Figlio del celebre Gillo Pontecorvo, uno dei maestri del cinema italiano, Marco Pontecorvo ha diretto “Fatima”, che oggi esce nelle sale degli AMC Theatres, a New York, New Jersey e Connecticut. Un film emozionante, curato nei minimi particolari e con una grande poesia, derivante dalla mano di un regista capace, con un gran gusto per la bellezza, che riesce a narrare la vicenda del Miracolo di Fatima, del 1917, senza essere ridondante, fino a renderlo comprensibile per chiunque ci si voglia approcciare. La storia, che viene narrata dal punto di vista di Lucia, interpretata da Stephanie Gil nella versione bambina e poi da Sônia Braga, è fatta di: coraggio, dolore e speranza che, oggi ci viene racconta in prima persona, dal creatore della pellicola.
Marco Pontecorvo, grazie intanto per essere qui con noi. Vorrei partire chiedendoti com’è nata l’idea di questo progetto e che cosa ti ha spinto a riprendere un argomento come il Miracolo di Fatima?
“Quando mi fu proposto questo film, la sceneggiatura era molto dogmatica e strettamente religiosa. Spiegai loro che, se avessero voluto raccontare questa vicenda solo da questa prospettiva, non sarei stato interessato. Se fossero stati disposti a trattarla da più punti di vista, lavorando sulla possibilità del dubbio, sia negli scettici che come forma dialettica, allora si, mi sarei lanciato nell’esplorazione di questo campo. Alla fine, la mia proposta venne accettata e così riscrivemmo l’intero script.
Ho deciso di approcciarmi a questa tematica perché, al di là della religiosità, si tratta di una vicenda profondamente umana: la storia di una bambina, il rapporto con la madre e la fine della Prima Guerra Mondiale, momento tragico per l’umanità intera”.
C’è una componente personale, che ti ha spinto verso questa avventura, come l’aver ricevuto un’educazione religiosa?
“La storia del Miracolo di Fatima la conoscevo, come penso, quasi tutti. I miei fratelli ed io siamo battezzati, ma non siamo praticanti, forse solo il più giovane. Sono, però, affascinato dalle differenti culture, anche religiose, in quanto mio padre era ebreo e mia madre cattolica, anche se tra i due, era papà a non essere interessato a questo aspetto della vita. C’è da tener conto, poi, che la ricerca delle proprie radici culturali, porta spesso a immergersi nei concetti spirituali e a crearsi un mondo. Questo è un percorso che avevo già intrapreso, ma l’esperienza di Fatima, l’ha ampliato: mi ha portato a pormi molte più domande, ad approfondire e a scandagliare. Ci sono degli aspetti all’interno del film, ai quali credo molto: come la bellezza della natura che, se vogliamo, sembra proprio essere l’espressione stessa di Dio”.
A proposito di questa tematica: sovente la natura, nella letteratura, viene codificata più in relazione all’istinto che alla spiritualità. Qui invece, fa da tramite per il manifestarsi della divinità. Tu come definiresti il rapporto: fede/natura?
“Intanto la forza della natura esiste, la si può chiamare Dio oppure no, ma ciò non la scalfisce. La sua potenza mi lascia sempre a bocca aperta, in tutte le sue manifestazioni. La protagonista, che è una bambina, la vive con gioia, attraverso di lei entra in contatto con quello che, nella sua personale visione, considera come divino. Poi se uno non crede, può fermarsi al semplice fatto che la natura è indubbiamente bella. Per me è una delle massime espressioni di Dio”.
Pensi che sia utile in questo periodo storico, caratterizzato da una grave crisi sociale ed economica, far riconnettere, magari attraverso l’arte, l’essere umano con la propria spiritualità?
“Assolutamente! Anzi penso che, chi ha avuto la possibilità, in parte, l’ha già fatto. Durante il primo Lockdown c’è stato un fermo quasi totale, che ha riconnesso un poco le persone con sé stesse, anche attraverso tutte le paure, come quella economica, l’incertezza lavorativa, la salute, che ne sono state una conseguenza. È stato un momento di riflessione profonda e ci sono tante similitudini con il film: la Prima Guerra Mondiale aveva segnato profondamente l’animo umano, fu un periodo di depressione e crisi, vicino al clima di tensione che viviamo oggi, in più il proseguo della storia di Fatima, prevede l’arrivo di una Pandemia mondiale, ancora più grave se vogliamo, rispetto a quella del Covid-19, ossia: quella della Spagnola, che uccise quasi cinquanta milioni di persone”.
C’è, un breve momento onirico, nel quale la protagonista, ha una visione dell’Inferno, ripresa da quadro che si vede all’interno della Chiesa. C’è anche qui un’idea di base, o si lega solo all’aspetto iconografico?
“L’inferno non è legato alla mia visione o a quella della protagonista. In questo caso ho scientemente deciso di legarlo all’Iconografia: una bambina in quel determinato periodo storico, di una condizione famigliare molto umile, vede quattro volte un quadro, nella Chiesa del proprio villaggio e lo assimila nella propria mente, perché come spiega Sônia Brag, che interpreta Lucia da adulta, quando risponde alle provocazioni, mosse dal personaggio del Professor Nichols, interpretato da Harvey Keitel: “Dio si palesa a noi, nel modo in riusciamo a comprenderlo”.
Fatima, dunque è un film che può arrivare anche a chi non crede?
“Io l’ho sperimentato in prima persona: conosco tante persone, che non credono o praticanti di altre religioni, che l’hanno visto e l’hanno apprezzato. Se sei una persona con la mente aperta, puoi entrarci fino in fondo e magari cambiare anche il tuo punto di vista. Un mio carissimo amico, totalmente ateo si è lasciato trascinare così tanto, che si è addirittura, commosso. Alcuni, invece, hanno un respingente immediato, allora a quel punto c’è un problema di chiusura, nei confronti di tutto ciò che è diverso”.
La fotografia è stata curata nei minimi dettagli, direi che pennella l’ambiente e i personaggi in maniera, quasi caravaggesca. Sei rimasto soddisfatto?
“Si! Trovo che il mio Direttore della Fotografia Enzo Carpineta, abbia fatto un magnifico lavoro. Noi siamo cresciuti insieme: quando io facevo il DOP, lui stava in macchina con me. Siamo diversi tecnicamente, nel senso che il suo modo di sistemare la luce è differente dal mio, ma simili come gusto e sensibilità artistica. E’ stato veramente eccezionale, tanto da permettere allo spettatore di diventare immediatamente partecipe della scena . E si, sembra di catapultarsi all’interno di opera pittorica”.
Nel film c’è stato un grande utilizzo delle comparse, quasi a riprodurre l’idea del Coro greco. Sicuramente un’operazione complicata anche dovuta dall’amplio numero di riprese in esterno. Qual è stato il momento più complicato e quello invece più magico?
“Il lavoro è stato tanto, ma ho trovato dei collaboratori che hanno svolto una ricerca certosina sui volti. Se le comparse vengono scelte con criterio, possono raccontare un mondo, perciò non devono essere un mero elemento di contorno.
È stato un film di difficile realizzazione: riuscire a gestire un gran numero di persone, i bambini sul set e trovare il giusto tassello per presentare la Madonna, non è stata una passeggiata. In questo caso m’interessava meno l’aspetto iconografico: alla fine la decisione è stata di ritrarla, più come una donna dell’Antica Palestina, che non come l’immagine canonica, che ci si aspetta, della Vergine.
Quello che mi è piaciuto di più è stato lavorare con i bambini, inoltre durante tutte le riprese, si è creata un’armonia particolare, che hanno avvertito tutti, dal reparto tecnico a quello artistico. Ho dunque un ricordo bellissimo ma, allo stesso tempo, di un’enorme fatica. Ho avuto, per fortuna, un instancabile compagno di viaggio: Edoardo Ferretti, che ora fa il produttore, ma che prima, in quasi tutti i miei film ha svolto il ruolo di aiuto regista. Con lui siamo riusciti a tirarne fuori il meglio e, soprattutto, ad uscirne vivi e vegeti.
Mi sono divertito anche con la prima parte del film, girata un anno prima, poiché Harvey Keitel e Sônia Braga, erano disponibili in quel periodo. Era una sola settimana e dunque abbiamo detto: “giriamola, poi finiremo il film!” Ad oggi se ci ripenso, mi sembra di parlare di due film diversi”.
Una delle tematiche che più salta all’occhio è il credere: spesso siamo diffidenti verso ciò che non conosciamo. Secondo te, è possibile capire ciò che non comprendiamo, attraverso i sensi?
“Non è detto che sia possibile credere in qualcosa se non abbiamo la possibilità di decifrarlo… Forse lo è se ci proviamo, non solo razionalmente. Una delle caratteristiche di Lucia è proprio il suo coraggio: dopo aver assistito all’apparizione della Madonna, viene abbandonata, gradualmente, da tutti, persino dal padre, l’unica persona che l’aveva sempre sostenuta. Questo succede a chi è diverso e a chi cerca di sostenere le proprie idee con fermezza, riuscendo alla fine, a vincere su tutto e tutti.
C’è un altro discorso, molto importante, che viene precisato, riguardo il potere della fede: quando il bambino claudicante, riesce a compiere quel mezzo passo, anche se non è stata la Madonna a renderlo possibile, poiché in potenza, già avrebbe potuto farlo, come il personaggio del Sindaco fa presente, la spinta decisiva sta proprio nello sguardo di quella bambina che gli ha dato la forza di crederci. Quella connessione spirituale, che forse, sta alla base di tanti fatti inspiegabili, come forma di auto convincimento”.
Marco tu sei figlio d’arte, tuo padre Gillo Pontecorvo, è stato uno dei maestri del cinema italiano, è nata grazie lui questa passione o te ne sei innamorato a prescindere?
“Domanda difficile, nel senso che la risposta è: non lo so. A me è sempre piaciuto e ho sempre pensato di fare questo. Ovvio è che, non mi piace solo il cinema di mio padre: ho iniziato con Bergman, fino ad arrivare a: “Frankenstein Junior”. Sicuramente amo le storie che emozionano e mi piace plasmarle, fino a portarle sul grande schermo. Non saprei, dunque, dirti che differenza avrebbe fatto nascere in una famiglia diversa, quello che posso dire è che la passione è sempre stata tanta e lo è tutt’ora.”
Cosa ti aspetti dall’uscita di questa pellicola e quali sono i prossimi progetti in vista?
“Dall’uscita del film spero il meglio, anche se in realtà, siamo già usciti sulle piattaforme a pagamento, per poi approdare anche su Netflix. Tuttavia, anche se è la seconda volta, è una grande emozione: intanto perché avviene su una grande catena, come la AMC e sul grande schermo in sala! Fatima è nato per il cinema: il racconto della natura, la fotografia, la tematica, perdono se visto sul piccolo schermo. Perciò sono felicissimo e mi aspetto e spero, che venga accolto e apprezzato, nonostante sia comunque tutto regalato, essendo un secondo release.
Per quanto riguarda i prossimi progetti, il più imminente è “Vermicino,” che narra la storia di Alfredino Rampi, 1981: quattro puntate per Sky, che usciranno intorno a metà giugno. Esperienza bella e ambiziosa che spero di essere riuscito, con la mia squadra, ad averlo portarlo a termine nel migliore dei modi, visto che siamo tutti, molto soddisfatti”.