Tra le pellicole candidate agli Oscar, ne balzano all’occhio due: “Mulan”, fantasy americano diretto da Niki Caro e “Pinocchio”, di produzione italiana, diretto da Matteo Garrone.
Entrambi rientrano nel fantasy movie, ma se il primo si differenzia per una grande propaganda femminista, il secondo lo fa per la magia che si ricrea durante tutta la storia, grazie a una regia magistrale.
È la figura di Hua Mulan, interpretata da Liu Yifei, che viene ripresa dal film di produzione Walt Disney Pictures, la leggendaria eroina che si arruolò in un esercito di soli uomini, figura descritta in un famoso poema cinese conosciuto come: La Ballata di Mulan. Probabilmente opera del filosofo e scrittore Liang Tao, composto nel VI secolo, periodo delle dinastie del nord, il testo originale è andato perduto.

La storia si incentra su una donna, che dal padre viene addestrata al combattimento sin dall’infanzia. La madre dal canto suo si dispera, perché la personalità poco femminile della primogenita non le permetterà di trovare marito facilmente, soprattutto nel momento in cui anche la mezzana incaricata di valutare il comportamento della fanciulla conclude che porterà solo disonore alla famiglia.
Quando le truppe rouran, guidate dal feroce Bori Khan, cingono d’assedio la Cina, l’imperatore emette un decreto che impone a ciascuna famiglia di inviare un uomo a prestare servizio nell’esercito. Per proteggere l’incolumità del vecchio padre malato, la giovane ne prende il posto in segreto: ruba l’armatura e si presenta al campo militare travestita da uomo. Da questo momento, una serie di accadimenti, conflitti e battaglie guideranno la ragazza verso il recupero dell’onore perduto.

La pellicola, non si differenzia per un grande valore artistico: la regia e la fotografia sono vicine più allo stile del videoclip musicale, che a quello cinematografico. Stacchi di montaggio velocissimi, scenografie finte e ricostruite in studio. I poveri attori avranno dovuto recitare per gran parte del tempo con la tecnica del green screen, perciò hanno comunque fatto il possibile. Le ambientazioni sono abbastanza dozzinali, più che in Cina sembra di trovarsi nel Carnevale di Rio, per i colori sgargianti e abbastanza molesti presenti. C’è un utilizzo di effetti speciali spropositato, che rende il tutto abbastanza stucchevole e lontano dalla realtà che si respira nella Via Lattea. Vi troverebbe forse più riscontro un eventuale abitante di Andromeda.

Interessante, invece, è stata la figura femminile ritratta: uno spirito selvaggio, completamente al di fuori di una società opprimente. Troppo avanti rispetto al periodo storico in cui vive, ma che, con una grande forza sia fisica che emotiva, riesce a non farsi schiacciare, diventando un modello da tenere presente, simbolo del femminismo.

In conclusione, visti gli almeno duecento milioni di dollari spesi, considerata l’assenza di Mushu, draghetto protettore della guerriera, e del generale Li Sheng, comandante con il quale nascerebbe sul finale una storia d’amore, il consiglio è che conviene più vedere la versione d’animazione diretta da Tony Bancroft e Barry Cook.

Fantasy di grande qualità tecnica, attoriale, con un reparto scenografie, location, trucco e costumi da mille e una notte, è invece “Pinocchio”, dove si è saputo pennellare con eleganza tutte le sfumature del romanzo di Carlo Collodi.
La figura del protagonista rappresenta il viaggio che ogni essere umano compie durante il passaggio da bambino ad adulto: tutti noi, quando nasciamo, siamo un po’ come dei burattini di legno. Siamo testardi, pigri, ci lamentiamo e vorremmo passare la nostra esistenza giocando, dimenticando le responsabilità che la vita presenta ripetutamente.

Pinocchio, interpretato da Federico Lelapi, è il classico bambino petulante, a tratti fastidioso, che non accetta l’autorità di suo padre (Roberto Benigni), non lo rispetta. Non comprende il valore dello studio, del lavoro, della fatica e dell’impegno. Solo in seguito a una serie di sfortunati eventi capirà il valore di tutto ciò che ha perduto, per colpa della sua arroganza.

Il regista dipinge, attraverso i personaggi, tutti gli archetipi umani. Il Mangiafuoco, interpretato da un magistrale e commovente Gigi Proietti, rappresenta il folle: imprevedibile e a volte empatico, ma che all’improvviso potrebbe incenerirti per cuocere il suo pasto. Il Gatto e la Volpe, interpretati da Massimo Ceccherini e Rocco Papaleo, sono gli opportunisti, che si avvicinano agli altri per convenienza. Rappresentano l’avarizia e l’ingordigia. Sono individui che ti ucciderebbero per poter avere quello che hai in più di loro. La Fata Turchina (Marine Vacth) è la guida che tutti vorremmo avere, che non fa sconti, nel bene e nel male. Vicina quando serve e lontana quando si persevera nei propri errori. Il burattino di legno dovrà arrivare infatti quasi a sfiorare la morte, per capire e ottenere ciò che più desidera: la vita.

La fotografia di Nicolaj Bruel è di una qualità eccelsa: riesce quasi a riprodurre la luce che Velàzquez ricrea nei suoi dipinti, con colori pastello, ombre e contrasti. La regia è carica di poetica ed emotività, la macchina da presa sembra compiere una danza lenta e sensuale, sia negli interni che nei lenti totali delle pianure toscane. Le scenografie così ben curate, insieme alle location, sono un inno alla bellezza del territorio italiano. Da menzionare anche l’egregio lavoro dei costumi e del trucco, che hanno dato vita a tutti i personaggi.
Matteo Garrone è riuscito a ricreare un’atmosfera altra, ma che in alcuni momenti è così vicina che sembra di potercisi immergere, con l’inquietudine e la vibrazione che solo una storia come quella di Pinocchio può far trasparire.

Due film, dunque, dello stesso genere, ma con mete diverse: il primo vuole essere un classico Disney, senza grandi pretese, il secondo vuole essere cinema autoriale, che scava nell’animo umano senza perdere ritmo e intensità. Dipende a che tipo di arte ci si vuole approcciare: chi vorrà rilassarsi con i propri bambini, davanti alla tv sceglierà “Mulan”, chi vorrà compiere un viaggio emotivo e ricerca insieme al “burattino”, sceglierà “Pinocchio”. Ad ognuno il suo.
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