera Rara, che quest’anno festeggia i 50 anni di attività e la cui missione è proprio quella di riscoprire, restaurare e registrare l’eredità operistica perduta – prevede sia opere ben note al grande pubblico (come Tosca e Bohème di Puccini) sia rarità come Zingari di Leoncavallo e Il Proscritto di Mercadante (proposte in forma di concerto), oltre a capolavori orchestrali come le Sinfonie n. 1 “Titan” e 10 di Mahler, Also sprach Zarathustra di Strauss e il Piano Concerto No. 1 di Shostakovich. Non mancano inoltre le nuove produzioni, con I due Foscari di Verdi e Cendrillon di Massenet.

Carlo Rizzi – © Tessa Traeger

In questa intervista a La Voce di New York, il Direttore d’Orchestra spiega le sue scelte musicali e la sua visione del panorama artistico attuale.

A cosa si deve la scelta di accostare capisaldi del repertorio operistico a rarità musicali?

“È un tipo di scelta che ho fatto sin da quando ero giovane. Sono sempre stato interessato a riscoprire, a ritrovare e a far rivivere delle opere meno conosciute. Ad esempio, in giovanissima età ho diretto L’Idolo cinese di Paisiello, che poi è stato ripreso in molti altri teatri. Questo senza mai trascurare, ovviamente, i capolavori assoluti come Bohème e Tosca che dirigerò al Metropolitan”.

Ci sono ancora molti capolavori operistici italiani sepolti sotto le coltri dell’oblio?

“Questa è una domanda alla quale è molto difficile rispondere. Tuttavia, una cosa chiara è che riguardo ai maggiori operisti italiani, come Donizetti, Rossini, Bellini e Verdi, tutto è stato eseguito e riscoperto, e questa è la ragione per cui, all’Opera Rara, non ci limitiamo solamente al repertorio belcantistico italiano, anche se alla nascita dell’etichetta, nel 1970, ad esso era stata attribuita l’attenzione maggiore, ma ci apriamo anche ad altri tipi di opere. Per esempio, abbiamo appena curato la produzione di Zingari di Leoncavallo, un’opera del verismo, e stiamo lavorando molto anche sul filone dell’Operetta francese, e l’anno prossimo proporremo un’opera sconosciuta di Mercadante: Il Proscritto. Tante cose sono state riscoperte, e tante altre rimangono ancora da riscoprire. Bisogna fare però i debiti distinguo, perché non bisogna riportare in vita un’Opera solo per il gusto di farlo, ma deve trattarsi anche di un’Opera di valore: questo è il criterio principale al quale all’Opera Rara ci informiamo per scegliere le Opere da proporre al pubblico”.

La sua conduzione prevede anche una prima mondiale della sua Tosca Symphonic Suite. Ci sono novità rispetto alla partitura di Tosca che conosciamo?

“Nessuna novità. È stata una mia precisa scelta quella di rimanere fedele alla partitura orchestrale di Puccini senza alterarne i caratteri musicali, apportare cambiamenti rispetto a ciò che Puccini ha scritto o inserire aggiunte: ho messo insieme la Symphonic Suite con i vari pezzi che per me meglio mettono in risalto la capacità di Puccini di essere un grande orchestratore e di scrivere bene non solamente per le voci ma anche per l’orchestra. Dopo di che il pubblico deciderà se apprezza o meno la mia scelta”.

Carlo Rizzi – © Tessa Traeger

Torna ad esibirsi dopo il periodo pandemico, peraltro non ancora concluso. Che riflessioni ha fatto durante il lockdown circa il significato e il valore della musica e dell’arte nella società?

“Ovviamente questo è un periodo disastroso per le performing arts, e purtroppo non è ancora finito, tuttavia si intravvede una silver lining molto lieve, quasi trasparente, rappresentata dal fatto che tutti, sia gli esecutori che i fruitori della musica e dell’arte dal vivo, hanno capito quanto sia importante la live performance. Infatti, nonostante il fatto che ci siano stati tantissimi, altamente encomiabili e anche spesso riusciti tentativi di proporre la musica tramite il medium digitale, ciò che purtroppo è sempre mancato è l’immediatezza e la partecipazione emotiva che si ha in  una sala da concerto, in un teatro o in qualsiasi altro luogo di performances dal vivo”.

Una immagine dalla Tosca rappresentata al Met

Le sembra che sia cambiato qualcosa, dopo la pandemia, riguardo alla concezione dell’artista e alla fruizione dell’arte da parte del pubblico?

“Io penso che, in un certo senso, il rapporto tra l’artista e il pubblico si sia fatto molto più stretto, in quanto molti artisti si sono espressi anche verbalmente, hanno fatto podcasts e si sono confrontati in vario modo col pubblico, cosa che non sempre accade durante le esibizioni dal vivo. In questo difficile periodo c’è stata la possibilità di capire che in realtà non c’è separazione tra il pubblico e l’artista: entrambi sono parte importante e integrante dell’esperienza artistica dal vivo”.

Una immagine dalla Boheme rappresentata al Met

Il secondo lockdown è stato per lei particolarmente produttivo, e l’ha visto impegnato anche nella registrazione della Francesca da Rimini di Zandonai. Che esperienza è stata?

“Quella della Francesca da Rimini è stata un’esperienza bellissima e bisogna tributare un grande riconoscimento alla Deutsche Oper di Berlino perché si è riusciti, con uno sforzo logistico immane, a realizzare una nuova produzione anche nelle difficili condizioni del lockdown. In ogni singolo giorno di prove, il coro, l’orchestra, i cantanti, il direttore e tutti gli operatori del teatro sono stati testati per il Covid. Abbiamo capito attraverso questa esperienza che siamo tutti nella stessa barca, ed è importante rispettare gli altri, sottoporsi ai test e prestare attenzione anche al modo di interagire col resto della società perché, relativamente a questa produzione, se anche uno solo di noi fosse stato positivo al Covid, ciò avrebbe compromesso il lavoro di tutti gli altri. Purtroppo il grande assente era il pubblico, ma dal punto di vista di coloro che vi hanno lavorato, è stata un’esperienza molto forte che mi rimarrà sempre impressa”.

Carlo Rizzi – © Tessa Traeger

Ha dichiarato di sentirsi di casa al MET. Cosa la lega all’Orchestra e al pubblico newyorkesi?

“Per me il MET è stato un punto di riferimento perché ho diretto lì per la prima volta nel 1993: sono passati quasi trent’anni. Il MET è stato uno dei primi teatri importanti del mondo a darmi fiducia, e la ragione per la quale amo tornare a dirigere al Metropolitan è che è un teatro nel quale si lavora tantissimo e bene: l’orchestra e il coro hanno dei ritmi veramente incredibili, e nel contempo sono tutte persone estremamente disponibili e professionali, e devo essere sincero nel dire che non mi sono mai trovato, in tutti questi anni, in situazioni che non fossero più che ottimali quando ho diretto. Oltre al fatto che New York è una città bellissima”.

Cosa può ancora donare la grande Opera italiana al pubblico della nostra epoca?

“Direi che non solo l’Opera italiana, ma l’Opera in generale e l’arte, soprattutto quella dal vivo, innanzitutto può far sognare. Questo non significa solamente chiudere gli occhi e vedere le nuvolette blu, ma l’Opera esprime dei sentimenti, e se il pubblico si lascia avvolgere da questa musica meravigliosa, secondo me è un’esperienza non solo fantastica in sé, ma anche estremamente moderna. Ricordiamo che nel suo periodo d’oro, l’Opera era la forma d’arte più comune: quando Verdi presentava le sue Opere, non andavano a vederle solo i ceti benestanti, ma ci andavano tutti. L’Opera racconta situazioni che tutti noi possiamo vivere nella nostra vita, e soprattutto quando si va all’Opera si provano emozioni che non è possibile provare in nessun’altra situazione. Questo capita a me per primo e credo che valga un po’ per tutti. Quindi questo legame tra il pubblico e l’Opera c’è sempre stato e sempre rimarrà”.

La tournée mondiale di Carl Rizzi proseguirà il 3 febbraio alla Koningin Elisabethzaal di Anversa, in Belgio; il 9, 10 e 13 febbraio al Bridgewater Hall di Manchester; il 20, 24 e 27 febbraio e il 4 marzo alla Bayerische Staatsoper di Monaco; il 26 e 29 Marzo e l’1, 4, 7, 10, 13, 16, 19, 22, 25, 28 Aprile all’Opéra National de Paris, per poi approdare in Italia il 22, 25, 28 e 31 Maggio per il Maggio Musicale Fiorentino e, dopo una nuova tappa londinese al Barbican Center il 28 giugno, tornare in patria in agosto al Rossini Opera Festival di Pesaro.

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Maggie S. Lorelli

Maggie S. Lorelli

Maggie S. Lorelli si laurea in Lettere all'Università di Torino e in Pianoforte al Conservatorio “G. Verdi” di Torino e consegue il Diploma Accademico in Didattica della Musica al Conservatorio “Santa Cecilia” di Roma, svolgendo parallelamente studi di Scienze Politiche, composizione e musica elettronica. Ha lavorato per laFeltrinelli e collaborato come autrice e conduttrice radiofonica con Radio Vaticana. Dopo uno stage giornalistico presso l'agenzia di stampa Adnkronos, scrive in varie riviste e periodici web. Insegna in un Liceo e svolge attività concertistica come pianista in vari ensemble, fra i quali “Le Musae”, formazione femminile da lei fondata. Si occupa di divulgazione della cultura e dell'arte al femminile. E’ appassionata di scrittura: ha al suo attivo numerosi racconti e “Automi”, il suo romanzo d'esordio.

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