Attesissimo l’incontro che Roberto Benigni ha trattenuto con il pubblico, a cui l’artista ha dedicato un’ora di tempo nel corso del pomeriggio della seconda giornata del Festival del Cinema di Venezia. L’attore ha iniziato con il tessere le lodi dei famosi registi che lui ha da sempre considerato le sue guide, i suoi Caronti, le sue Beatrici, i suoi Maestri. Grande il riconoscimento con cui Benigni parla del lavoro artistico di Charlie Chaplin: “Parlare di Chaplin è come parlare di Michelangelo”, ripete più volte. Quando parla dei lavori di Fellini, poi, il nostro si agita, gesticola con le mani, i suoi occhi si illuminano, con difficoltà rimane seduto sulla sedia, sembra volersi genuflettere al solo suono del nome del grande regista di Rimini. Prosegue: “Ragazzi, Fellini è il regista del secolo, no che dico: il regista di tutti i secoli. Non ce ne sono altri come lui. I suoi personaggi, le sue inquadrature, il modo di muovere i carrelli! Ragazzi, che dire del lavoro di Otto e Mezzo, e poi la Dolce Vita, capolavori incredibili. Lui si che ha fatto volare le astronavi! Si perché fare un film è lo stesso sforzo che richiede il mandare in cielo una astronave e lui ne ha mandate in cielo tante”.
La domanda a cui cerca di sfuggire riguarda la sua vita privata “Come trascorre le sue giornate?” gli chiede Gianni Canova, critico cinematografico, oggi in veste di moderatore. Benigni, imbarazzato, risponde balbettando ed esitando: “Ma, ma, ma perché, mi si chiede come trascorro il mio tempo, non è importante, perché mai dovrebbe essere di interesse altrui? Perché mai la gente dovrebbe essere interessata alla mia giornata”. Poi ne parla a raffica: “Ma, dai su. Io faccio le cose normali come tanti di voi, leggo e leggo sempre Dante perché una volta che si comincia a leggere Dante non si può leggere altro. O Dante o Shakespeare. Credetemi i due grandissimi, come loro non c’è nessuno”. E qui Benigni sembra essere incantato dalla possibilità di parlare di Dante, è rapito, alza le braccia verso l’alto, come a dirci che Dante è lassù sopra a tutti. Poi ricongiunge le mani come in un applauso sordo, a sottolineare che la bellezza della poetica di Dante è impari.
“Perché in inglese e in altre lingue il lavoro di recitare si dice play” chiede Canova “con il significato di giocare, mentre in italiano il recitare non ha un significato vicino al concetto di giocare”. Benigni risponde: “Eh no caro moderatore”, sghignazza il Benigni “è giusta la terminologia italiana: il lavoro dell’attore è un duro lavoro, non è un gioco. È decisamente meglio la nostra parola italiana ‘recitare’ e non ‘giocare’ come dicono gli anglosassoni. Recitare è un lavoro faticoso, altro che play! Tante volte all’attore si chiede di essere spontaneo, ma il recitare non è spontaneità perché noi dobbiamo fare fiction e questo richiede tanto allenamento fino ad ottenere la migliore rappresentazione, ci vogliono tante prove e sperimentazioni per sapersi modellare in base alle esigenze della sceneggiatura”.
Altra domanda incalzante che giunge dal pubblico: “Quale personaggio verresti essere se fossi collocato nell’ Inferno Dantesco?” Prontamente Il nostro Roberto risponde: “Ma Dante! Naturalmente! Ma se proprio devo scegliere altro da Dante, beh direi…. No, Ulisse proprio no, perché è avvolto nelle fiamme, vorrei invece essere nel terzo e ultimo canto del Paradiso che non smetto mai di leggere. Sono canti che raccolgono tutto quello che noi essere umani siamo”, sostiene il regista/attore/comico che dal modo in cui si esprime fa sentire al suo pubblico che le sue parole stanno traducendo in modo simultaneo i suoi pensieri senza filtri, senza barriere. Il suo pensiero sciolto e sincero viene offerto alla gente in sala.
Una domanda del pubblico lo sollecita a parlare del suo rapporto con Giuseppe Bertolucci: “Giuseppe Bertolucci mi ha adottato nel momento in cui sono arrivato a Roma, si è innamorato dei miei racconti tragici e poetici. Con Giuseppe ho condiviso le emozioni più forti, mi ha insegnato da che parte si guarda l’orizzonte, mi ha insegnato tutto. Mi ha fatto sentire come Adamo nel Paradiso Terrestre e mi ha aiutato a trovare la mia strada. Un’amicizia che definire formidabile è nulla. Sapete quando scatta la scintilla dell ‘amicizia? Beh è stupendo e arricchente”. Non è mai avaro di superlativi Benigni quando deve descriverei suoi amici e i sentimenti che a loro lo legano.

(Foto di Paolo Giandotti – Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)
Commovente è stato l’intervento di una signora straniera: “Roberto ti vorrei abbracciare perché quando venti anni fa giunsi in Italia ho deciso di rimanervi dopo aver apprezzato il film ‘La vita è bella’, quindi in un certo senso la tua figura, la tua arte ha finito con il condizionare le scelte della mia vita”. Con grande sorpresa Roberto Benigni, da grande padrone della scena qual è, si è alzato e rompendo tutti i protocolli ha risposta «Allora sai che ti dico, metto la mascherina e vengo ad abbracciarti». Senza esitazione si è avvicinato alla platea ad abbracciare la donna. Un abbraccio atteso da atteso circa 20 anni. Un’immagine veramente commovente.
Una giovane studentessa del centro di arte drammatica ha inoltre chiesto a Benigni come poter controllare le emozioni nel suo futuro lavoro da attrice. “Beh, dai spazio alle tue emozioni. Io sono attratto dalle persone sensibili e anche io sono sensibile. Io non ho controllato le emozioni, in un certo senso le emozioni hanno condotto me e quando sento che ‘devo’ non mi trattengo dal prendere in braccio la gente che amo, mi scaravento per terra, insomma mai avere paura delle proprie emozioni. Come con l’ aggressività: è un leone dentro di noi, un bel leone, è bellino ma fa paura. Non mi piacciono tutte le discipline che controllano le emozioni. No, io voglio sentire tutto e controllare poco. Però non bisogna dimenticare di lavorare corazzandosi di una forte disciplina soprattutto sul set, come nel servizio militare, come per i politici ‘disciplina e onore”. A ricordarci che un po’ di ironia non fa mai male.
Una signora del pubblico, nel proprio intervento ha raccontato di aver portato la sua nonna a vedere ‘La vita è bella’. Una nonna particolare perché è una sopravvissuta di uno dei campi di concentramento. “La reazione di mia nonna nel veder il film è stato quella di sentirsi a suo agio perché come lei stessa mi ha raccontato è riuscita a sopravvivere grazie al fatto di immaginare che il tutto non fosse vero”.
Altra domanda: “se lei non fosse diventato Benigni, chi sarebbe diventato?”
“Un pretino di campagna!”, dice e sorride di una risata contagiosa, poi subito ribatte: “ma no, io ho sempre saputo che volevo questo. Ho da sempre sentito un forte richiamo nel mostrare agli altri quello che io sapevo per comunicare contenuti importanti, contenuti utili, in un certo senso ho sempre sentito il desiderio di utilizzare la comunicazione per creare uno spirito di comunità e rendere gli altri partecipi delle mie emozioni, per contagiare gli altri. Un desiderio che ho avuto sin da piccolo. Quando ho capito che quello era il mio cammino, ho sentito che dovevo prendere quella direzione e mai ho pensato ad altro”.
La giovane Susanna, dal pubblico, chiede cosa consiglierebbe ai giovani di oggi. Con la sua risata pronta, risponde: “Oh là, là. Se sapessi rispondere insegnerei Teologia alla Sorbona! Come faccio a dare consigli ai giovani? Io sono l’ ultima persona a poter dare consigli. Direi però che bisogna seguire il ‘fuoco di dentro’, il ‘proprio fuoco’ e sentire che quello che si sta facendo lo si faccia con serietà. Niente è facile e tutto richiede tanto lavoro e come si usava dire ai miei tempi: nessuno ti regala niente ma se segui la tua passione e lavori con disciplina i risultati arrivano”.
Un caloroso applauso accompagnato da una spontanea standing ovation ha salutato Roberto Benigni. E lui ricambia con alzate di braccia, il sorriso di sempre, e ringraziamenti per tutto l’affetto espresso dal pubblico per dirigersi poi verso l’uscita che lo riconduce al suo privato. Questo è il nostro Benigni.