Molti giovani italiani ed europei, desiderano lasciare il proprio paese per avventurarsi nel panorama lavorativo newyorkese. Sicuramente, gli USA in generale, offrono grandi opportunità in qualsiasi settore, incluso quello artistico. Tra chi ha lasciato la famiglia, per inseguire il proprio sogno oltre Oceano, alcuni hanno rinunciato alla prime difficoltà, altri invece, perseverano, nonostante il grave periodo di crisi mondiale, dovuto all’emergenza COVID-19, che più di tutti ha colpito il settore Arte e Spettacolo. Oggi con noi un’artista poliedrica che spazia dall’ambito coreografico fino alla regia.

Ciao Sara! Tu sei nata e cresciuta in Italia e sei un’artista completa. Hai iniziato studiando vari stili, tra cui il repertorio classico e modern, capendo da subito, che la tua affinità artistica si avvicinava di più alla danza contemporanea. Hai scelto New York, dunque, proprio perché è una metropoli in linea con questo genere?
“In verità, non è stata una mia scelta trasferirmi nella Grande Mela, è stata lei a venire da me: era il febbraio del mio ultimo anno di superiori, eventi e persone attorno a me, spingevano affinché scegliessi un’Università che m’inquadrasse in una posizione lavorativa sicura. Proprio in quel periodo di transizione, lessi per caso, di una lezione aperta, che si sarebbe tenuta a Firenze, da un coreografo americano. Approfittai dell’opportunità per iscrivermi, la scusa era di visitare la città, ma dentro di me, ero consapevole che forse, sarebbe stata una delle mie ultime lezioni di danza. La masterclass era improntata sul classico e il modern: stili non in linea con la mia preparazione artistica ed anche se ero pronta per la sfida, non avevo grandi aspettative in merito.
Alla fine dell’ora di training, l’insegnante ha richiesto dieci minuti di improvvisazione è stato in quel momento che sentii una strana sensazione. Al termine dell’evento, infatti, con mia grande sorpresa, il maestro mi convocò per farmi domande sul mio background formativo, congratulandosi per la versatilità e chiedendomi di lasciargli il mio contatto email. Dieci giorni dopo, nei quali il ricordo dell’esperienza fiorentina, si era ormai affievolito, fui chiamata dalla direttrice dell’Accademia di Danza “Steps on Broadway” in persona, che mi comunicò di essere stata ammessa all’anno di corso professionale a New York, capendo che quel coreografo, in realtà, era uno scopritore di talenti, inviato per assegnare borse di studio . Così è iniziata la mia avventura oltre Oceano”.
Come è nata la tua passione per la danza?
“La mia passione è nata il primo giorno di scuola elementare, quando una mia compagna di banco mi disse che, nello stabile a fianco, offrivano dei corsi di formazione. Al termine delle lezioni, sono corsa da mia madre, dicendole di voler iniziare ad allenarmi. Il giorno dopo scoppiò questa grande storia d’amore, che perdura tutt’ora. Ci tengo a precisare che, la mia famiglia, non ha un background artistico e non si sarebbe mai immaginata che potessi approcciarmi a questo tipo di percorso. Alla fine, il vedermi così felice ed appassionata, ha portato i miei genitori a supportarmi nelle mie scelte e per questo, gliene sarò sempre grata”.

Quanto è stato difficile ambientarti in una grande città, di lingua straniera?
“Abbastanza, soprattutto perché è stata la mia prima esperienza fuori casa e in una terra straniera. Catapultarmi da un piccolo paesino di campagna, in una delle più grandi metropoli mondiali, è stato come tuffarsi, volontariamente, in un buco nero. Ovviamente, impari in fretta ad occuparti di te stessa, a convivere con altre persone e a cambiare le tue abitudini. Nonostante tutti le difficoltà iniziali, tuttavia, la mia passione non mi ha permesso di fermarmi: mi sono data da fare, anche grazie ai miei amici di corso che, lentamente e con pazienza, mi hanno tutti quei piccoli suggerimenti da seguire, per sopravvivere in questa immensa città. La metropolitana devo ammettere, che è stato uno degli ostacoli più grandi per me: passare dal prendere una sola linea di autobus per anni, a ritrovarmi a dover scegliere tra più di dieci linee intricate, è stato veramente complicato. Così come lo è stata la lingua: non importa per quanti anni tu possa aver studiato l’inglese, in America si esprimono diversamente, in una forma gergale, che non viene insegnata sui libri”.
Com’è stata l’esperienza di studio presso l’Academy of Steps on Broadway?
“Una delle migliori, da tantissimi punti di vista: in primis, per la gentilezza degli insegnanti e dei compagni di corso che, letteralmente, mi hanno preso per mano, aiutandomi con la lingua, la danza, e in tutti gli aspetti inerenti alla mia nuova quotidianità. Un ambiente, inoltre, aperto alla diversità, aspetto spesso che manca, soprattutto nella danza italiana. Essere circondata da una moltitudine di ballerini professionisti, di età diversa e carriere avanzate, come alcune ballerine del corpo di ballo ABT: Isabella Boylston, Misty Copeland, Stella Abrera, è stato un incentivo. Il percorso alla “Steps On Broadway”, in più, mi ha permesso di avvicinarmi a discipline prima sconosciute, come: la coreografia. Infine mi ha dato la possibilità di allacciare rapporti e stringere contatti che, ad oggi, mi consentono di poter vivere qui: facendo parte di tre compagnie locali, insegnando e dando inizio, al mio primo spazio creativo coreografico, chiamato S|R|P|Z, grazie al quale collaboro con artisti locali”.

Sara ci sono tanti ragazzi/e italiani/e che desidererebbero poter trasferirsi all’estero, soprattutto in America, per seguire il proprio sogno nel cassetto. Quali consigli daresti, a questi giovani?
“Credere sempre in sé stessi e non smettere mai di lavorare per i propri obbiettivi”. La carriera da ballerina/coreografa non è semplice: essere artista non è confortante, molte persone non capiscono le tue scelte e ti ostacolano. L’inizio è già in salita: imparare la tecnica vuol dire spendere ore e ore in sala, ad allenarsi, sudando, soffrendo per la muscolatura, sotto uno stress costante, seguendo una dieta idonea. Se dovessi dare un consiglio, direi di concentrarsi sul lato tecnico fin dalla giovane età, soprattutto per la danza classica, cercando anche di scoprire la propria personalità: il punto cruciale non è essere il migliore, ma essere unico. I direttori, non assumono il ballerino migliore, ma quello che manca e colpisce. È necessario poi, spaziare: sembrerebbe non avere senso studiare danza post-moderna o sociologia, per intraprendere tale carriera, ma non ci si può volgere al futuro, senza conoscere il passato. In questo campo non conta solo: il “saper ballare”, bisogna essere anche il nostro miglior manager. C’è la necessità di apprendere nozioni di direzione di compagnia, associazione e organizzazione. Conoscere le regole del marketing, visto che i social media hanno oggi, un impatto così forte: avere un sito personale, App sempre aggiornate, può fare la differenza. Infine, mi sento di aggiungere che, la collaborazione con professionisti affermati, non solo aiuta ad avere una visione più chiara e completa del lavoro da intraprendere, ma aiuta anche nella costruzione di quelle connessioni necessarie, per agevolare questo processo, soprattutto a New York, dove ci sono e saranno sempre, comunità e individui pronti ad aiutare giovani artisti”.

Durante la pandemia, la danza ha subito un brusco arresto. Teatri chiusi, impossibilità di esercitarsi. Tu come hai vissuto la Pandemia da questo punto di vista?
“Quando la pandemia ha colpito la città ero al mio ultimo anno di accademia: pronta per diplomarmi, con molti progetti in vista. In una settimana, mi sono ritrovata con l’agenda cancellata per mesi e l’impossibilità di ballare. Durante le prime settimane mi ha pervaso un senso di vuoto, tuttavia, ho iniziato a considerare questa stasi, come un’opportunità per dedicarmi a me stessa come persona e artista: mi allenavo a casa, definivo la mia visione e creavo le mie opportunità. Ho continuato a studiare e ho realizzato video come ballerina/coreografa e regista, collaborando anche, con cantanti, per la realizzazione di videoclip musicali. È stato un periodo dal quale ho tratto solo beneficio fisico e mentale, preparandomi alle esperienze che il futuro mi riserverà.”
Quanto è stato difficile trovarsi dall’altro capo del mondo senza la tua famiglia e con il lavoro in stand-by?
“È stato decisamente faticoso dal lato affettivo. Ho salutato la mia famiglia a Natale 2019, sicura di rivederla a breve, per il mio diploma ed ora è più di un anno che non vedo fisicamente, nessuno di loro. Non sapere cosa, questa pandemia avrebbe comportato, la preoccupazione per la salute dei miei genitori, la solitudine alimentata dalla paura, mi hanno fatta cadere in un oblio di ansia ed è stata davvero dura. La tecnologia, in questo, è stata utile: mi ha permesso di parlare e vedere i miei genitori virtualmente. Ora che la città ha riaperto, la speranza è quella di trovare direttori artistici pronti ad assumermi e artisti pronti, con i quali lavorare insieme.”
Hai mai pensato di mollare tutto? Se sì, cosa ti ha fatto desistere alla fine?
“È un momento della vita che arriva per tutti, ma non è successo a New York: nella compagnia italiana di danza, in cui lavoravo prima avevo successo, ma l’ambiente non mi incoraggiava e capii che non era quella, la strada che volevo intraprendere. Tenendo conto inoltre che, essere artista e libero professionista in Italia è complicato, stavo valutando di non perseguire con questa professione. Il punto di svolta c’è stato a New York, dove ho conosciuto persone che mi hanno dimostrato che, il mio sogno non era un’utopia.”
Quale è stato il momento più gratificante nella Grande Mela e quello più difficile?
“Il momento più difficile è stato essere capace di tener testa alla routine dinamica che questa città impone. Essere produttiva al cento per cento ogni giorno, sempre presente ed al massimo delle tue potenzialità. La più grande soddisfazione, invece, è quando ricevo apprezzamenti per il mio lavoro, quando espongo le mie idee ad altri artisti per un eventuale collaborazione, quando propongo un mio lavoro ad organizzazioni o festival e ricevo un background per il quale, la mia visione, è valida. Questi sono i momenti che mi riempiono il cuore e mi fanno capire che devo continuare a creare arte.”

Noti una differenza di approccio tra Italia e America? Se sì, potresti spiegarlo?
“L’approccio americano e quello italiano sono completamente diversi. In America lo spirito di condivisione, l’aiuto reciproco, sono alla base dei rapporti lavorativi e sociali. Non mi dimenticherò mai il primo consiglio della mia prima insegnate “Aiuta sempre chiunque e riceverai aiuto”. La separazione in classi sociali è ovvia, come però l’importanza e il rispetto di ogni ruolo, per il raggiungimento del successo. Tutti sono importanti, ma nessuno è fondamentale. In quanto città definita dalla diversità, se il risultato di un allievo non è eccellente, l’insegnante lo supporterà senza denigrarlo, proprio perché in America c’è un atteggiamento positivo. In Italia, invece, di fronte ad uno studente non brillante, gli insegnanti cercano di abbassargli l’autostima, scoraggiandolo. Lo sminuire il prossimo, non caratterizza solo l’educazione artistica, ma pervade anche il tessuto sociale e lavorativo nel Bel Paese: c’è individualismo e competizione malsana, spirito che riduce al minimo, le opportunità di successo.”

Hai anche una grande passione per la coreografia e la regia. Trovi che siano due mestieri che possano andare di pari passo?
“Assolutamente si, principalmente se si parla di coreografia per l’audiovisivo. La danza ha enormi possibilità: uno stesso concetto/movimento può avere interpretazioni differenti. Maturando la mia visione artistica, ho compreso che le potenzialità di ogni corpo e pensiero, sfociano nella coreografia. Ho imparato a proiettare la mia personale esplorazione al di fuori del mio copro, riflettendola su altri ballerini. Visione che è sbocciata quando ho intrapreso la strada di direzione e regia per coreografie video. Specialmente perché credo profondamente che la videografia permetta di ampliare le possibilità coreografiche: punto di vista, dinamica, inquadratura, il gioco tra luogo e tempo. C’è più spazio per sperimentare, più elementi da considerare, ma anche più tempo per creare un’opera che rispecchi davvero la tua visione.”
Dopo questo difficile momento, quali progetti hai in cantiere?
“Questo periodo di stallo, è stato fucina di creazione per me, alimentato dal fatto che ho avuto la flessibilità di far evolvere i miei progetti da coreografie teatrali, a cerografie per video. Attualmente ricopro il ruolo di ballerina, in tre compagnie di danza contemporanea a New York: The “Next Stage Project” diretta da Marijke Eliasber e Jana Hicks, “VALLETO” diretta da Valeria Y. Gonzales e “DancEntropy” diretta da Valerie Green. Ho dato forma a S | R | P | Z: il mio spazio creativo dove collaboro con vari artisti per raggiungere il mio obiettivo: normalizzare l’arte e valorizzare le minoranze. Nelle mie ultime esperienze, ho preso parte alla realizzazione di video come coreografa, come ad esempio con: il compositore Aaron Waldman per il suo ultimo video musicale “Yoko Gets The Antibodies”. La realizzazione di “Poetry to a young woman” per l’organizzazione BAAD! The Bronx, dedicata alle donne, minoranze e la comunità LGBTQA+. In questo momento, sto collaborando con il poeta/scrittore Paul Rabinowitz per il progetto “The Monastery” una coreografia in video danzata, diretta e ideata da me, con Georgia Husborn in aiuto produzione. Un altro progetto in cui sono coinvolta è la creazione di un’opera lirica che comprende danza, teatro e arti grafiche e visive con l’artista Phillip Baldwin. Sto anche collaborando con molti videografi: Kent Miller nella creazione del video “When we could touch” e SDF MEDIA nella produzione di cinque diversi progetti di danza in film. Ho in programma la pubblicazione del mio ultimo progetto coreografico che ha per tema il Bipolarismo, per poter entrare in connessione con varie organizzazioni legate alla divulgazione e cura della salute mentale. Sto lavorando con l’artista Niusha Karkehabadi nella creazione di un video di danza basato sulle sensazioni fisiche e mentali che accadono al corpo di fronte ad un input esterno. Sto mettendo le basi per creare due spettacoli dal vivo: uno con l’artista Andrè Saucedo basato sull’ansia cronica determinata da fattori esterni, l’altro, il lavoro di improvvisazione e flusso di coscienza “BLOCKS” creato con l’artista Aika Takeshima. Infine, sto lavorando con musicisti e pittori locali per creare un pomeriggio di spettacoli dal vivo che comprendano l’unione di queste tre arti. Come potete aver capito, sono alla ricerca di nuove connessioni, artisti e non che vogliono collaborare con me. Per piacere contattatemi o guardate il mio lavoro: S|R|P|Z – Sara Pizzi”.
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